L’ennesima opinione sul caso Genovese, offertaci dal "solito" Feltri, di cui non sentivamo il bisogno

Un fulgido esempio di cultura dello stupro

Come il patriarcato protegge i carnefici e colpevolizza le vittime

26 / 11 / 2020

Mi sono imbattuta per caso l’altro ieri in un articolo che mi ha dato il voltastomaco.

Si è già detto e scritto parecchio sulla vicenda Genovese, e molto di quello che si è detto e scritto era alquanto agghiacciante. Anche nei casi in cui l’uomo veniva giustamente condannato per le sue azioni, c’era sempre comunque una parte di responsabilità imputata alla vittima, colpevole di leggerezza, ingenuità, voglia di divertirsi, essere giovane ed andare alle feste, non essere rimasta a casa a far la calza come si conviene ad ogni brava signorina in età da marito. Che screanzata insomma!

Ha sentito l’esigenza di farci sapere la sua anche Vittorio Feltri, dalle pagine di Libero Quotidiano, che ci ha regalato un fulgido esempio di ciò che è il patriarcato che dobbiamo combattere ed il modo subdolo in cui agisce.

“Va beh, che ti aspettavi, è Feltri” mi direte. Ma il punto è proprio questo: non possiamo minimizzare pensando che le opinioni espresse da questo personaggio non abbiano margine per attecchire davvero, solo perché nessuno nelle nostre cerchie ha mai espresso ad alta voce simili atrocità. Non si tratta di una cosiddetta mosca bianca, ma di un figlio sano del patriarcato, per usare un noto motto femminista, un perfetto ed integrato esponente di una società dove le donne, in fondo, contano ancora assai poco ed i loro corpi difficilmente vengono slegati dalla sfera sessuale e riproduttiva, ovviamente da esercitarsi solo ed esclusivamente sotto il dominio/protezione maschile.

Ma proviamo ora ad analizzare più nel dettaglio una serie di questioni che emergono in maniera lampante dallo scritto in esame, cogliendo quindi l’occasione per ribadire un paio di concetti base.

Iniziamo dal principio:

"I cocainomani vanno evitati"

"La ragazza stuprata è stata ingenua"

Già dal titolo e dall'occhiello c'è di che rabbrividire.

Rabbrividire per due ordini di motivi: la "solita" colpevolizzazione della vittima innanzitutto, tanto cara al mondo dei media italiani, che sempre più strizzano l'occhio a quello dei social media, sdoganandone senza remore il linguaggio d’odio; la criminalizzazione del consumo di droghe ed allo stesso tempo la deresponsabilizzazione del consumatore di sostanze, biasimato per le sue abitudini psicoattive ma non particolarmente per le azioni compiute sotto l'effetto di ciò che assume.

Vediamo il primo problema: l’accanimento sulla vittima.

Purtroppo, non è una novità quella di cercare di minimizzare l’operato di chi si macchia di azioni così efferate spostando la colpa su chi le ha subite (un ottimo esempio è il documentario “Processo per stupro”, del 1979, film piuttosto vecchio, ma ancora perfettamente attuale, cosa a mio avviso assai preoccupante).

La donna non è libera di autodeterminarsi, perché quando lo fa ed esce dalla comfort zone, dalla protezione maschile, dal controllo genitoriale, dal percorso tracciato, entra in una situazione di “pericolo”. Il pericolo è l’uomo violento e stupratore, il malintenzionato pronto ad approfittarsi della debolezza femminile. Ma davvero vogliamo accettare questa lettura della realtà? È davvero colpa della vittima che decide di fare quello che le pare - che è un suo diritto fare in quanto essere umano adulto e libero - se poi si viene a trovare in situazioni spiacevoli? O la colpa è dell’uomo violento, stupratore e malintenzionato, che invece di vivere senza arrecare danno al prossimo - concetto piuttosto essenziale ed elementare per vivere in società tra esseri umani - decide di approfittarsi di un’altra persona, magari fisicamente più debole (oltre che socialmente, in quanto donna), per esercitare la sua facoltà di dominio e prevaricazione e nutrire il suo ego?

Lei era libera di autodeterminarsi, drogarsi, andare alle feste, incontrare uomini.

E di tornare a casa illesa.

“Entrando nella camera da letto dell’abbiente ospite cosa pensava di andare a fare, a recitare il rosario?” si chiede Feltri. Beh, cosa si aspettasse di fare non è assolutamente affare nostro, e soprattutto suo. Il consenso deve essere sempre esplicito, seguire un uomo in camera non gli conferisce nessun diritto sul tuo corpo. E il consenso, anche una volta dato, può essere liberamente ritirato in qualsiasi momento se la persona cambia idea.

Quanto è successo non è avvenuto perché la ragazza è una sprovveduta, come vogliono dipingerla, infantilizzandola terribilmente, molti racconti della stampa, mettendo in atto un’ulteriore violenza. Come non era una sprovveduta la maestra di Torino (grazie Melania per averne scritto). Le vittime sono vittime, i carnefici sono carnefici. Diamo il giusto nome alle cose, senza se e senza ma.

Altrimenti, siamo al solito spregevole alibi del patriarcato per punire e controllare la libertà femminile.

Passiamo al discorso sulle droghe, altro elemento usato per alleggerire la posizione dell’imprenditore nell’ambito della violenza commessa.

La "paternale" nei confronti di Genovese è non tanto per il suo stile di vita e le sue feste, ma per il fatto che tutto questo sia condito dall'uso e dall'abuso di cocaina. Come se fosse la droga il problema e non il patriarcato. 

Sembra banale? Non lo è. 

“Drogarsi allontana dalla realtà e favorisce comportamenti riprovevoli ed addirittura criminali.”

Spostare l'attenzione e la responsabilità di azioni criminali ed aberranti sulle sostanze, distoglie dal vero nocciolo della questione, cioè che al maschio bianco etero cis tutto è concesso; se è ricco poi, ancora meglio. 

L'utilizzo di droghe per scopo ricreativo è una scelta personale, che se fatta con libertà e consapevolezza non dovrebbe meritare tanto interesse. Il proibizionismo, però, ci ha abituati ad usarlo troppo spesso come capro espiatorio di situazioni "finite male", ma è, al solito, un comodo escamotage per deresponsabilizzate quella che è la vera causa di certi atteggiamenti: la struttura stessa su cui è fondata la società in cui viviamo, una struttura che affonda profondamente le sue radici ed il suo funzionamento nell'oppressione sistematica di metà della popolazione, nell'esigenza di controllo, dominio, punizione.

Genovese non ha stuprato quella ragazza perché irretito dalle droghe. L'ha stuprata perché poteva farlo, l'ha stuprata perché, anche se l'aveva seguito in camera, anche se stava facendo festa ed assumendo droghe con lui, anche se quella ragazza fosse stata predisposta a dare il suo consenso ad un qualche tipo di rapporto, lui ha sentito l'esigenza di esternare la sua posizione di dominio, come pare avesse già fatto altre volte, seviziando e "punendo" per ore quella che nelle sue mani è diventata un pezzo di carne di cui fare ciò che voleva, non più un essere umano dotato di agency.

Questa è la visione della donna difesa a spada tratta dal patriarcato e dalla cultura dello stupro: un essere impotente a disposizione del maschio, che ne decide le sorti nel bene e nel male, totalmente priva della capacità e soprattutto della possibilità di decidere per sé stessa e di autodeterminarsi in ogni momento.
Questa è la visione che dobbiamo a tutti i costi distruggere per sopravvivere, supportando con ogni mezzo la lotta transfemminista, finché non avremo annientato fino all’ultima briciola di struttura patriarcale presente nell’umanità.

Ps: buona Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, anche se è stata ieri!

L'immagine di copertina è di Marica Zottino, creata in occasione della campagna #thisisnotconsent del 2018.