Trivelle a 5 Stelle

Intervista a Enzo Di Salvatore (Coordinamento Nazionale No Triv)

9 / 1 / 2019

La scorsa settimana si è diffusa la notizia del rinnovo delle concessioni petrolifere e dei permessi in scadenza sia nel Mar Ionio che al largo dell’Emilia-Romagna. I vari comitati che da anni si battono contro le trivellazioni sono scesi sul piede di guerra, accusando esplicitamente l’attuale esecutivo e in particolare gli esponenti del MoVimento 5 Stelle, che proprio sullo sfruttamento petrolifero dell’Adriatico e dello Ionio avevano fatto proselitismi in campagna elettorale. Questi ultimi, ripetendo quasi a cantilena quanto già avevano detto per la vicenda Tap, continuano a dare la colpa ai precedenti governi, ma la situazione che sta emergendo li mette sempre più di fronte alle proprie responsabilità politiche. Abbiamo intervistato sul tema Enzo Di Salvatore, costituzionalista e portavoce del Coordinamento nazionale No Triv.

I media hanno dato ampio risalto al conflitto apertosi nei giorni scorsi tra il ministro dello sviluppo economico Luigi Di Maio e i vari comitati e movimenti che lottano contro le trivellazioni nei nostri mari. Quali sono i termini di questo conflitto?

Diciamo che si è trattato di una polemica e che questa si è indirizzata, oltre che nei confronti di Di Maio, anche nei riguardi del ministro dell’ambiente Sergio Costa, del sottosegretario allo Sviluppo Economico (con delega all'Energia) Davide Crippa e della parlamentare del MoVimento 5 Stelle Milena Liuzzi. Il fatto è che se non si fosse accesa anche mediaticamente la questione sarebbe rimasta lì: scritta nero su bianco sul Bollettino Ufficiale degli idrocarburi e poi magari dimenticata. Al cospetto di una politica che come metodo rincorre ormai il consenso sui social network, bussare alla sua porta timidamente non sarebbe servito a niente.

Le autorizzazioni sono state rilasciate da tutti i precedenti governi, sia permessi di ricerca sia di coltivazioni, proprio perchè è l’attuale legge che lo prevede. Nessun governo si è preso finora la briga di modificare il quadro normativo per far fronte al problema. Tranne il Governo Renzi, che dopo aver adottato lo Sblocca Italia, ha dovuto far marcia indietro per evitare il referendum e accogliere alcune proposte. Per questa ragione, nel momento in cui arrivano le richieste al Ministero, questo non può fare nient’altro che procedere, proprio perchè glielo impone la legge. Ci troviamo di fronte a procedimenti che nascono anni fa, che hanno attraversato diversi Governi e che si sono conclusi sotto il governo Conte.

Qual è il punto? Se un dirigente ministeriale agisce entro la cornice dell’attuale quadro normativo non può far nulla, non può dire di no all’autorizzazione, tranne i casi espressamente casi previsti dalla legge. Questo si protrarrà fino a quando la politica non deciderà di cambiare la legge. Quando Di Maio, Crippa e Costa dicono: «non siamo noi che abbiamo autorizzato le trivellazioni, ma sono stati i governi precedenti» confondono due piani: quello amministrativo e quello politico. Se si dice che sia colpa dei “governi precedenti”, allora occorre dire che sia anche colpa dell’attuale, proprio per non avere modificato il quadro normativo esistente. Se, al contrario, concordassimo sul fatto che la questione sia solo di natura amministrativa, allora non avrebbe “colpa” nessuno dei governi precedenti.

I governi precedenti sono politicamente responsabili per le leggi che hanno adottato (in particolare Monti per il Decreto Sviluppo e Renzi per lo Sblocca Italia), ma questo governo è allo stesso modo responsabile per essere stato inerte rispetto al quadro normativo ereditato. Io stesso ho avuto modo di svolgere un’audizione in Parlamento nel 2014 – tra l’altro presieduta da Crippa – e di rappresentare i problemi che il quadro normativo presenta. E in quella sede ho avuto modo di precisare che l’unico strumento in grado di sospendere i procedimenti in corso sia la legge. Lo ha fatto persino il governo Berlusconi nel 2010, in seguito al disastro nel Golfo del Messico, con una modifica al Codice dell’ambiente: con esso ha espressamente vietato il rilascio di nuovi titoli entro le 5 miglia marine (poi divenute 12) e sospeso i procedimenti in corso.

Questo dimostra che la politica ha tutti gli strumenti per intervenire a monte. I dirigenti possono accogliere o rigettare una richiesta per motivi, per così dire, “tecnici”; il resto compete alla politica.

Quali sono attualmente le condizioni per cui è possibile negare le autorizzazioni?

I casi sono molteplici e differenti tra loro, ma riguardano – come dicevo – aspetti di carattere tecnico e non politico. Ѐ un pò come la questione delle autostrade: si può revocare la concessione autostradale? Sì, ma solo nel momento in cui il concessionario sia venuto meno agli specifici obblighi previsti dalla concessione. Mutatis mutandis, nel caso degli idrocarburi, i permessi possono essere revocati solo qualora sussistano gravi ragioni di carattere ambientale e in generale tutti i titoli solo quando il concessionario sia inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dalla concessione (rispetto agli obblighi di natura economica, finanziaria, perché non ha iniziato le attività previste, ecc.). In questi casi, il titolo può essere revocato e non è dovuto alcun risarcimento da parte dello Stato. Ma questo è completamente diverso rispetto alla volontà politica di incidere o meno – entrando nel merito dei problemi - sugli aspetti puramente tecnici o amministrativi.

Si conferma - quindi – il carattere puramente strumentale ed elettoralistico dell’ambientalismo pentastellato?

A mio avviso la questione è completamente sfuggita di mano al MoVimento 5 Stelle perché il tempo per adottare un atto normativo – su questa, come su altre cose – c’è stato. La retorica dell’«abbiamo le mani legate» non regge più. Ora hanno annunciato che interverranno con il Decreto Semplificazioni rigettando 40 richieste. Bisogna vedere in che modo sarà scritto l’emendamento che è stato annunciato ieri. Va bene il piano delle aree e va bene sospendere i procedimenti in corso nell’attesa che il piano sia adottato (anche se poi occorrerà vedere cosa accadrà rispetto ai c.d. “titoli connessi”). Non mi convince, invece, la proposta di sospendere l’efficacia dei permessi già rilasciati perché questo finisce per incidere sul legittimo affidamento delle società petrolifere. Piaccia o no, si tratta di un principio generale dell’ordinamento giuridico e di un principio dell’ordinamento dell’Unione. Se una multinazionale impugna e va al TAR, il TAR boccerebbe il provvedimento amministrativo; ed anzi, per questa parte, solleverebbe persino la questione di legittimità della legge davanti alla Corte costituzionale.

Insomma, non basta un tratto di penna per cambiare in cinque minuti la situazione. Occorre riflettere attentamente senza lasciarsi prendere dall’ansia di dover recuperare sul piano del consenso elettorale.

Quale può essere, in questo contesto, il ruolo dei movimenti?

I movimenti possono fare tanto e, se sussistono le condizioni, possono dare un grande contributo ai tavoli istituzionali. C’è stata una richiesta formale da parte dei ministeri dell’ambiente e dello sviluppo economico per istituire un tavolo con i diversi comitati territoriali interessati, ma con una lettera inviata al Ministro Costa i movimenti hanno declinato l’invito. Le ragioni di questo rifiuto risiedono proprio nel fatto che non ci sono le condizioni immediate per affrontare pacatamente una discussione costruttiva, nel momento in cui alcuni esponenti di governo accusano gli attivisti dei movimenti di essere in malafede o di voler esercitare la critica per fini meramente politici. I Comitati lavorano da anni su queste tematiche e la loro esperienza sarebbe utile alla risoluzione di molte questioni. Nella lettera inviata essi hanno precisato di essere disponibili a un incontro futuro, ma evidentemente, come sta a provare il comunicato stampa di ieri, i tempi del mantenimento del consenso elettorale non coincidono con quelli della buona politica, che è sempre politica dei piccoli passi.

A questo aggiungo il fatto che il 14 gennaio ci sarà una riunione promossa dal Presidente della Regione Puglia Emiliano, che ha convocato non solo le 10 regioni che avevano promosso il referendum contro le trivellazioni del 17 aprile 2016, ma anche attivisti dei movimenti. Io stesso parteciperò all’incontro e si valuterà, anche in questo caso, se ci saranno le condizioni per costruire una proposta legislativa che abbia un senso.