Riprendiamo dal sito di Arvultura un articolo di Roberto Casaleggio, giornalista e ricercatore abruzzese, che analizza la comunicazione del MoVimento 5 Stelle partendo dall’articolo Libertà in rete, la stretta in atto negli Stati Uniti, pubblicato su Il Blog Delle Stelle il 2 febbraio 2017.
Avvertenza: Nel seguente articolo una storia è stata totalmente inventata.
Due dei
miei più cari amici votano 5 Stelle. Sono stati parte del MoVimento sin dalla
sua nascita. Ritengo siano tra le persone più generose, solidali e altruiste
che conosca e quelle con cui condivido maggiormente principi e valori. Tuttavia
il 4 marzo non ho votato 5 Stelle e avrei parecchie resistenze a farlo nel
futuro. Perché? Perché una persona come me, che ha scarse conoscenze politiche,
non si fida dell’avviso di due persone che stima profondamente? Perché ho un
rifiuto per il MoVimento così radicato? Da dove arriva?
Ho iniziato a riflettere su questa questione per lungo tempo e mi sono reso
conto che non aveva nulla a vedere con il programma politico. Il mio problema
principale era con la comunicazione. Non era con la sostanza ma con la
superficie, non era con il cosa ma con il come. Sono sempre stato molto
interessato ai modi con cui possiamo parlare di una cosa. La stessa cosa, lo
stesso concetto, lo stesso fatto può assumere connotazioni estremamente diverse
in base al modo in cui viene esposto.
L’impressione è che il MoVimento sia avanti anni luce nella strategia di
comunicazione. Conosce alla perfezione i meccanismi del web e li sfrutta in
maniera molto efficace. Sa quale linguaggio utilizzare per persuadere o
quantomeno ammaliare potenziali elettori, servendosi produttivamente de “Il
Blog delle Stelle!” e dei social network. Queste abilità sono sicuramente
encomiabili, se non fosse che, a mio avviso, sono impiegate in maniera poco
trasparente ed eticamente discutibile. Non credo siano gli unici imputabili,
probabilmente non sono neanche quelli che lo fanno in maniera più sporca (la
Lega in questo senso è nauseante), ma sono quelli che lo fanno in modo più
irritante.
Irritante perché scorrendo le pagine del loro blog ho la sensazione continua di
essere preso in giro. I valori che sostengono rispetto a una corretta
informazione sono costantemente disattesi e la loro battaglia contro i giornali
diventa ai miei occhi una barzelletta. La capacità di prendersi gioco dei
propri lettori sul proprio organo d’informazione ufficiale è per me un sintomo
di scorrettezza e non riesco a dargli un peso relativo nel momento in cui mi
trovo a dover valutare complessivamente il MoVimento.
Un articolo sintomatico di questo
atteggiamento si intitola Libertà in rete, la stretta in atto negli Stati
Uniti ed è stato pubblicato su
Il Blog Delle Stelle più di un anno fa, il due febbraio 2017, a firma MoVimento
5 Stelle. L’articolo critica il Washington Post per un’inchiesta riguardante la
possibilità che la Russia abbia influenzato l’esito delle elezioni americane,
descrive il concetto di “fake news” come «un’etichetta oggi utilizzata per definire arbitrariamente qualsiasi sito
web o blog non allineato» ed
esprime preoccupazione per la decisione di Facebook di assumere una serie di
società di fact-checking per filtrare
contenuti e contrastare la
disinformazione.
Fino a qui nulla di particolarmente grave, ma quello che
accade nel paragrafo successivo è ai limiti dell’assurdo. Per dimostrare come
queste società di fact-checking siano
«tra i più grandi rifornitori di notizie false che esistono al mondo»
l’articolo fornisce tre descrizioni superficiali sostenute da altrettante
motivazioni surreali.
Eccole di seguito:
1.
«PolitiFact ha un’intera parte del
sito dedicata ad esporre i difetti dell’organizzazione».
Cliccando sulla frase si viene reindirizzati su un sito web che non è una
pagina di PolitiFact, ma un altro sito che si chiama politifactbias.com. Nello
specifico si tratta di un blog diretto da Jeff D. e Bryan White (due blogger di
cui non sono riuscito ad avere maggiori informazioni), la cui missione è quella
di esporre i pregiudizi e gli imbrogli di Politifact.
Politifact, al contrario, il cui vero sito non è stato linkato, è un progetto
fondato da reporter e giornalisti del Tampa Bay Times dedicato a verificare
quotidianamente la veridicità delle informazioni veicolate dalla stampa e
vincitore del premio Pulitzer nel 2009.
La differenza di profondità, professionalità e struttura dei due siti è
evidente, senza dimenticare che l’affermazione de Il Blog Delle Stelle è
totalmente inventata.
2.
«Snopes è gestito da marito e moglie dalla loro casa in
California senza alcuna esperienza in tecniche di ricerca e di indagine».
Anche in questo caso si viene reindirizzati su un misterioso blog intitolato
“Accuracy In Politics”, il cui ultimo post è del 2013 e di cui non si possono
ottenere molte altre informazioni. L’articolo titola «Snopes è diretto da un
uomo e da una donna senza nessun background nel campo dell’investigazione» e
prosegue discreditandolo e accusandolo di non essere oggettivo, di seguire
un’agenda liberale e scorretta nei confronti della politica conservatrice.
Per la cronaca Snopes.com è un sito web lanciato nel 1994, con sei milioni di
visite al mese e il cui obiettivo è sfatare o confermare leggende urbane. Al
suo interno inoltre è possibile trovare una pagina in cui, per dimostrare la
propria oggettività, il sito offre una lunga serie di insulti ricevuti da ogni
genere di lettore (liberali, democratici, conservatori, etc…)
È curioso notare come anche in questo caso Il Blog Delle Stelle abbia deciso di
utilizzare come fonte autorevole un blog anonimo chiuso nel 2013.
3.
«Su Associated Press e ABC News cosa aggiungere, sono quei media
tradizionali che hanno rilanciato tutte le fake news che
abbiamo denunciato qui».
Cliccando veniamo reindirizzati su una pagina del blog di Beppe Grillo, ma,
purtroppo, “the page you are looking for doesn’t exist”.
Sta di fatto che Associated Press e ABC News, tra le più grandi e prestigiose
agenzie di stampa e emittenti televisive statunitensi, sono entità di cui è
meglio non fidarsi.
Se si dovesse seguire la linea guida tracciata dei Cinque
Stelle sul delicato tema delle “fake news”, l’atteggiamento migliore sarebbe
quello di fidarsi ciecamente di blog anonimi e diffidare al contrario di siti
web e istituzioni che hanno guadagnato reputazione e premi nel corso di anni di
lavoro.
Seppur lecito e sano incoraggiare una critica verso giornali e televisioni,
allo stesso tempo diventa ridicolo, sconsolante e grave farsi paladini di un’informazione
trasparente ed onesta screditando società ed emittenti utilizzando come risorse
principali articoli presi da siti sconosciuti.
Diventa poi curioso il passaggio dal descrivere le fake news «un’etichetta oggi utilizzata per definire arbitrariamente qualsiasi sito web o blog non allineato» a considerarle in un articolo del novembre 2017 «un allarme che rischia di inquinare la campagna elettorale». Nel trafiletto, a firma Luigi Di Maio e intitolato Subito l’Osce per voto di scambio e #fakenews: non facciamo come in Sicilia, il leader del MoVimento richiede l’intervento dell’ OSCE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Co-operazione in Europa) per monitorare il problema di news non corrispondenti alla realtà, sottolineando come ci sia in ballo «la difesa della verità e quella appartiene a tutti». E invece «il futuro della libertà d’espressione in rete», invocato qualche mese prima?
L’incoerenza è una costante della politica, ma non è quello
che mi da fastidio.
Il vero problema per me è il tentativo di persuadermi tramite un linguaggio da
bar, utilizzando generalizzazioni, semplificazioni, appelli alla paura,
ridicole analogie, link su siti cospirazionisti e sputtanamenti. Esattamente
come guardare Le Iene.