Tra Casa Pound e Palazzo Chigi

Abstract dal libro "Destra Sociale" edito dalla ManifestoLibri.

Utente: MissV
20 / 10 / 2009

“Mutuo Sociale: se il Piano Casa ripartisse da lì?”. Il Secolo d’Italia non ha dubbi: “Alloggi popolari venduti a chi ci abita e prestiti a tasso zero. L’idea del Ministro Brunetta ricorda quella di Casa Pound”. È il 26 marzo del 2009 quando il giornale di Alleanza nazionale, in procinto di diventare “quotidiano nel PdL”, interpreta in questo modo le intenzioni del Ministro della Pubblica amministrazione reduce da un forum nella redazione delll’Unità. Brunetta, spiega il Secolo, «del vecchio sistema dell’edilizia residenziale pubblica non vuole più saperne e, mentre tutti parlano di costruire e ristrutturare, lui di fatto lancia la rivoluzione del “mutuo sociale”». «Il ragionamento del ministro è semplice: le case popolari ormai da tempo non danno alcuna risposta al problema dell’emergenza abitativa e, in più, comportano alla cosa pubblica costi enormi, non giustificabili. Tanto più in una situazione di crisi. “A questo punto – ha detto Brunetta – vendiamo tutto agli inquilini, a un prezzo capitalizzato dell’affitto. L’affitto medio è di 70 euro, riscattare la casa costerà in media intorno ai 25mila euro, per immobili che poi varranno cinque volte tanto”». Anche perché, aggiunge Brunetta, oggi «le morosità raggiungono il 40%, non ci sono i soldi per le manutenzioni e le Regioni spendono 3 miliardi l’anno». Quindi, meglio vendere.

Per Il Secolo d’Italia la proposta di Brunetta assomiglia davvero molto a quella che da tempo è diventata la bandiera del circuito delle “occupazioni non conformi”, quelli che sono stati spesso definiti come “centri sociali di destra”, guidate dalla romana Casa Pound. Nata dall’occupazione nel dicembre del 2003 di un edificio a due passi dalla Stazione Termini e da Piazza Vittorio, cuore multiculturale di Roma, quartiere definito da Gianluca Iannone, leader delle “onc”, – in un’intervista contenuta nel volume di Gerardo Picardo Destra radicale, (Settimo Sigillo 2007) –, come «una zona simbolo dell’abbandono e della disperazione, dove tra km di negozi cinesi, microcriminalità di varie etnie, microghetti ed eroina il popolo romano assiste impotente alla decadenza di quello che è stato per anni uno dei quartieri più belli di Roma», Casa Pound ha fatto da subito della questione abitativa “degli italiani” una delle sue priorità. «L’occupazione viene battezzata Casa Pound in onore del grande poeta americano anti-usura Ezra Pound – racconta ancora Iannone – e va bene, molto bene. Decine e decine di famiglie italiane vengono a bussare alla nostra porta. Vengono a chiederci aiuto. Vengono da noi, pur sapendo la nostra matrice politica, spinti dalla disperazione di non arrivare a fine mese. Il problema abitativo è alle stelle e noi ci muoviamo di conseguenza».

È da questa esperienza, e altre similari, alcune denominate “occupazioni a scopo abitativo”, “osa”, che nasce la proposta del “mutuo sociale”. «Sarebbe sterile e controproducente limitarsi a occupare palazzi abbandonati, veri e propri monumenti alla speculazione edilizia, senza tentare di elaborare una soluzione radicale ed efficace allo status quo che ha generato l’emergenza abitativa», spiega Simone Di Stefano, altro esponente di Casa Pound e Presidente del Comitato promotore della iniziativa di legge popolare per il Mutuo Sociale, sorto nel 2005, intervistato da Domenico Di Tullio in Centri sociali di Destra. Occupazioni e culture non conformi (Castelvecchi, 2006). «Il progetto di legge per il Mutuo Sociale prevede che lo Stato, attraverso le Regioni o i Comuni o direttamente tramite un Ente specifico, costruisca immobili residenziali che vengono poi rivenduti al nudo prezzo di costruzione (…) Queste case a basso costo, ma non di bassa qualità, verrebbero acquistate da famiglie, non proprietarie di altri immobili, attraverso la concessione di un Mutuo Sociale, ovvero una rata di mutuo senza o con infimo interesse». Quanto alle modalità di costruzione degli alloggi, conclude Di Stefano, si può ipotizzare una formula che rimanda a una memoria cara all’estrema destra: «profitto ragionevole e massima qualità costruttiva, come nei quartieri popolari costruiti durante il Ventennio; un esempio per tutti, il quartiere della Garbatella a Roma».

Il progetto “mutuo sociale” diventa così lo slogan principale di questa parte della destra radicale che ha scelto di darsi un profilo “sociale”. Ed è a partire da questa proposta che gli animatori di Casa Pound costruiscono nello spazio di pochi anni anche una fitta rete di relazioni con il resto della destra politica. Fino al PdL.

Sul loro sito definiscono del resto in modo chiaro le loro idee, i loro progetti e la possibile adesione di altri alla loro proposta sulla casa. «In totale la sigla “osa” rappresenta un centinaio di famiglie occupanti, gettate letteralmente in mezzo ad una strada da politiche liberiste sconsiderate», legate «alla proposta di Mutuo Sociale e alla lotta alla visione materialistica della casa. La casa non è un capitale, ma una integrazione spirituale alla vita dell’uomo. Quella del Mutuo Sociale è quindi una battaglia per sancire il diritto alla proprietà della casa... diritto in grado di cancellare per sempre quella che è la più subdola forma di usura: l’affitto (…) In questa fase iniziale lo sforzo deve essere concentrato sulla proposizione di una legge locale (Regionale o Comunale) per la realizzazione dell’Istituto per il Mutuo Sociale (…) In una seconda fase (…) si tenterà la presentazione di un progetto di legge di iniziativa popolare da presentare in parlamento (…) Il progetto non può essere modificato da nessuno e quindi chi lo promuove aderisce alla filosofia stessa della proposta: sancire il diritto alla proprietà della casa. Diritto in grado di far esplodere la bolla speculativa immobiliare e, nel tempo, di cancellare per sempre il mercato dell’affitto. Diritto in grado di risollevare da solo una buona parte dell’economia italiana».

Con questi programmi nel 2005 l’area che fa riferimento al circuito di Casa Pound presenta un primo candidato del “mutuo sociale” nella Lista Storace – che vede accanto agli esponenti del Polo berlusconiano anche alcuni candidati dell’estrema destra – in corsa per le regionali del Lazio. Storace ha già svolto un primo mandato ma fallirà il bis e anche per i suoi alleati non ci sarà nulla da fare. L’anno successivo Casa Pound e soci aderiscono al Movimento Sociale Fiamma Tricolore guidato da Luca Romagnoli, nel partito neofascista erano già entrati anche gli esponenti del Veneto Fronte Skinheads o ex dirigenti di Movimento Politico come Maurizio Boccacci. Quell’anno la Fiamma conclude un accordo elettorale con la Casa delle libertà per essere presente «in coalizione con i partiti di centrodestra (...) in tutte le circoscrizioni (...) con il proprio simbolo». Per la campagna elettorale la Fiamma di Roma realizza un manifesto scioccante: sotto la dicitura “Sostieni la squadra del cuore” è riprodotta la foto di un gruppo di squadristi degli anni Venti con tanto di bastoni in mano. «Credo che manifesto più bello non vi sia mai stato. Veramente. Un misto di autoironia, coraggio, bellezza e spudoratezza poteva essere fatto solo da chi ci crede», ammette Iannone ne la Destra radicale (op. cit.). In ogni caso, passano due anni e Casa Pound segue la Fiamma nell’accordo elettorale con La Destra di Francesco Storace e Daniela Santanché, entrambi usciti nel frattempo da An. La novità, questa volta, è che a candidarsi c’è lo stesso Iannone. Nel suo programma elettorale, accanto al “mutuo sociale” compaiono però anche altre proposte: “Mettiamo il guinzaglio alle Multinazionali e rilanciamo la produzione italiana ed una Europa autarchica”, “Contro la società multirazzista, fermiamo l’immigrazione obbligata e la guerra tra poveri”, “Garantiamo il diritto alla maternità e alla vita”, “Assicuriamo i mezzi di difesa alla nostra sovranità nazionale” e, perfino “Il cinema è l’arma più forte, per un uomo sano e colto, per una nazione libera”. Gli esiti non saranno però dei più brillanti: la coalizione nera non supera il 2,4% dei voti e, poco dopo, la Fiamma va in pezzi. A maggio del 2008 anche Casa Pound come altri gruppi dell’area neofascista lascia il partito di Romagnoli. Per dirigersi verso quali approdi?

Qualche segnale arriva, ancora una volta, dalle pagine del Secolo d’Italia. Dando notizia della presentazione nel febbraio del 2008 del “Piano casa di An”, recepito nel programma elettorale del PdL, il quotidiano postfascista spiega come nel documento intitolato “Per un nuovo rinascimento urbano” si parli sia della costruzione di nuovi alloggi che del mutuo sociale. «Siamo pronti a lanciare un grande piano nazionale per la casa che punti a costruire centomila alloggi. – spiegava all’epoca Gianni Alemanno, non ancora eletto sindaco di Roma –. Per realizzare il progetto occorrerà concentrare le risorse pubbliche nelle prossime tre Finanziarie; costruire un grande patto con i Comuni delle aree metropolitane e con le parti sociali per reperire aree edificabili a costo zero; promuovere un impegno della finanza privata e delle fondazioni bancarie per reperire le risorse necessarie ad attivare un elevato numero di mutui sociali per le case a riscatto». E Gianfranco Fini, all’epoca presidente di Alleanza nazionale e non ancora Presidente della Camera, definiva le coordinate “sociali” del progetto, parlando di un ceto medio che «guadagna troppo per accedere alle case popolari, ma non ce la fa a sostenere i prezzi di mercato», di giovani che senza casa non possono crearsi una famiglia e di anziani che rischiano di perderla ritrovandosi in mezzo a una strada. «Questo mette a rischio il nostro stesso assetto sociale», concludeva Fini riaffermando il valore della casa come “bene sociale”.

Da Terza posizione ai centri sociali di destra

Ma quali sono il percorso personale e i riferimenti politici degli animatori dei “centri sociali di destra” di cui il PdL sembra prendersi tanta cura?

Eredi del neofascismo degli anni Novanta, di gruppi come Movimento Politico e Meridiano Zero, ma anche dei settori più innovativi del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile missina, specie a Roma, come delle sottoculture di destra cresciute ai margini di queste formazioni (skinheads e mods di destra, ultrà del calcio, “tecnoribelli” e “neofuturisti”, musicisti e grafici, animatori di fanzine e riviste dal circuito amatoriale e militante) i “fascisti del terzo millennio” si aggregano su basi nuove: intorno a un gruppo musicale piuttosto che all’occupazione di un edificio, con modalità che sembrano dare più importanza alle forme “comunitarie” e allo “stile” piuttosto che all’ideologia. Anche se le apparenze, in questo caso, possono ingannare

Gianluca Iannone è ad esempio il cantante e il frontman del gruppo musicale ZetaZeroAlfa, intorno a cui si è costruita prima nella capitale e quindi a livello nazionale l’intera esperienza delle “occupazioni non conformi”. Anche prendendo in esame soltanto l’ultimo disco del gruppo, “La ballata dello stoccafisso”, pubblicato nel 2007, ci si rende subito conto di come la musica vivace, dura ma orecchiabile e i testi, costruiti quasi sempre in rime baciate, siano messi in realtà al servizio di una ben chiara “visione della vita”. Intanto il disco è dedicato a Peppe Dimitri, figura storica del neofascismo romano scomparso nel marzo del 2006. La sua storia aveva attraversato il percorso violento di Avanguardia Nazionale, di Terza Posizione e dei Nar. Era uscito dal carcere nel 1988, dopo essere stato condannato per diverse rapine e si era avvicinato, per poi aderirvi, a Alleanza nazionale. Alla sua morte, in tutta Roma manifesti e scritte sui muri ricordano con celtiche e rune il “Comandante Dimitri” come veniva definito per il suo ruolo nell’eversione nera della fine degli anni Settanta.

Anche il titolo del disco, apparentemente bizzarro, rivela delle sorprese. Nel libretto con i testi dei brani che accompagna il cd si può infatti leggere testualmente: «Durante il biennio rosso, Italo Balbo e i suoi squadristi si videro recapitare dal prefetto locale il divieto di girare con il manganello. La moglie di Balbo, cogliendo l’occasione al volo disse “meno male, così mi ammorbidite lo stoccafisso sotto sale…” e così dicendo porse al futuro gerarca una stecca dura come il marmo lunga più di un metro e mezzo… l’audace consiglio divertì molto gli squadristi che iniziarono ad ammorbidire stoccafissi e nemici che all’epoca avevano creato un clima di paura, violenza e ingovernabilità del paese. Chi l’avrebbe mai detto che la riscossa di una nazione sarebbe stata legata in qualche modo anche ad un pesce…». Si desume così che in realtà il titolo del disco dovrebbe essere interpretato come “La ballata del manganello” e che gli estensori del testo, vale a dire i componenti degli Zza, considerano gli squadristi di Italo Balbo e quanto seguì il cosiddetto biennio rosso, vale a dire la Marcia su Roma e l’avvento della dittatura fascista, come “la riscossa di una nazione”.

Ma non è tutto. L’intero disco contiene una serie di espliciti riferimenti, in termini di aperta e “giocosa” esaltazione, allo scontro fisico, esplicitati in un brano fin dal titolo: “Nel dubbio mena”. In un altro brano, “Nella mischia”, si dice: «Porta il casco e un fazzoletto, il coraggio ce l’hai dentro, fallo uscire sul momento (…) Sempre attento e resta pronto. Al segnale già deciso spaccheremo tutto quanto». Lo stile di performance del gruppo, evidenziato anche nei video che su internet mostrano le scene dei loro concerti, è sintetizzato però dal brano “Cinghiamattanza” che potrebbe richiamare gli scontri che si svolgono negli stadi di calcio dove gli ultrà non potendo portare bastoni o altri oggetti pericolosi all’interno delle curve si scontrano colpendosi con le cinture dei pantaloni brandite come armi: «Questo cuoio nell’aria sta ufficializzando la danza, solo la casta guerriera pratica cinghiamattanza».

Quanto alle biografie personali poi, lo stesso Iannone, già militante del Movimento Politico e giovane skinhead di destra all’inizio degli anni Novanta, è stato processato e condannato in più di un’occasione per atti di violenza nei confronti di giovani di sinistra o appartenenti alle forze dell’ordine. 

Sul piano delle idee, sempre Iannone che cita tra i propri “autori di riferimento” sia Benito Mussolini che Alessandro Pavolini, vale a dire il fondatore del Fascismo e l’ultimo segretario del Partito fascista repubblicano a Salò, sembra rifarsi al “fascismo rivoluzionario” che precedette l’instaurazione del regime. «Noi proviamo un grosso imbarazzo a riferirci a un’idea di Destra storica – spiega in Centri sociali di destra (op. cit.) – (… Nei) primissimi anni del fascismo c’è stato, attraverso l’unità di molte componenti diverse, reduci, anarchici, socialisti, futuristi, un grosso slancio rivoluzionario, che è arrivato ad abbracciare persino dei comunisti (…) Il fascismo è l’unità di queste correnti, questo slancio, un modo avventuroso e sprezzante di affrontare la vita, oltre alla giustizia sociale e la cura per i disagiati, fu tutt’altro che conservatorismo, fu rivoluzione». E in Destra radicale (op. cit.), precisa: «È un’unica storia. La nostra Storia. Lo Spirito di Fiume confluisce nel Fascismo. I Futuristi stessi confluiscono nel Fascismo. E quello che vorremmo trasmettere a vecchie e nuove generazioni è proprio questa visione del mondo. L’ardito e il poeta anziché il banchiere e il portaborse, la comunità anziché l’ego, il coraggio anziché la pavidità». «Una delle nostre prime qualità (ritengo) sia stata la capacità di rivoluzionare modelli e simboli della comunicazione – aggiunge Iannone – (…) fermo restando che il patrimonio storico/politico del Ventennio rappresenta per noi un enorme ed attualissimo pozzo da cui attingere».

Così, tra le decine e decine di iniziative che sono state organizzate presso Casa Pound non sono mancate quelle di presentazione di volumi dedicati alla memoria della Repubblica Sociale Italiana, alla storia dell’estrema destra dei passati decenni o alla celebrazione di figure particolarmente significative della cultura neofascista, dal filosofo Jiulius Evola al fondatore della Guardia di Ferro rumena, movimento fascista e antisemita degli anni Trenta, Codreanu, fino a uno dei leader di Ordine Nuovo, Clemente Graziani.

Anche perché intorno all’esperienza di Casa Pound confluiscono diverse generazioni di militanti dell’estrema destra. Una in particolare sembra aver marcato in modo più netto la sua presenza: quella proveniente da Terza Posizione, il movimento che a detta di uno dei suoi animatori, Gabriele Adinolfi, lunghi anni di latitanza all’estero e oggi, chiusi i conti con la giustizia, vicino all’ambiente di Casa Pound, riuscì a «coniugare l’idea e il pensiero tradizionale con l’impulso socialrivoluzionario e con il fermento ribelle» (da Noi Terza Posizione, Settimo Sigillo, 2000). Così una piccola esperienza costruita alla fine degli anni Settanta nella borgata romana di Palmarola, dove i neofascisti di Terza posizione sostennero il diritto degli abitanti a edificare delle abitazioni abusive, diventa addirittura una sorta di atto fondativo dell’esperienza che si rifà al “mutuo sociale”. «Non è azzardato dire che anche dalla battaglia di Terza posizione in difesa degli abusivi della borgata Palmarola, nasce e cresce quella sensibilità per il “problema casa” che emergerà forte, a venticinque anni di distanza, nella lotta politica per il Mutuo Sociale della giovane Destra non conforme romana», scrive Domenico di Tullio in Centri sociali di Destra (op. cit.). «Le onc – spiega del resto lo stesso Adinolfi – sono comunque esperienze formative, sono sacche di resistenza, riserve di idee che cercano in qualche modo di farsi sistema» (da Centri sociali di destra, op. cit.). Più, o oltre, che una sezione politica, Casa Pound appare dunque come una sorta di “scuola quadri”: forma i nuovi fascisti. E tra loro i ragazzi del Blocco studentesco

La riforma Gelmini e la rivincita sul ’68

«Si avvicina un camioncino con musica a tutto volume che vuole raggiungere la testa del corteo (…) inizia una discussione con questi nuovi venuti, tutti ventenni, di Blocco studentesco (…) cantano “Né rossi né neri, ma liberi pensieri”. Ma alla fine di questo coro si scatena la violenza, lo squadrismo di questo gruppo di esaltati dichiaratamente neofascisti». Mercoledì 29 ottobre 2008, mentre il Senato si appresta a dare il via libera al Decreto 137 che porta il nome del Ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini, a Piazza Navona, poche decine di metri di distanza in linea d’aria, si scatenano violenti scontri tra giovani di destra e giovani di sinistra che partecipano a una manifestazione studentesca contro la legge. Uno studente del Liceo romano Tasso scriverà due giorni dopo a Repubblica per raccontare la sua versione dei fatti, descrivendo “le cariche” dei giovani del Blocco «contro chiunque si trovino di fronte» e chiedendosi «perché lo Stato non mi ha difeso?».

Sui giornali e in televisione spuntano decine di testimoni che puntano il dito verso l’estrema destra e sottolineano la presenza di un furgoncino pieno di bastoni che i neofascisti avrebbero portato in piazza, ma il Blocco studentesco si difende e offre sul proprio sito internet un’altra versione dell’accaduto con tanto di immagini e video. Il Governo presenta una prima ricostruzione dell’accaduto che attribuisce ogni responsabilità all’estrema sinistra, ma a distanza di pochi giorni si corregge e parla di aggressioni venute dai neofascisti. Digos e Magistratura indagano. A suggellare la giornata di violenza a Piazza Navona resta però soprattutto un’immagine: quella dei giovani di Blocco studentesco che si schierano davanti a fotografi e telecamere imbracciando bastoni dipinti con il tricolore: sono in attesa dello scontro. L’“Onda nera” ha i suoi primi eroi.

La mobilitazione cresciuta nelle scuole e nelle università italiane contro le scelte in materia di istruzione del Governo Berlusconi, impersonate dal Ministro Gelmini («La scuola cambia – annuncerà l’esponente di Forza Italia dopo il voto del Senato – Noi vogliamo cancellare dalla scuola e dall’università l’ideologia dell’egualitarismo, del 18 o del 6 politico a tutti»), quel movimento che ha finito per essere chiamato “Onda” ha segnalato una novità, per quanto numericamente marginale: la presenza di una componente di destra, anzi di estrema destra, in un movimento giovanile di contestazione. Non accadeva dal 1968.

Il blocco studentesco. Canzoni e bastoni

«Mille cuori una bandiera, mille braccia verso il sole, siam sudati d’allegria, siamo svegli a tutte l’ore (…) E si aprirà la folla al passaggio della banda, siamo il Blocco studentesco state tutti bene in guardia». La voce di Gianluca Iannone detta la linea: “Fare blocco” è una canzone contenuta nell’ultimo disco degli ZetaZeroAlfa, “La ballata dello stoccafisso”.

È in questo ambiente che è nato del resto il Blocco studentesco: vale a dire nel cuore del circuito neofascista italiano sorto intorno alle cosiddette “occupazioni non conformi”, prima fra tutte Casa Pound.

«Siamo nati nell’estate del 2006 a Casa Pound, “l’occupazione non conforme del fascismo del terzo millennio», spiegano del resto i giovani del Blocco. Il loro obiettivo dichiarato è quello di «portare lo stesso spirito d’avanguardia, lo stesso stile che ha contraddistinto l’esperienza delle occupazioni non conformi, nelle scuole». Il nostro, precisano, «è un movimento rivoluzionario, di rottura con quella che è la scuola di oggi, la scuola azienda dove le idee sono proibite, dove gli studenti non contano nulla, dove a farla da padroni sono i professori nostalgici del ’68 e i presidi-manager». «Con il nostro stile ironico, goliardico, irriverente, affermiamo un modo diverso, nuovo, d’essere: contro i giovani vecchi dentro delle organizzazioni partitiche giovanili, succubi del politicamente corretto, politicanti in miniatura sempre a caccia di voti, sempre in mostra, schiavi dell’apparenza».

Pur opponendosi alla “riforma Gelmini” e esprimendo critiche al governo Berlusconi, di cui An fa parte integrante, i ragazzi del Blocco studentesco hanno però colpito il cuore della destra nazionale compresa nella maggioranza, evocando quel “ritorno all’unità generazionale” che i neofascisti (poi postfascisti) avevano visto sfumare nel breve spazio di un pugno di giorni che separarono gli scontri del 1 marzo del 1968 a Valle Giulia, a cui presero parte anche giovani di estrema destra, e l’intervento dei mazzieri missini, guidati da Giorgio Almirante, il 16 dello stesso mese contro il movimento studentesco e per riportare l’ordine “e il Tricolore” alla Sapienza. Si trattò, all’epoca, di una sorta di conflitto generazionale in seno al neofascismo, scomparso dalla memoria del paese ma coltivato fino ad oggi in quell’ambiente, come spiega Nicola Rao, giornalista e studioso dell’estrema destra, nella prefazione al volume di Alessandro Gasparetti La destra e il ’68 (Settimo Sigillo, 2006) che illustra fin dal sottotitolo quale ricordo degli eventi sia rimasto a destra: «la partecipazione degli studenti di destra alla contestazione universitaria. La reazione conservatrice e missina». Il Sessantotto, scrive Rao, racconta «una storia che parla di due fascismi contrapposti. Due diversi modi di intendere il fascismo, o meglio: il neofascismo. Un neofascismo di lotta e un neofascismo di governo e d’ordine. Quasi una rivolta dei figli contro i padri. Tutta interna alla destra italiana». «Si perché anche questo accadde in quell’anno nel nostro paese – racconta Rao – : lo scontro tra una nuova generazione di fascisti e quella che li aveva preceduti (…) Una contrapposizione che vedrà per qualche mese i fascisti giovani a fianco dei loro coetanei di sinistra a guidare la contestazione studentesca, fino a quel tragico, terribile 16 marzo 1968, in cui i “padri” ristabilirono la verità storica, riportando nei “giusti” binari la questione: da una parte i fascisti cattivi e reazionari, dall’altra i giovani di sinistra buoni e rivoluzionari. Quel giorno la carica alla Sapienza (…) cancellò l’illusione di un’intera generazione di giovani fascisti: quella di poter essere contemporaneamente militanti di estrema destra e rivoluzionari, giovani del proprio tempo e contestatori dell’ordine costituito». Una ferita che, come si può capire facilmente da queste parole, per la destra non si è più rimarginata e che in molti hanno sperato si potesse chiudere proprio con l’irruzione tra gli studenti dei “fascisti del terzo millennio». Così Pietrangelo Buttafuoco, giornalista per molto tempo missino, ha descritto con queste parole su Panorama il “fenomeno” del Blocco: «Giovinezza al potere (…) Una malattia allegra che conquista i ragazzi di una città che non è solo quella raccontata dai figli di papà, ma anche quella non conforme rispetto alle ideologie e ai cappelli dell’egemonia culturale della sinistra». Quanto al quotidiano di An Il Secolo d’Italia, ha letto in questi termini gli scontri di Piazza Navona: «Noi non siamo il giornale del Blocco studentesco (…) Detto questo, i video li sappiamo vedere tutti. E dai video trasmessi sul web e nei tg si capisce chiaramente che la carica contro i ragazzi del Blocco studentesco è partita dal gruppo dei centri sociali (…) C’è stato l’arrivo in piazza dei “vecchi” nostalgici dell’antifascismo militante, quelli che non tollerano una protesta unitaria degli studenti. E i vecchi, con la loro bava alla bocca in cerca di un nemico da colpire e da isolare, hanno dirottato la loro rabbia sull’unica vera novità della contestazione di questi giorni, la presenza in piazza di studenti che non si riconoscono nel Pd, nell’Uds, nell’antifascismo dei collettivi, nella retorica dei sindacati (…) La novità erano gli studenti del Blocco».