Nemmeno la neve ferma i No Tav, che ieri - in un pomeriggio gelido - hanno invaso Torino. Per protestare contro gli arresti di giovedì e per portare in città le carriole cariche di "macerie" della Maddalena di Chiomonte, dove ha sede il cantiere del tunnel geognostico: filo spinato, gas lacrimogeni, alberi tagliati. Sono scesi in piazza in migliaia, diecimila secondo gli organizzatori, e hanno percorso con slogan e striscioni le vie del centro da Porta Nuova a piazza Vittorio, passando per piazza Castello. Una risposta forte, «pacifica e determinata», alla retata. «Chi non se l'aspettava - ha detto, a caldo, Alberto Perino, uno dei leader storici - vuol dire che non ha capito niente. Il popolo No Tav non si spaventa, sono vent'anni che abbiamo messo in conto di poter venire arrestati. Giovedì hanno messo in galera qualcuno che gli serviva per affermare che il movimento No Tav non fosse pacifico e popolare ma fatto di infiltrati».Tanti manifestanti sono arrivati in treno, passando poi dal presidio dei lavoratori ex Wagon Lits e firmando la petizione per il reintegro degli addetti ai treni notte. Il grande striscione d'apertura con Asterix e Obelix «La Valle non si arresta, libertà per i No Tav», ha spiegato il senso della manifestazione più di tante parole. Cartelli sparsi: «Nicola Cosentino libero, i No tav in galera», ventitré sono ancora gli attivisti in carcere; oppure: «Mancano i soldi per la scuola e la ricerca ma li si spreca per l'alta velocità che non serve!». Hanno sfilato valligiani, militanti dei centri sociali, pezzi nutriti della sinistra e del sindacato, accompagnati da un imponente schieramento di forze dell'ordine. Tappa intermedia è stata piazza Castello dove, accanto alla sede della Regione Piemonte, le sei carriole hanno rovesciato le macerie della Maddalena. E, davanti al cordone di poliziotti in assetto antisommossa, si sono schierati i clown No Tav.
In
marcia anche gli amministratori valsusini, presente Sandro Plano, a
testimoniare la compattezza di una Valle che si oppone al Tav e chiede
di essere ascoltata. Poi, la Fiom con il segretario torinese Federico
Bellono («è importante ribadire il carattere popolare e democratico del
movimento e le ragioni mai tanto forti contro quest'opera»), Michele
Curto di Sel, Sinistra Critica, Movimento cinque stelle, Comunisti
italiani e, schierata in forze, Rifondazione comunista con il segretario
regionale Armando Petrini e quello torinese, da poco eletto, Ezio
Locatelli, già deputato e membro della Commissione Trasporti, animatore nei primi anni
'70 delle lotte dei pendolari: «Saremo ancora più presenti, attivi e
partecipi nel movimento, che è un patrimonio di democrazia e simbolo di
lotta. Chi come il parlamentare Pd Stefano Esposito lo dipinge come
"paraterroristico" dovrà, ancora una volta, rimangiarsi le inutili e
stupide provocazioni. La disobbedienza civile è la migliore risposta».
«Giù
le mani dalla Valsusa» è stato uno dei cori più ripetuti. Massimo
Zucchetti, professore ordinario del Politecnico, ha legato la sua
bandiera No Tav a una stampella in segno di solidarietà con l'amico
Guido Fissore, consigliere comunale di 67 anni, accusato di aver colpito
gli agenti proprio con una stampella. «È importante che la protesta
abbia occupato il centro di Torino», ha detto Zucchetti.
Ci sono
stati isolati lanci di uova piene di vernice in via Roma e diverse
scritte sui muri di via Po. Scritte che non sono piaciute a molti
valsusini: «Imbrattare i muri non fa parte del nostro modo di
manifestare», ha detto al microfono Perino. Cori contro il presidente
Roberto Cota (che ieri ha dichiarato: «Sono contento che la
manifestazione si sia svolta senza violenze, ora pensiamo a realizzare
la Tav») e contro il procuratore Gian Carlo Caselli. Più tenero con il
pm, l'europarlamentare dell'Idv Gianni Vattimo, in corteo con la
bandiera No Tav: «La colpa è della politica, non di Caselli che è un
tecnico». Prossimo appuntamento, il 25 febbraio in Valsusa per «un
corteo nazionale che raccoglierà tutte le anime della lotta contro il
Tav e tutte le resistenze d'Italia». Perché, ha spiegato Lele Rizzo
(comitato di lotta popolare di Bussoleno), «fermarci è impossibile».
di Mauro Ravarino