Editoriale UniCommon

Tutto un altro mondo - note dalla Val di Susa

6 / 7 / 2011

 Che i giornali facciano politica, prima che informare, è cosa nota. Ora però si è passato il segno, si è andati oltre il minimo sindacale di deontologia professionale e dignità. Per chi come noi è stato in Val di Susa domenica, la rassegna stampa del lunedì mattina, ancora ammaccati intossicati e stremati da due notti perlopiù insonni, provoca conati di vomito. Di fronte a tante balle, raccontate sapendo di mentire, è forse utile ricapitolare un po' di fatti – questa vecchia categoria volentieri buttata alle ortiche dalle belle penne strapagate.

Cominciamo dallo sgombero di lunedì. I bulldozer sfondano le barricate della Libera Repubblica della Maddalena, gli agenti sparano centinaia di lacrimogeni contro i valsusini in presidio, costringendo persone di ogni età alla fuga per i sentieri di montagna, inseguiti dai gas e dai manganelli. La risposta della valle è immediata: il giorno dopo in ventimila scendono a Susa in fiaccolata, e in assemblea viene lanciato un appello ad una manifestazione nazionale per riprendersi il presidio. 

All'appello rispondono in tanti. Domenica da tutta Italia siamo accorsi a Chiomonte, per unirci ai comitati che da anni portano avanti la loro battaglia di resistenza e di democrazia, per affermare che sui beni comuni non c'è spazio per alcuna speculazione, per liberare nuovamente la Maddalena. Ci muoviamo in corteo da più punti, per stringere d'assedio il cantiere, per tagliare le reti, per riprenderci ciò che lo Stato ha sequestrato e regalato a ditte mafiose, una valle meravigliosa da immolare agli déi della loro “modernizzazione”, fatta di devastazione ambientale, militarizzazione, appalti torbidi, profitti per pochi e austerity per la gente.

Ma quando arriviamo al cantiere, scendendo dalla montagna, capiamo che gli ordini degli “eroi” in divisa sono precisi: non far avvicinare nessuno, far male. Veniamo bombardati di lacrimogeni al CS, arma chimica vietata dalle convenzioni internazionali, sparati da subito ad altezza d'uomo. Quei candelotti usati come proiettile possono uccidere. Sembra una guerra, è una guerra, e non l'abbiamo voluta noi. L'ha voluta chi difende gli affaristi e manganella chi lotta per i propri diritti, l'ha voluta chi non si fa scrupolo di sfregiare un territorio in spregio di chi ci vive e di chi lo ama, usando la parola “democrazia” per intendere solo l'interesse di pochi.

Ma in ogni guerra c'è diritto alla resistenza. Siamo arrivati con le mani nude e pulite, le abbiamo usate per raccogliere quello che la montagna ci offriva per difenderci. Per ore abbiamo resistito al lancio criminale di miglialia di candelotti, che hanno colpito e rotto teste, costole, mani, gambe. Per ore abbiamo resistito alle cariche, ai proiettili di gomma, ai lacrimogeni che toglievano il respiro e provocavano il vomito. Chi è finito nelle mani delle forze dell'ordine, è stato torturato, umiliato e picchiato per ore. E se questo i giornali non ve lo dicono, andate in rete, cercate i video, ascoltate le voci di chi era li, ascoltate le voci dei valsusini che non si arrendono, la voce di Fabiano che non si fa intimorire e racconta. Se poi vi dovesse capitare di ascoltare la voce di Maroni che invoca l'accusa di tentato omicidio per i manifestati, chiedetevi chi sono i veri criminali ed assassini.

E quando si torna a casa, sopravvissuti alle botte e ai gas, tocca trovarsi di fronte ad un'altra cortina fumogena, quella del fuoco di fila delle dichiarazioni dei politici, delle ricostruzioni giornalistiche ricalcate sui bollettini di questura. Ci si guarda l'un l'altro esterrefatti, e si ripensa agli abitanti della valle che resistevano con noi, a quanti portavano soccorso, ai cinquantenni che aiutavano a trasportare i feriti, alle anziane che offrivano da mangiare mentre – coi segni della battaglia sui corpi – facevamo ritorno, ai tanti che ringraziavano, che ci sorridevano e ci davano passaggi, che stringevano mani e ripetevano che “a sarà dura”.

E si ripensa alla dignità di questa valle che resiste, che di fronte all'occupazione militare del territorio e dell'ordine del discorso non si fa piegare. Chi cerca la verità della valle, la cerchi lontano da laRepubblica e dal Corriere, lontano da questi pennivendoli del potere, che dovrebbero sapere che le loro parole, le loro bugie, possono far più male delle pietre, che nella loro eco si sente già il tintinnare di manette. Forse lo sanno, ed è quello che vogliono. Quello che vogliamo noi è tutto un altro mondo.

Giacomo Salerno - UniCommon Roma