Una sfida ancora piu’ valida

24 / 10 / 2011

Dei fatti del 15 ottobre si è detto molto.

Adesso mi premono alcune domande. Perché alcuni possono essere così attratti dal dare fuoco a automobili e altri oggetti nel corso di un corteo enorme, e perché addirittura qualcuno, come è stato scritto esplicitamente in comunicati pubblici, può giungere fino a concepire una mobilitazione internazionale come arena per attaccare alcune soggettività colpevoli di volere fare chissà quale operazione politica con il centrosinistra o di avere scelto S. Giovanni come piazza finale, piuttosto che interrogarsi su come contrastare sul serio la dittatura finanziaria?  

Beh, io credo che, come tutto quello che questa crisi ci consegna, anche questi fenomeni vadano letti con lenti nuove. Venti anni di Berlusconismo producono anche questo. E con questo termine non designo ovviamente solo i governi Berlusconi, nomino un periodo storico che ha prodotto una idea del potere e ha plasmato a fondo la società, compresa quella che a Berlusconi si oppone.

Anni in cui il liberismo ha prodotto precarietà, discriminazioni razziali, povertà. La legge 30, la Bossi-Fini, la L.431 sulla liberalizzazione degli affitti, solo per fare degli esempi, sono dei macigni che hanno frammentato il tessuto sociale e disincantato intere generazioni sul futuro.

Anni in cui essere precario, senza futuro, oltre a diventare una condizione sempre più generale, diventava un disvalore sociale, perché il Berlusconismo esaltava la ricchezza, il farsi da solo, il consumismo, la cultura d’impresa. Una divaricazione devastante tra le opportunità materiali e i modelli sociali proposti.

Anni in cui intere categorie sociali (giovani, nuove intellettualità, nuove forme di lavoro, nuove generazioni di migranti, nuove forme di abitare e nuove istanze sulle forme di vita) irrompevano nella società con domande inedita trovandosi di fronte, come un muro invalicabile, un welfare che li esclude, frutto di un compromesso sociale ormai superato.

Constato tristemente che il deserto della politica che abbiamo conosciuto, in una crisi epocale che tocca sul serio le tasche di tutti, diventa un campo fertile per il fiorire di ragionamenti  miopi che, assumendo che la realtà non sia migliorabile, che il cambiamento non possa viaggiare sulle gambe di tanti, si accontentano di colpire chi è più vicino, magari rappresentando un’insurrezione a cui non si crede sul serio. Tant’è che è’ più facile convincersi ad agire per sviluppare una polemica che per produrre un avanzamento.

Ma la cosa più grave è che questo atteggiamento pienamente rinunciatario contiene in sé un’idea dei movimenti. L’idea che i movimenti possano solo segnalare un disagio, o meglio una disperazione, o al massimo indicare in maniera balbettante una problematica che poi qualcun altro dovrà portare a sintesi politica. E qui è il paradosso più cocente: l’atto dichiarato come irriducibile esprime il livello massimo di delega al potere politico. I problemi li risolvono i Partiti, non lo fanno, e io spacco tutto, al limite sanno che sono incazzato. E l’autonomia del politico all’ennesima potenza in salsa postmoderna. 

E questa situazione è ulteriormente acutizzata dalla circostanza che le formazioni politiche che dovrebbero recepire le istanze sociali non lo fanno e si presentano da tempo come il volto buono di un sistema plasmato dal Berlusconismo. Attori di un film di cui Berlusconi ha scritto la regia e impostato la scenografia. Siamo in un sistema in cui, la stampella di salvataggio del governo dalla sfiducia del 14 dicembre è avvenuta da un fuoriuscito – e quindi un eletto – dell’ IDV che adesso propone le leggi speciali, che  Maroni si deve limitare a recepire. Paradossalmente la retorica insurrezionalista e il poco coraggio delle forze politiche rischiano di essere inconsapevoli alleati a che il Berlusconismo sopravviva a Berlusconi.

Allora, se la descrizione fatta ha anche soltanto un parziale fondamento, è fondamentale tratteggiare la sfida futura.

Occorre ancora di più che le lotte e le mobilitazioni superino il terreno meramente sindacale e rivendicativo. Credo che tutti i ragionamenti che concentrano il ruolo dei movimenti principalmente nello sviluppo di nuove forme di sindacalismo, magari per rappresentare nuove categorie sociali, penso ad esempio al sindacalismo metropolitano, siano inadeguate alla fase storica, perché il punto in un Paese distrutto da Berlusconi è la mancanza di un’ architettura democratica, di un piano di opinione pubblica e di corpi intermedi della società che accolgano, veicolino e rafforzino le rivendicazioni. I conflitti non possono limitarsi a indicare problemi, i movimenti devono individuare le soluzioni e ricostruire le fondamenta su cui esse si realizzano. In questa fase i movimenti, o hanno una funzione fondativa e costituzionale, o non servono a nulla e quindi non cresceranno.

Action appartiene a quella parte di movimenti che in passato si è posta la questione di irrompere sul terreno della rappresentanza per far penetrare le istanze sociali. Quel modello adesso sarebbe insufficiente. Occorre andare oltre.  

Uscire dall’abbraccio mortale tra ipotesi di centro-sinistra supine ai dettami della BCE e insurrezionalismo di facciata, per riuscire ad affidare ai movimenti e alle lotte sociali, non solo il terreno della rivendicazione, ma un ruolo costituente di proposta politica complessiva, di idea società.  In una parola, essere alternativa.

Bartolo Mancuso

Action – Diritti In Movimento

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