Torino - La normale eccezionalità della repressione

13 / 2 / 2019

Sembra esserci un alone di “eccezionalità” dietro la vicenda dell’Asilo di Torino. Eccezionali le misure poliziesche adottate per sgomberare lo spazio, con grate d’acciaio che hanno isolato il quartiere fin dalle prime ore di sabato mattina e controllo dei documenti a chiunque passasse per quelle vie. Eccezionale - e strumentale - la motivazione dello sgombero, nella quale sette persone vengono arrestate con l’accusa di associazione sovversiva per alcune azioni contro il CPR. Eccezionale la tempestività con cui la polizia ha agito nel corteo del sabato pomeriggio, arrestando undici persone e identificandone oltre duecento. Eccezionale la copertura mediatica degli eventi che si sono susseguiti nel week-end, con tanto di codazzo di fantasmagoriche inchieste sui centri sociali più “pericolosi d’Italia”. Eccezionali, infine, anche le dichiarazioni del Questore Francesco Messina, che giudica l’Asilo non «un centro sociale normale ma la base logistica di una cellula che propugna la sovversione dell’ordine democratico partendo dalla protesta di piazza». Questore che definisce «prigionieri» coloro che sono stati arrestati in piazza: eccezionale anche questo, se pur immediatamente smentito dallo stesso Gip che ha scarcerato dopo pochi giorni gli attivisti, dando loro “solo” l’obbligo di firma.

Dietro questo alone si nasconde la volontà di normalizzare l’azione coercitiva nei confronti di chiunque si renda protagonista di lotte sociali. In poche parole, il caso dell’Asilo serve al potere per alzare l’asticella della sua iniziativa repressiva, portando in via di definizione una cultura della legalità sempre più autoritaria. Lo esprime bene il Ministro dell'Interno Matteo Salvini con le sue dichiarazioni sulla «tolleranza zero» nei confronti dei centri sociali, tanto scontate quanto coerenti con la sua azione politica iniziata con la circolare di settembre contro le occupazioni abusive di case e uffici e proseguita con l’ormai famigerato decreto, convertito in legge il 1 dicembre scorso. Ma non è da meno la sindaca torinese Chiara Appendino nel suo amorevole plauso alla Questura e agli agenti, autori di un intervento che, a suo dire, città e residenti attendevano da anni.

Non ci stupiamo del connubio che si viene a creare tra forze politiche, poliziesche e palazzinari quando c’è da mettere ”le mani sulla città”. Gli spazi sociali e le occupazioni abitative sono spesso ostacolo agli ingranaggi della rendita, in uno scacchiere urbano che differenzia sempre più la residenzialità sulla base del censo. Ciò che sta accadendo nel quartiere Aurora a Torino ripete un film già visto centinaia di volte in questo Paese, e non solo, negli ultimi 40 anni. 

Certo, sono lontani i tempi del «sangue che scorre nelle arterie della metropoli», ma l’inimicizia del potere costituito nei confronti dei centri sociali possiamo considerarla uno dei pochi tratti distintivi delle “tre repubbliche”. Di sgomberi ne abbiamo visti tanti, negli ultimi anni con sempre maggiore frequenza e violenza. Ma la vicenda di Torino sembra segnare un cambio di passo, con un intero pezzo di città che sembra vivere in una situazione di vera e propria guerra a bassa intensità, con una città militarizzata da cima a fondo. Gli episodi di terrore poliziesco di oggi pomeriggio, con le forze dell’ordine che fanno scendere con la forza dai mezzi pubblici le persone dirette al presidio cittadino, sono un’ulteriore grave conferma di questa situazione.

Ma nell’eccezione che vuole farsi normalità, c’è chi ha deciso di non fare il convitato di pietra ed è passato al contrattacco. Una reazione che ha saputo mettere insieme tante persone, coinvolgendo innanzitutto un quartiere che si è sentito subito orfano di una presenza importante che durava da oltre vent’anni. Una reazione radicale, che sta quantomeno facendo pagare un caro prezzo all’arroganza. E mentre i checkpoint su via Alessandria fanno tornare alla mente situazioni di “altri mondi”, il nostro orizzonte andrà sempre alla ricerca di “mondi altri”. Mondi che passano innanzitutto da un concetto chiave: gli spazi sociali non si toccano.