Una marchetta chiamata "Giro d'Italia"

4 / 5 / 2018

Partirà oggi il Giro d'Italia, uno dei massimi eventi sportivi del nostro Paese. Come tantissimi altri appassionati ho sempre atteso il mese di maggio per seguire la corsa rosa. 

Quest’anno, dopo la presentazione del percorso che prevede la partenza da Israele, ho deciso che non seguirò un evento sportivo asservito alla propaganda di uno stato che spara sui civili, che occupa, in spregio al diritto internazionale, territori altrui, che attua politiche di apartheid nei confronti di un popolo intero. Non seguirò la marchetta che è questa edizione del Giro d’Italia.

Una marchetta da ventisette milioni di euro, di cui due solo per il discutibile ingaggio di Chris Froome, dodici direttamente nelle tasche di Urbano Cairo patron di RCS, organizzatrice della corsa, e cinque per coprire tutte le spese logistiche della carovana nella trasferta in Medio Oriente. Soldi pagati da un magnate ebreo amico di Netanyahu, che ha richiesto come contropartita agli organizzatori di appiattirsi sulle pretese del governo israeliano di utilizzare il giro come strumento per legittimare le proprie politiche di annessione di Gerusalemme e di oppressione dei palestinesi.

Una squallida operazione di "sport-washing", l’uso spregiudicato dello sport per lavare l’immagine di un governo razzista e guerrafondaio che vuole celebrare sciovinisticamente il settantesimo anniversario della nascita dello stato di Israele e della Nakba palestinese. Uno sport-washing su cui UCI, FCI e le altre organizzazioni sportive internazionali non hanno saputo, e voluto, dire nulla.

Si è usata la retorica del ricordo di Gino Bartali, salvatore di ebrei durante la II guerra mondiale (ricordato senza neppure un metro di percorso nella sua Toscana...), e della corsa di pace come fumo negli occhi, quando si sarebbe potuto tracciare un percorso che attraversasse anche i territori coinvolgendo l'autorità palestinese (questa sì che sarebbe stata una vera corsa di pace, ma Netanyahu non avrebbe mai acconsentito) e questo la dice lunga sulle reali volontà propagandistiche israeliane, emerse prepotentemente con l'imposizione della cancellazione della corretta dicitura (secondo la comunità internazionale, non secondo me...) "West Jerusalem" dalle comunicazioni ufficiali sul percorso della competizione.

Il Giro, oltre che un evento sportivo è un vero e proprio fenomeno di costume, asservire così la corsa di tutti gli italiani, tutti, anche quelli che, oltre alla passione sportiva, si interessano di come va il mondo e soffrono davanti alle ingiustizie, è vergognoso, così come lo sarebbe stato partire da qualsiasi altro paese che intendesse farne un uso propagandistico (non mi riferisco alla promozione turistica, ovviamente) per legittimare politiche oppressive contro altri popoli o il proprio stesso popolo. Se non ne seguirò le vicende sportive, non significa però che mi disinteresserò di quanto accadrà attorno alla corsa, con la speranza che in questi giorni in terra di Palestina come al ritorno in Italia, in tanti portino il loro dissenso sulle strade della corsa.