Tutta un'altra storia

21 / 12 / 2010

Una rivolta non è mai un fatto lineare, scontato, facile da interpretare: è un fatto contestuale, va letto con il riferimento ad anni di lotte e anni di risposte arroganti da parte del governo, all'interno di una crisi che devasta le vite di chi ne subisce pesantemente le conseguenze. Lo smantellamento dell'università, la precarietà come forma di vita e il ricatto come condizione abituale segnano una generazione che sogna e desidera molto altro, e lo scippo del futuro produce rabbia, produce rivolta e al tempo stesso indica uno spazio aperto e irrisolto, che solo a partire dalla capacità di immaginare e costruire nuove forme di decisione comune, di contrattazione sociale, può vincere e imporre un radicale cambiamento della politica.

Sono passati diversi giorni dal 14 dicembre , scriviamo solo oggi perché abbiamo preferito ascoltare le tante voci che hanno vissuto quella giornata, leggere i racconti in rete, sui blog, nelle facoltà, rivedere le immagini che ci parlano della giornata: scriviamo perché crediamo che ognuno abbia qualcosa da dire, da raccontare. Perché serve una narrazione, collettiva e multiforme, che sappia comporre un modo nuovo di guardare questo Paese, per immaginarne il presente in maniera radicalmente diversa.

Sappiamo bene che ogni volta che la ribellione esce dagli schemi previsti c'è subito la parola meditata e falsa di molti giornali: dicono che erano 200 black block (chi?) per esorcizzare la paura di un governo illegittimo davanti a una piazza in rivolta, quando gli unici criminali ben pagati erano 314: tanti sono i voti che hanno permesso ad un governo in crisi, isolato dal paese, corrotto e mafioso di restare ancora un po' in piedi. Ma per quanto? Adesso nelle facoltà, tra mille dibattiti nelle assemblee, una cosa è certa: vogliamo tutti con forza uno sciopero generale che blocchi ad oltranza il paese e mandi a casa il governo.

Come scrive Wu Ming «serve un nuovo racconto. Senza le narrazioni da scambiarsi di sera intorno al fuoco, ogni guerriglia nel deserto è destinata alla sconfitta». Un racconto che coinvolge chi da tutta Italia stava in piazza quel giorno, chi non c’era e lo immagina, si fa raccontare, si chiede perché.

È un susseguirsi, un rincorrersi di parole, aneddoti, ognuno vuole raccontare, ascoltare, condividere.

Si parla di Genova, ma siamo altro. A Genova non c’eravamo, come quasi tutti quelli che erano in piazza martedì scorso, ma Genova ha significato molto per noi. Siamo figli di quelle giornate, ma come tutti i figli prima o poi ci si deve allontanare dalla famiglia, dai ricordi, dal quel senso d’appartenenza, non per rinnegarli ma per avere un’altra storia da raccontare. Il 14 dicembre tutto e non solo i fatti di Piazza del Popolo sono stati un nuovo spartiacque.

Ci siamo chiesti qual è per noi la cosa più interessante di quella giornata, non l’abbiamo trovata perché ognuno dice la sua, ognuno crede che ci sia qualcosa di più importante dell’altra. E quindi decidiamo di raccontare qualcosa di diverso: la sera prima del corteo era incredibile girare nella Sapienza Occupata e vedere ovunque quei libri scudo che ognuno costruiva, commentava, trasportava. Era una determinazione collettiva, la scelta di massa di non accettare più che qualcuno decida sulle nostre vite. Ognuno sperava che il suo libro preferito stesse in prima fila il giorno dopo, che fosse proprio lui a portarlo, tutti sapevano che si andava incontro ad una giornata storica, una di quelle in cui vuoi essere protagonista. Non c’erano buoni e cattivi eravamo semplicemente noi, il corpo vivo di questa società deciso a riprendere parola. 

Nessuna apologia, ma mai chiedere scusa: nessun feticismo ideologico di pratiche, ma capacità di rilanciare con forza, perché abbiamo ragione, perché le decine di migliaia di piazza del Popolo parlano a tutti, e interrogano il paese. Da Londra a Parigi, da Atene a Dublino, esplode con forza l'indignazione diffusa: vorrebbero ridurre il tutto a questioni di ordine pubblico, minacciando e invocando arresti, incapaci di una risposta politica, chiusi nei palazzi delle loro zone rosse spoglie di ogni parvenza democratica.

«Branca Branca Branca … Leon Leon Leon»: chissà che risate si sarà fatto Mario Monicelli guardando da chissà dove il book block avanzare su Corso Rinascimento. C’era anche l’armata Brancaleone fra i libri che avanzavano, una licenza poetica e cinematografica, un omaggio a chi ci ricordava nella sua ultima intervista che la speranza è una trappola creata dai padroni. Beh la speranza noi l’abbiamo lasciata a casa da tempo, figurarsi dove abbiamo messo la fiducia in questo governo e in questa rappresentanza in crisi. Abbiamo deciso di non fuggire da un paese che sembra non possa offrirci alternative, abbiamo deciso di resistere nelle facoltà, nei luoghi di lavoro, nelle occupazioni e nelle piazze. Abbiamo deciso di ricominciare a sognare perché «quando lo si fa da soli è solo un sogno, quando si è in due diventa realtà». Figuriamoci in centinaia di migliaia.

P.s. Rievocare (e rivendicarsi) la più grande montatura giudiziaria contro i movimenti come ha fatto Gasparri è assolutamente ignobile e vergognoso. È il segno di un governo che ha paura. Ma visto che ha anche sbagliato data vogliamo anche noi giocare sull’errore. Ci siamo andati a guardare il 7 aprile su wikipedia e abbiamo scoperto che nel 1300 Dante iniziava, forse sotto allucinogeni, il suo viaggio nella “selva oscura” e Hoffman nel 1943 sintetizzava l’Lsd. Abbiamo trovato il filo conduttore. Il nostro ex ministro è sotto l’effetto di un Bad Trip! 

* Anomalia Sapienza – UniRiot