Tre, due, uno... vai!!

Voci fuori campo, falsità poliziesche, miseria della politica

21 / 1 / 2013

Chissà se “appena arrivano fracassateli, dio boia!” è destinato a diventare il tormentone dei prossimi mesi. Forse non varrebbe nemmeno la pena di commentare lo spessore grottesco delle smentite della Polizia su come sono andate effettivamente le cose il 14 novembre scorso davanti la stazione ferroviaria di Padova. Ma c'è un'inchiesta penale in corso, c'è una decina di attivisti che andrà a processo per i consueti reati di resistenza e violenza aggravati, c'è la reiterazione di un'aggressione immotivata contro manifestanti inermi. Vero che il Tribunale del Riesame ha ridimensionato il quadro afflittivo disposto dal Gip, ma l'iter giudiziario non si arresta e ai due cui sono stati revocati gli arresti domiciliari è stato imposto l'obbligo quotidiano di firma: un contentino all'accusa e a chi vuole i movimenti in galera bisognava pur darlo. Così, se la questura “esclude categoricamente” che la voce che urla cristianamente “fracassateli” sia attribuibile ad alcun dirigente, considerato che è con tutta evidenza la stessa voce che rabbiosamente dispone e comanda la carica, la domanda sorge spontanea: chi ha ordinato la carica prima che ci fosse anche il minimo contatto con i manifestanti? Un pendolare della linea regionale Padova-Castelfranco? Un leghista in attesa del taxi? Un agente dei servizi segreti? Per una volta tocca ripeterci: ma chi credete di prendere per il culo?

In oggetto c'è un filmato della Polizia Scientifica (scientifica!), non un estratto anonimo da youtube. Stupore zero, è così che vanno le cose. Ricordare il video che ritrae quel comandante della Celere che passa di fianco al cadavere di Carlo Giuliani e urla a un manifestante “sei stato tu a ucciderlo col tuo sasso, bastardo!”. Ricordare l'esame autoptico che mette in evidenza, a lato del foro di ingresso della pallottola nella fronte di Carlo, una lesione lacero contusa inflitta verosimilmente con una pietra. Ricordare il proiettile deviato da un calcinaccio. Ricordare i corpi che escono dalla Diaz in barella e i rapporti della questura che certificano che erano già feriti al momento dell'irruzione. Ricordare i piercing ai capezzoli strappati con le pinze a Bolzaneto. Ricordare questi ultimi dieci anni, Cucchi, Aldrovandi e gli altri, ma volendo si può andare anche molto più indietro, magari fino alla bomba di Piazza Fontana “deposta dagli anarchici”. Archeologia giudiziaria: è di oggi che stiamo parlando. Dell'attualissima operazione giudiziaria che ogni giorno che passa mette in sempre maggiore evidenza il suo carattere di operazione politica, con solide radici localistiche e un orizzonte di allineamento coerente alle politiche di comando sulle dinamiche del conflitto sociale.

In oggetto c'è un materiale accusatorio surreale: un'interruzione di pubblico servizio che prende forma in seno a una giornata europea di sciopero generale, scudi di plastica che diventano armi in grado di cagionare lesioni, un agente che riesce a portarsi a casa 45 giorni di prognosi per essere stato colpito da un petardo. Si traduce in arresti domiciliari e provvedimenti diversamente restrittivi della libertà personale. Si sforza di mettere in chiaro le basi d'appoggio per lo sviluppo di futuri reati associativi. Mette in evidenza l'aperta disponibilità della magistratura locale, a costo di arrampicarsi sugli specchi, a raccogliere i suggerimenti di un certo ceto politico saldamente incollato alle proprie poltrone o in patetico tentativo di conquistarle, che non riesce a trovare risposte diverse dalla criminalizzazione davanti alle istanze di rinnovamento e di lotta per una migliore qualità della vita, in un contesto di profonda crisi di sistema e di impoverimento crescente. Testimonia con chiarezza, come lucidamente è descritto altrove in questo portale, la separazione sempre più profonda e percepibile tra le necessità che il paese reale elabora sul piano della condivisione dei diritti e dei beni comuni e l'attività del legislatore. Il conseguente legame sempre più stretto tra lotte e galera, il cortocircuito sempre più frequente tra legalità e legittimità.

Con molta pazienza e senza timore di tedio perciò torniamo a chiedere che la politica si occupi di risolvere le problematiche del conflitto sociale revocando la delega unica e il relativo salvacondotto giudiziario alle nostre quattro polizie. Chiediamo regole certe nelle dinamiche di ingaggio tra polizie e manifestanti, nell'uso delle armi convenzionali e non in funzione di ordine pubblico, nella necessità di poter identificare il personale operante tramite sigle o numeri sulle divise. Chiediamo l'introduzione del reato di tortura nel nostro ordinamento penale e che il reato di devastazione e saccheggio resti confinato agli ambiti per cui è stato concepito. Localmente è lecito aspettarsi che al più presto anche i residui obblighi quotidiani di firma siano revocati e che la questura porti velocemente a termine un'inchiesta approfondita e inflessibile sugli infiltrati nelle sue linee di comando: è davvero inquietante pensare che, se non è nessun dirigente a farlo, ci sia qualcun altro in grado di dare ordini perentori - e di farli eseguire tempestivamente - alle truppe antisommossa. Vogliamo chiedere all'agente “Pizza” (“...stai qua porco dio!”) di chi è quella voce?