Ultras, centri sociali e liceali, la violenza entra nel movimento

Pochi leader e tanta rabbia: ma non siamo black bloc

15 / 12 / 2010

Alle 6 del pomeriggio, dove via del Corso si apre su piazza del Popolo, Tommaso 18 anni, ciondola intorno ai resti della barricata da cui, neppure tre ore prima, ha provato a dare l'assalto alla “zona rossa”. Tutto finito, o quasi. Le saracinesche sono di nuovo alzate.

Il passeggio natalizio si è fatta processione di curiosi su un tappeto di vetri e scarpe abbandonate nella battaglia, che scattano foto ricordo sullo sfondo di una carcassa d'auto carbonizzata, di un cestino di rifiuti sventrato come una lattina, di una pezza di asfalto sbriciolata per farne proiettili. Tommaso ha una “Ceres” nella mano sinistra e il telefonino nella destra, schiacciato nell'orecchio. “Si, 'amo fatto un bel casino” dice. Lo incrocia una elegante signora di mezza età che ha voglia di affrontarlo: “ Siete dei violenti e basta. Ci sarà pure un altro modo per dire che non siete d'accordo”. Tommaso la investe, grida, perchè lo sentano tutti: “ E allora anche tu sei una merda. Io te pago la pensione col lavoro che nun c'ho. Tu che fai per me? Dimmelo, che fai? Ce state a ruba la vita”. Veste di nero dalla testa ai piedi, Tommaso. Ma definirlo un black bloc è una semplificazione che, come tutte le semplificazioni, non aiuta e non porta da nessuna parte. Perchè quel nero è solo uno dei colori di un pezzo di questo Paese che, per un giorno,ha deciso di mettere in scena la propria rabbia sociale.

“Spontaneismo ribelle”, lo definisce Francesco Caruso, il leader dei Disobbedienti napoletani che, oggi, in questa piazza, sembra improvvisamente vecchissimo. “Un tumulto”, chiosa Luca Casarini, che ormai, “non è più né un giovane né un vecchio maestro. Ma solo uno stagionato padre di famiglia che sta dando una mano a “Uniticontrolacrisi”. Casarini è arrivato dal Veneto insieme a 21 pullman, dice qualcosa in più: “Se qualcuno immagina di raccontarsi la favola di un pugno di violenti che tiene in scacco un movimento, sbaglia. Se qualcuno azzarda paragoni con il G8 di Genova è fuori strada. Abbiamo visto un tappo saltare. A piazza del Popolo c'erano migliaia di ragazzi e ragazze. Nessuno è stato vittima di qualche singolo. Tutti erano consapevoli di quanto stava accadendo. Tutti sono rimasti in piazza tra i lacrimogeni e le cariche. Perchè è lì che volevano stare, per fare quello che hanno fatto. Come a Londra e a Parigi. Questo è un movimento tenuto insieme dalla rabbia di chi è schiacciato dalle condizioni di vita materiale sempre più insostenibili e dall'arroganza pubblica della politica”.

E' un movimento senza veri leader e dall'età media che si abbassa, abbracciando molti studenti medi. E' una leva che fatica a rappresentanza politica e tiene insieme vecchie sigledegli anni '80 riapparse dal nulla ( come i sinistri “Carc”), la storia decenennale dei centri sociali del Nord-Est (“Pedro”) e del Nord-Ovest (“Askatasuna”), qualche vecchio professionista della piazza (Nunzio D'Erme di “Action” , i romani di “Acrobax”), ma anche e sopratutto istanze sociali che si fanno cartello per un giorno, una settimana, un mese. Siano la rivolta di Terzigno e la piaga dei rifiuti, il “diritto alla casa”, o all'acqua pubblica. All'istruzione o alla cultura, magari dietro uno striscione che annuncia la costituzione delle “Brigate Monicelli”. E' un movimento che, in piazza del Popolo, va allo scontro a maini nude, cercandolo, ma senza averne preordinato o pianificato la sequenza, senza dunque un arsenale allestito alla vigilia. Che si arma dunque nella furia dell'aggressione con quello che trova. Manici di piccone raccattati in qualche cantiere, sanpietrini, cartelli stradali e semafori divelti dal selciato, angolari di impalcature, stampelle trafugate da una vetrina sfondata, sgabelli rubati in un negozio di ottica. Che, nella devastazione, seleziona con accortezza i simboli del lusso.

Accartocciando, di fronte all'ingresso dell'hote “De Russie” ( l'albergo dove “chi conta” si fa massaggiare alla pausa pranzo o alla sera ) una Mercedes e una Bmw, ma lasciando intatti i quattro motorini che gli sono parcheggiati accanto. Che parla una lingua composita. Come quella di Laura, 17 anni, che mentre l'Ama comincia a ripulire piazza del Popolo, continua a saltare con le sue due amiche coetanee sotto gli archi che danno su piazzale Flamino, canticchiando slogan da stadio ( “Liberi, liberi, liberi. Siamooo liberi...”). Al collo una sciarpa giallorossa con la croce celtica. Si dice “emozionata”. Perchè aggiunge, “è la prima volta che carichiamo le guardie fuori dall'Olimpico”, lo stadio. Laura non sa nulla dei black bloc, degli “anarchici”, greci o italiani che siano, o degli anni '70. Nei giorni del G82001, pettinava le bambole e andava in curva con il padre, “un ferroviere”, a vedere la Roma. Il suo battesimo politico è oggi. E la sua acerba biogrfia avverte che le bussole con cui da tempo si guarda alla piazza provando a dare nome e indirizzi solidi ad una rabbia liquida, sono inservibili. Come del resto sostiene un mite signore dai capelli bianchi che di nome fa Tano D'Amico. A chi chiede, a lui che è stato “il Fotografo” di trent'anni di Movimenti, a cosa somigli il 14 dicembre di piazza del Popolo, se al '68 o al '77, risponde così: “Ai moti di Parigi del 1848”

Tratto da La Repubblica del 15.12.10