Ennesima morte al carcere di Trento

Trento - Morire di carcere

Di Nicola Canestrini *

25 / 7 / 2014

Il carcere modello di Trento, dipinto dalla sua inaugurazione come struttura di eccellenza, piange un (altro) morto. “Non fatemi vedere i vostri palazzi ma le vostre carceri, poiché è da esse che si misura il grado di civiltà di una Nazione”, scriveva Voltaire.
Qual è la situazione carceraria e quindi il livello di civilità in Italia?
Da tempo le voci più autorevoli italiane ed internazionali denunciano la vergognosa situazione delle carceri italiane: è ormai patrimonio conoscitivo comune che l’Italia nel gennaio 2013 è stata condannata dalla Corte Europea per diritti dell’Uomo per condizioni di detenzione incompatibili con il rispetto della dignità umana, sancendo la violazione dell’articolo 3 della Convenzione che proibisce nientedimeno che la tortura (sentenza cd. “Torreggiani”).
L’Italia dunque può vantare il triste primato di essere stata condanna dalla Corte Europea per aver sottoposto i detenuti a trattamenti inumani o degradanti. E’ infatti evidente come ogni detenzione comporti disagi, ma è
altrettanto evidente che le modalità di esecuzione della misura non devono sottoporre il detenuto l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una
prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente
alla detenzione.
Lo stesso Governo italiano ha ammesso di un problema strutturale delle carceri (cioè insufficienza dell’edilizia carceraria): al di là degli sforzi degli operatori della polizia penitenziaria e del personale impegnato (con mille difficoltà) nel volontariato carcerario, varie cause hanno contribuito al triste primato italiano, che anche sul piano internazionale ha portato a giudizi assai pesanti in termini di credibilità.
Vengono indicate come possibili cause per il sovraffollamento, con gradazione diverse: il massiccio uso di carcerazione preventiva, cioè di detenzione prima della condanna definitiva (Antigone riferisce che oltre un terzo della popolazione carceraria è in attesa di sentenza definitiva!), ma anche una legislazione spinta dall’ossessione securitaria (si veda le legislazione vigente fino ai recenti provvidenziali interventi delle massima autorità giurisdizionali in tema, ad esempio, di stupefacenti, di immigrazione, o di recidiva, ..), o ancora la eccessiva durata dei processi, la carenza di personale, .. hanno portato – secondo i dati del Ministero della Giustizia, Dipartimento amministrazione penitenziaria al 31 ottobre 2013 – 64.323 detenuti di fronte a una disponibilità regolamentare (già forse sovrastimata) di 47.615 posti.
Ancora lo scorso mese di maggio, in un messaggio in occasione del 197esimo
anniversario del Dipartimento della Amministrazione penitenziaria, il Capo dello Stato ribadisce anche l'urgenza di rimodulare il sistema penitenziario e di esecuzione della pena per "superare la realtà di degrado civile e di sofferenza umana” (che segue il messaggio alle camere dell’ottobre 2013).
Ecco come un magistrato (!) racconta a un quotidiano della Capitale i suoi 45 giorni di custodia cautelare: “Ogni giorno è di ordinaria follia. Il ritmo della vita è paralizzato, schiacciato sotto il peso insostenibile della monotonia.(..) «Dentro le strutture non funzionano. Quella che chiamo "aria", e cioè la possibilità di sgranchirti le gambe, è troppo limitata, le porzioni di vitto sono ridotte, il cibo non è commestibile; le «domandine», necessarie per ogni cosa che si possa o voglia fare, spesso si perdono. E le visite mediche che tardano di mesi, se fa freddo ci si riscalda con le bottiglie di acqua bollente. Ovunque si sentono voci
straziate immerse in una pozza di sangue che chiedono disperate l'intervento degli infermieri che non arrivano mai o giungono in ritardo; si litiga, ci si ammazza di botte, si vive in uno spazio irrisorio. Non ci sono percorsi rieducativi seri che diano la possibilità di lavorare o studiare. (..) Ho negli occhi scene che non scorderò mai. A Rebibbia c'è Biura: drogata o pazza, parla in un linguaggio misterioso, si dispera, tenta di rompersi il collo, sputa. Con la pancia gonfia perché incinta si lancia contro il vetro della cella; vomita e si strappa i capelli. (..) A Capanne invece c'era Hesna reclusa per furto. Quand’è nata la bambina più piccola, in carcere, le avevano diagnosticato un fibroma, che avrebbe dovuto operare. Ma non le hanno mai detto la verità. Urlava dal dolore, le avevano spiegato che si trattava di cirrosi epatica ma i suoi bambini
erano troppo belli. Prima di morire chiedeva dei figli ma erano scomparsi. Non sappiamo dove e se sia stata sepolta. Caterina, omicida, deve scontare
35 anni: il fidanzato fatto a pezzi e trovato nel frigorifero. All'ennesima richiesta di permesso negata, Caterina, urlando e muovendosi scompostamente, ficcandosi le mani in gola, si lancia contro il blindo con tutta se stessa fracassandosi la testa. Il sangue le cola sul viso ma riescono a bloccarla soltanto tre assistenti».

Cosa si è fatto? Il governo in carica – con piglio decisionista – ha pensato di rimediare al problema introducendo 8 € o di un giorno di sconto per ogni dieci di detenzione il risarcimento per il sovraffollamento: peraltro, nel silenzio di (quasi) tutti, la norma stabilisce che con lo stesso metro verrebbero risarciti anche atti classificabili come tortura.
Approccio migliore, ma destinato al fallimento pratico in caso non si ponga rimedio alla cronica mancanza di personale dell’Ufficio penale esecuzione esterna (a Trento ci sono poco più di due assistenti sociali per centinaia di detenuti!), è forse rappresentato dall’introduzione dell’istituto di messa alla prova, che finalmente dà una alternativa alla repressione come unica risposta dello stato. Ci vogliono però i fondi necessari.
Si dirà: il carcere se non è punitivo che carcere è? E quindi qualcuno forse si rallegrerà del fatto che dal 2000 ad oggi 824 detenuti si sono suicidati (su 2.319 decessi di detenuti complessivi in una agghiacciante statistica destinata ad essere superata ogni giorno; fino a ieri erano 23 i suicidi solo nel 2014).
A coloro – con il Prof. Andrea Puggiotto, che venne proprio a Trento a parlare
del “volto costituzionale della pena” qualche anno fa - ricordo che il ritratto della pena disegnato dalla nostra Costituzione non è la vendetta, ma è la finalità rieducativa, il divieto incondizionato della morte come pena, il divieto altrettanto incondizionato di pene inumane e degradanti.
Non c’è alternativa possibile, e solo l’attuazione di questi principi, anche con l’aiuto della società civile, eviterà altri morti, che non sono e non possono essere inquadrati come “effetti collaterali” della carcerazione.

Nicola Canestrini
Presidente della Camera Penale di Trento M. Pompermaier