The Warehouse: Lavoratori e robot ad Amazon

4 / 11 / 2021

È appena uscito per Pluto Press The Warehouse: Workers and Robots at Amazon di Alessandro Delfanti, che abbiamo già incontrato nel nostro lavoro sull’espansione di Amazon in Italia e le resistenze che la multinazionale di Seattle sta incontrando. Il libro mostra come lo sviluppo tecnologico e i sistemi manageriali targati Amazon servano a sottomettere i lavoratori e le lavoratrici, come si vede nel caso dei sensori che tracciano ogni movimento degli addetti o in quello dei sistemi algoritmici che cambiano i percorsi delle merci per aggirare i blocchi operai. Tecnologie come i bracci robotici addestrati da umani o gli occhiali per la realtà aumentata servono a standardizzare, misurare e disciplinare il lavoro umano piuttosto che a eliminarlo. Presentiamo qui un breve estratto del libro tradotto da Lorenzo Feltrin.

Pochi luoghi possono sembrare lontani da Las Vegas quanto il magazzino Amazon MXP5 di Piacenza, o – a dire il vero – qualsiasi altro magazzino della logistica. Molti vanno a Las Vegas per fuggire in un mondo inebriante fatto di luci al neon, gioco d’azzardo e glamour. Ma è anche un’importante meta per conferenze, congressi e fiere, dove le aziende generano hype per i loro prodotti e le loro innovazioni tecnologiche. Per entrambe le ragioni, Las Vegas dev’essere sembrata l’ovvia location per re:MARS, una conferenza dedicata a mettere in mostra la vastità futurista delle ambizioni tecnologiche di Amazon.

Nella prima edizione del 2016, che si chiamava MARS, Jeff Bezos l’ha definita come un “campeggio estivo per nerd”, un raduno esclusivo per esperti di robotica e intelligenza artificiale, manager di aziende tech e futuristi nel deserto californiano, a Palm Springs. La prima, e per ora l’unica, edizione di Re:MARS – tenutasi a Las Vegas nel 2019 – è stata venduta come la versione pubblica della sua antecedente, aperta a un pubblico (pagante) più ampio. MARS è l’acronimo di “Machine learning, Automation, Robotics, and Space exploration” e la conferenza permette di accedere a un immaginario spettacolare in cui i magazzini hanno un ruolo molto defilato. Il pubblico di re:MARS incontrava piuttosto titoli come: “Confessioni di un amministratore delegato: Come ho cominciato a credere nei robot e nell’automazione”, e restava di stucco di fronte a robot letteralmente progettati per colonizzare Marte.

Nel suo intervento del 2019, il vicepresidente di Amazon Dave Limp ha spiegato al pubblico il significato dell’evento: “Come molte buone idee, tutto è cominciato davanti a un bicchiere di scotch […] a casa di Jeff, Jeff Bezos”. A quanto pare, la biblioteca di una delle case di Jeff vanta due caminetti agli estremi opposti della stanza. Sul muro sopra un caminetto c’è scritto “Costruttori”, sopra l’altro “Sognatori”. In un certo senso, questa immagine non ha nulla di originale: chi non si sarebbe aspettato qualcosa di tanto ampolloso nella casa del più ricco miliardario del capitalismo digitale, quando ci siamo abituati a slogan del genere sui muri dei caffè che i lavoratori cognitivi usano come uffici? Ad Amazon, ha continuato Limp, l’idea è che il potenziale della tecnologia sia illimitato: “Se possiamo immaginarlo, possiamo costruirlo”. I manager di Amazon hanno ripetuto all’infinito che la conferenza non aveva a che vedere con il presente, ma con i sogni di Amazon per il futuro. I loro interventi erano intervallati da affermazioni come “Il futuro è dietro l’angolo, impossibile essere più emozionati” o “Sono super ottimista per il futuro, non vedo l’ora che sia il 2030”. I loro sogni erano in bella mostra a re:MARS, dall’esplorazione dello spazio alla robotica per la logistica: la materializzazione tecnologica del desiderio capitalista.

Secondo il teorico dei media Nick Montfort, la produzione di futuro tecnologico è “l’atto di immaginare un determinato futuro e tentare intenzionalmente di contribuire a realizzarlo”[1]. Ecco i sognatori e i costruttori. Lo stesso Bezos ha esplicitato il concetto durante la sua chiacchierata al “caminetto”. Prima arrivano i sognatori, per esempio con la fantascienza, ma i sogni non possono progredire fino a che i costruttori non creano la tecnologia per materializzarli, ha ricordato Bezos al pubblico. 

La ricerca di soluzioni tecnologiche è intrinseca allo sviluppo capitalista, non solo ad Amazon. Questo non produce solo cambiamenti tecnologici ma anche culturali, perché l’innovazione tecnologica è feticizzata e presentata come un bene per la società nel suo complesso – una nozione oggi quasi di senso comune[2]. E nei sogni di Amazon, l’innovazione tecnologica non ha limiti.

Anche Marx ha notato che il capitale non accetta limiti, anzi li vede come barriere da superare. Per esempio, è celebre la descrizione marxiana di come il capitale desideri conquistare e colonizzare lo spazio e il tempo. Un grande caso contemporaneo è quello della globalizzazione della logistica, attraverso la quale multinazionali come Amazon controllano in tempo reale le filiere in cui vengono prodotte, fatte circolare e vendute le merci. Un qualsiasi oggetto disponibile su Amazon potrebbe essere stato progettato in una città asiatica o americana, prodotto con materie prime provenienti da tre continenti diversi e assemblato in Messico o in Vietnam, per poi essere venduto in uno dei molti paesi in cui Amazon è presente. Infatti, la globalizzazione economica basata sulla libera circolazione di capitali, merci e informazione ha permesso al capitalismo di espandere il suo controllo dello spazio e del tempo. A giudicare da re:MARS, sembra che la nuova frontiera di questa colonizzazione sia il futuro tecnologico stesso. Nella sua lettera agli investitori del 2000, Jeff Bezos usò la metafora di una “corsa alle terre” per descrivere l’approccio dell’azienda a internet: una terra di nessuno da conquistare e colonizzare[3].

I fasti spettacolari di Re:MARS sono parte di questa immaginaria conquista tecnologica. Quando i visitatori abbandonavano la calura di Las Vegas per entrare nel centro climatizzato che ospitava re:MARS 2019, venivano accolti da un maxi-schermo che occupava tutto il palco e mostrava panorami alieni percorsi da un astronauta solitario in posa. Lo swag booth era colmo di omaggi – come magliette e bottiglie di plastica – firmati re:MARS. Naturalmente, presentando il badge per ricevere gli omaggi si accettava di ricevere le e-mail pubblicitarie di Amazon. Di fianco al palco, un DJ spingeva musica hip hop. Il centro per conferenze, ci spiegarono, era pieno di utenti di ogni tipo: astronauti, artisti, politici, imprenditori, dottorandi, ingegneri, atleti. In una presentazione del 2018, un relatore comparò la conferenza con la Grecia antica mentre mostrava l’immagine dell’affresco di Raffaello “La scuola di Atene” – una guida alla filosofia greca dipinta sui muri del Palazzo Apostolico del Vaticano, con personaggi come Pitagora e Ipazia. Raffaello usò suoi contemporanei come modelli per l’affresco. Platone, per esempio, è impersonato da Leonardo da Vinci[4] – suppongo che le sue macchine volanti lo abbiano reso l’equivalente del XV secolo di un fondatore di startup tecnologiche. La modestia non è certo di casa a MARS. Qui, mostrando prototipi di robot, si forgiano i miti aziendali. Per esempio, gli aneddoti di come Jeff Bezos abbia perso una “bottle flipping challenge” contro un braccio robotico hanno dominato la copertura giornalistica di un’edizione. Un’altra volta l’hype si è concentrato su Bezos che portava il suo “nuovo cane” (un robot a quattro zampe di Boston Dynamics) a passeggio.

Gli avventori indossavano cordoncini neri, arancioni e blu: una specie di codice, come i badge colorati che identificano gli “associate” nei magazzini. Li avevano i membri dello staff e un esercito di uomini in camicia a quadri che distribuivano volantini con suggerimenti come “La prossima volta assumi un robot”. Quanti uomini, e quante camicie a quadri. Ma dietro ai loro look e discorsi sgargianti, si intravedeva come alcune delle innovazioni spettacolari sognate da Amazon difficilmente si sarebbero realizzate nel futuro prossimo. Per esempio, tra i brevetti di Amazon c’è il progetto di un centro di distribuzione volante: un gigantesco magazzino montato su una navicella dirigibile in grado di stazionare al di sopra di un conglomerato di consumatori. Può sostare nei pressi di uno stadio durante una partita  e usare droni per consegnare rapidamente le merci – popcorn, magliette delle squadre, qualsiasi cosa – alla folla sottostante[5]. Altri brevetti prefigurano stazioni di atterraggio automatizzate che accolgano i droni, gli carichino le batterie e li riempiano di pacchi. A Las Vegas, Bezos, tra il serio e il faceto, ha parlato di centri di distribuzione sulla luna.

Magazzini lunari a parte, la conferenza aveva una certa dose di realismo. Si poteva passare dal “caminetto” di Bezos a una sala dove un manager di Amazon Robotics spiegava che gli umani non spariranno mai, perché i robot funzionano solo quando bisogna fare la stessa cosa a ripetizione. “Com’è possibile automatizzare lo spostamento di un enorme divano diviso in cinque parti?” domandò retoricamente. Amazon ha introdotto moltissimi robot nei suoi magazzini, ma ci sono comunque più lavoratori che robot, ha fatto notare. Amazon sta sviluppando e testando macchinari automatici di ogni sorta, dai robot pickeristi ai droni da consegna. Ma c’ è una tensione tra sogno e realtà. 

Prendiamo l’esempio di Amazon Robotics, il cui motto è “We reimagine now”. Amazon ha acquistato questa azienda nel 2012, quando si chiamava Kiva Robotics, per più di 700 milioni di dollari. Oggi, Amazon usa più di 200.000 di questi robot nei suoi centri di distribuzione in tutto il mondo. Sul suo accattivante sito, Amazon Robotics si vanta della sua “intrepida determinazione a fare l’improbabile con soluzioni reali”. “Improbabile” qui significa lo sviluppo di “robot mobili automatici, sofisticati software di controllo, percezione del linguaggio, gestione dell’energia e comprensione semantica degli ordini”. Una parte di tutto ciò sta effettivamente accadendo adesso, come dice lo slogan aziendale[6]. Ma una parte maggiore è proiettata nel futuro. Intanto, Amazon e le sue controllate sono intente a rafforzare simultaneamente la loro capacità di automatizzare i processi produttivi e controllare la forza lavoro.

L’automazione è una componente chiave del desiderio Amazon di potere e controllo – di soldi, in sostanza. Questo genera un timore diffuso che i magazzini saranno presto completamente automatizzati, che tutti i lavoratori saranno sostituiti da robot che non scioperano, non si ammalano, non chiedono la maggiorazione per gli straordinari e non rifiutano di fare i turni di notte. Lo spettro dell’automazione continua a tormentare i lavoratori della logistica[7]. Ma in realtà Amazon non sta pianificando l’eliminazione dei lavoratori dai suoi magazzini. Nonostante l’hype che Amazon e i suoi futuristi montano sull’automazione, l’azienda è molto pragmatica rispetto alla persistente necessità di lavoro umano. I lavoratori resteranno, perché costano meno e sono più facili da controllare e da scartare dei robot. Ciò che Amazon sogna sono nuovi modi di spremere valore dai lavoratori. Di trattarli come robot.

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Note:

[1] Montfort, N. (2017). The future. MIT Press, p. 4.

[2] Sulla tecnologia, si veda Harvey, D. (2005). A brief history of neoliberalism. Oxford University Press.

[3] Bezos, J. (2021). 2020 letter to shareholders. Retrieved from www.aboutamazon.com.

[4] Nicas, J. (2018, March 22). At Mars, Jeff Bezos hosted roboticists, astronauts, other brainiacs and me. The New York Times.

[5] Berg, P. Isaacs, P. W., & Blodgett, K. (2016). Airborne fulfillment center utilizing unmanned vehicles for item delivery. US Patent No. 9,305,280.

[6] Si veda www.amazonrobotics.com

[7] Su automazione e disoccupazione tecnologica, si veda Wajcman, J. (2017). Automation: Is it really different this time? The British Journal of Sociology, 68(1), 119-127. Sulle reazioni dei lavoratori Amazon, si veda Reese, E. & Struna, J. (2018). “Work hard, make history”: Oppression and resistance in Inland Southern California’s warehouse and distribution industry. In Alimahomed-Wilson, J. and Ness, I. (Eds.), Choke points. Logistics workers disrupting the global supply chain (pp. 81-95). Pluto.