La giornata di ieri a Roma può essere definita, secondo me, una
giornata storica, fuori da qualsiasi tipo di esercizio apologetico di
qualcosa oppure di “tifoserie” o di banalizzazioni da una parte e
dell’altra.
Storica perché succede nella storia che si saldino
a volte, nella società, alcuni elementi che poi tutti insieme
formano, danno la caratteristica, diciamo così, di svolta, di un
punto profondo di modificazione di ciò che è stato prima e di ciò
che sarà dopo.
Questo è successo a Roma perché in realtà è
stata una giornata caratterizzata da diversi elementi.
Primo
elemento una presenza enorme che non si era mai vista, frutto del
fatto che c’è un movimento reale, che parte dall’università ma
che coinvolge quella che è definita una condizione generazionale
della precarietà.
Un movimento che poi si innerva nei suoi legami
con le soggettività che stanno emergendo a partire dalle lotte
ambientali nei territori, a partire dalla condizione nelle fabbriche
di questo paese, in cui si vive una realtà totalmente diversa da
quella che anche le forme classiche del sindacato hanno sempre
affrontato. Una situazione che si innerva poi nella questione
metropolitana più generale, nella povertà della vita impostata
all’interno della crisi che viene fatta comunque pesare su milioni
di persone in questo paese.
Insieme al grande numero e alla grande
partecipazione c’è stata anche una grande qualità. Una qualità
di ragionamento che viene fatta a partire dal movimento
dell’università ma che poi si estende ad un ragionamento sulla
crisi.
Questo movimento enorme non si riferisce a quella che è
una indicazione sul futuro ma si riferisce a condizioni materiali di
vita. Fa le su battaglie a partire da condizioni che devono cambiare
qui ed ora: dal decreto Gelmini al piano rifiuti, alla questione del
terremoto dell’Aquila come gestione in termini di shock economy
delle tragedie da parte di questo governo, alla questione del reddito
del lavoro e del salario. Tutte questioni molto concrete.
In
questo senso il movimento è un movimento del presente, che
chiaramente può aprire un futuro, ma che non ha in un futuro altro,
possibile e assolutamente non definito, il suo obbiettivo.
Ha
l’obbiettivo di conquistarsi qui ed ora delle condizioni materiali
di vita diverse.
In questo si salda poi anche un elemento di vuoto
della politica. Vuoto della politica nel senso che non c’è alcuna
risposta politica a questo tipo di domanda sociale, a questo tipo di
contraddizioni, anzi la risposta della politica è un arroccamento
nei propri palazzi e nei propri giochi, ma anche perché non ci sono
risposte possibili da dare nella gestione della crisi che è
impostata in termini capitalistici.
La gestione della crisi è
impostata di piani di stabilità europei, al di la dei governi di
centro destra o di centro sinistra. E’ impostata con un “lacrime
e sangue” e un’ austerity da far pagare alle persone per salvare
le banche.
Questo è un dato globale oltre che europeo ed
italiano. Chiaramente c’è anche l’anomalia italiana, basta
guardare a quello che si sta vivendo dal punto di vista della crisi
della rappresentanza.
Che la rappresentanza politica non coincida
più con nessuna rappresentanza sociale è la fotografia di quello
che è successo in questi giorni, in questi mesi al Parlamento e che
poi è in realtà l’incapacità di tradurre in risposte politiche
una contraddizione sociale.
Questo è un problema che hanno ben
presente anche coloro che governano e coloro che sono all’interno
dei percorsi istituzionali dei partiti. Dai commenti pare addirittura
che ce l’abbia più presente chi comanda, che non coloro che
dovrebbero essere all’opposizione, che si trincerano dietro ai
giochini aritmetici o alle strategie di D’ Alema e sulla piazza di
Roma dietro alle semplificazioni su chi sono i buoni e i cattivi,
mentre invece dovrebbero leggere con più profondità ciò che sta
accadendo nella società. Questo è un dato strutturale, di crisi
sistemica.
Questi elementi si saldano, esplodono a piazza del
Popolo in una dinamica di rivolta, in una esplosione sociale di una
generazione compressa, tappata e che oggi pratica il suo rifiuto,
anche attraverso una dinamica, diciamo così, semplice, del
contrapporsi al potere costituito rappresentato in questo caso dalla
polizia che impedisce di camminare, che blinda i palazzi e che è la
personificazione del potere nel senso lato.
Esplode in un dato di
rivolta generalizzata perché non è solamente il problema dei
numeri, di chi pratica questo tipo di resistenza ed attacca questa
dimensione del potere. E’ quello che accade in piazza a farci dire
che è un esplosione sociale, che non può essere liquidata con le
forzature di una soggettività, di un singolo, di un individuo.
E’
un dato sociale quello che abbiamo di fronte quando la piazza regge,
sta lì, applaude addirittura nel momento in cui i manifestanti
respingono il tentativo dei blindati della finanza e della polizia di
invadere piazza del Popolo.
E’ una piazza consapevole. E’
una piazza consapevole che probabilmente questo tipo di rivolta se
non ha un progetto politico non può avere degli sbocchi ma è anche
consapevole che “quando ci vuole ci vuole”, che c’è stato un
meccanismo che per troppo tempo è stato compresso da dinamiche che
invocano e impongono la pace sociale, imponendo però anche sacrifici
tutti a senso unico.
E’ un dato che non avevamo di fronte
prima, che non c’entra nulla con quello che è accaduto a Genova,
perché è un'altra cosa. E’ una cosa che c’entra invece con dei
passaggi storici che ci sono stati nella storia. Mi viene in mente
Piazza Statuto, il 68 dal punto di vista della rottura generazionale
e della conquista di un meccanismo di vita diverso. Mi viene in
mente, in questo senso sì, come esplosione sociale, il 77 o come
dice oggi Tano D’Amico sul Manifesto di oggi il 48 di Parigi.
Qui
siamo in presenza di un tumulto, questo è stato ieri anche Piazza
del Popolo. Il dato su cui riflettere è questo. Bisogna fare una
grande riflessione e credo che ci siano già spunti interessanti
nelle letture che si fanno oggi, il giorno dopo, di cosa è successo
ieri a partire da tanti e diversi, a partire anche dal luogo comune
che è lo spazio di “Uniti contro la crisi”.
Avere un
atteggiamento per cui non si enfatizza ciò che è il dato reale ma
si costruisce una possibilità politica di leggerlo e di dare un
percorso a tutto questo, perché si alimenti un percorso politico
comune.
Io credo che sia fondamentale che il percorso di “Uniti
contro la crisi” si alimenti di ciò che è successo in una forma
matura, così come anche il movimento degli studenti stesso.
Perché
è evidente che oggi la riflessione è su come si va avanti.
Chiaramente i fatti di Piazza del Popolo non possono spiegare
come si va avanti e non dobbiamo nemmeno pretendere che spieghino
come si va avanti.
Il come si va avanti è frutto di una
complessità, di un progetto, di una autorganizzazione continua del
proprio percorso ed anche della dinamica, diciamo così, della
democrazia reale, che va a riempire i vuoti della democrazia politica
che si restringe sempre di più.
Io credo che questo sia un dato
fondamentale perché altrimenti non coglieremmo appunto la portata
storica di ciò che è successo, di ciò che tutti insieme abbiamo
contribuito a costruire, come cornice, come dinamica di protagonismo
sociale.
Credo anche che oggi sia fondamentale che le grandi
battaglie che abbiamo di fronte (dal decreto Gelmini alla questione
della Fiat di Marchionne, alla questione del problema del reddito e
della precarietà, delle forme del neo schiavismo presenti nella cura
capitalistica della crisi fino alla battaglia ambientale che si fa
nei territori dal sud al nord) siano elementi che debbano trovare una
capacità di articolare la proposta politica.
Una capacità di
articolare ed allargare una proposta politica e non di restringerla,
non di fotografare quello che è accaduto ieri tenendolo fermo ma di
costruire, da quello che accaduto ieri, una maggior consapevolezza di
quanto ci sia oggi bisogno di una ricomposizione sociale e politica
di ciò che sta accadendo verso una stagione di lotte nuova.
Siamo
ad una svolta perché c’è una fase nuova ed è segnalata anche da
un meccanismo che non si chiude, non si semplifica anche rispetto al
problema del governo di questo paese, anche rispetto al problema
delle ricette europee che arriveranno con una finanziaria enormemente
più devastante di quella che abbiamo oggi con imposizioni europee
delle banche centrali enormemente più gravi nei confronti della vita
delle persone.
Dobbiamo essere consapevoli che siamo in presenza
di una fase storica che si sta aprendo, questo lo vediamo in tutta
Europa, in tutte le metropoli e dobbiamo essere capaci di leggere
queste cose oltre che starci dentro, assumendole come dato reale, di
realtà, non come dato di “tifoserie” e quindi di facile
semplificazione. Oggi bisogna rilanciare il movimento. Non è facile,
non è una cosa semplice, perché i tumulti non sono elementi
che di per sè possono costruire una proposta societaria o un’ idea
di società. E’ necessario che i tumulti siano all’interno e
siano motore di una cosa più grande di una visione politica in cui
le lotte hanno degli obbiettivi precisi che già costruiscono un
progetto che vive nel quotidiano.
Tutti questi passaggi che
abbiamo di fronte ci portano a dire che il meeting seminario lanciato
da Uniti contro la crisi, che si terrà il prossimo 22 e 23
gennaio all’interno degli spazi del Centro Sociale Rivolta di
Marghera, è un appuntamento fondamentale.
Un momento importante
per definire, ad esempio, che cosa significheranno gli stati
generali della conoscenza in termini di articolazione del lavoro
cognitivo che è al centro della produzione oggi, ma che allo stesso
tempo è anche al centro dello sfruttamento della mannaia della
crisi. Un momento per discutere ed articolare, ad esempio, insieme
che cosa significa star dentro il conflitto operaio che si determina
oggi in una forma nuova, che oltrepassa il sindacato e che le forme
sindacali classiche non riescono più a interpretare e cosa significa
a questo proposito legarli al problema del reddito, di un nuovo
welfare . Un occasione, ad esempio, per pensare ad un
referendum per abrogare il decreto Gelmini, come già sta partendo
come suggestione nell’Università e che potrebbe avvicinare alle
esperienze che i movimenti sui beni comuni come quello dell’acqua
stanno facendo. Un momento per articolare anche un progetto
ecologico alternativo all’interno di questo percorso.
Tutti
questi nodi aperti possono nel seminario-meeting del 22 e del
23 gennaio a Marghera trovare una grande occasione per costruire un
nuovo impulso alla progettualità politica collettiva, proprio a
partire anche dalla storica giornata di ieri che nella sua
complessità ci ha messo di fronte alle difficoltà vere, quelle che
nascono dalle cose che cambiano innervate della vita reale
delle persone.