Università critica. Liberi di pensare, liberi di ricercare

Un libro sulla criminalizzazione della ricerca nell’era neo-liberale

20 / 10 / 2017

Riceviamo e pubblichiamo l’introduzione all’e-book “Università critica. Liberi di pensare, liberi di ricercare”, frutto di una collaborazione tra il lavoro culturale ed Effimera. Curato dal collettivo General Intellect, il libro presenta una selezione degli interventi discussi nel corso di tre convegni organizzati nel 2016 all’Università Ca’ Foscari di Venezia, in quella di Modena e Reggio Emilia e alla Biblioteca Cabral di Bologna.

Una sera durante la scorsa estate, a cena da amici, un amico ricercatore all’Università di Torino raccontava di un convegno accademico a cui, recentemente, aveva preso parte a Roma. Nulla di strano da registrare, continua, se non che in sala tra il pubblico, ad un certo punto, si sono seduti quelli che sembravano due agenti di polizia in borghese accompagnati da altri agenti in divisa. Lo strano episodio pareva poter essere spiegato dagli argomenti che, in quel momento, le e i partecipanti al convegno si accingevano ad affrontare, ovvero il diritto all’abitare e alcune recenti occupazioni abitative nella capitale, e dal fatto che tra gli interventi programmati ve ne era uno di una persona impegnata nel movimento delle occupazioni. 

Non si tratta di un isolato caso di presenza, in contesti universitari, di forze dell’ordine. Le cariche e lo sgombero della biblioteca bolognese occupata nel febbraio del 2017 in seguito alla vicenda dei tornelli sono un altro esempio, seppur diverso, della restrizione degli spazi di dissenso che, nelle università e negli ambienti accademici ad esse attigui, sta avvenendo in Italia. Tale restrizione avviene grazie alla messa in campo di una varietà di forme di controllo che vanno oltre la violenza poliziesca e di stato. A limitare e disciplinare i saperi critici, infatti, intervengono anche altre forme di coercizione, più morbide. Gli esercizi di valutazione delle performance accademiche di ricercatori e ricercatrici tradotte in misure bibliometriche, ad esempio, hanno un impatto diretto sulla scelta dei temi di ricerca, contando che alcuni temi “vanno per la maggiore” ed è quindi meno difficile trovare spazi per le pubblicazioni. Si tratta di un esempio di uniformizzazione dei saperi, che devono adeguarsi alle esigenze dei sistemi di valutazione (tipici, tra l’altro, come spiega Chris Shore nel suo lavoro di ricerca sull’università contemporanea, del neo-liberalismo e della cultura della performance) al costo di rinunciare allo spirito critico e all’eterogeneità. I limiti strutturali alla libertà di ricerca, poi, lavorano anche attraverso le condizioni di lavoro imposte alle ricercatrici e ai ricercatori che, insieme alla prospettiva di un impiego stabile e garantito, vedono anche sfumare le protezioni che un contratto solido può fornire. Sarà quindi più difficile per un precario o una precaria esprimere posizioni radicali su un tema controverso senza le tutele che derivano da un impiego stabile, con un costo notevole in termini di libertà di ricerca e di espressione.

Prendendo spunto dalle vicende giudiziarie di Roberta Chiroli, Franca Maltese ed Enzo Vinicio Alliegro, e dal tragico assassinio di Giulio Regeni, il volume Università critica. Liberi di pensare, liberi di ricercare a cura di General Intellect e frutto della collaborazione tra il Lavoro Culturale ed Effimera, propone una riflessione articolata su quali spazi vi siano oggi disponibili per l’elaborazione di saperi critici, controversi, radicali. L’e-book si compone di interventi che riprendono un percorso di riflessione sviluppato tra il 2016 e il 2017, quando tre convegni (uno a Modena, uno a Venezia e uno a Bologna) segnalavano che, sebbene divisi da distanze geografiche, un cospicuo numero di ricercatrici e ricercatori (precari e non) si interrogava sulla possibilità di produrre un sapere critico e non-conforme all’interno delle università italiane. Perché porre l’università al centro della riflessione sugli spazi di resistenza e di radicalità? Discutendo temi quali la criminalizzazione della ricerca, la disciplinarizzazione dei saperi, la censura e l’intersezione tra conflittualità sociale e militarizzazione degli “spazi di studio”, i tre convegni hanno ridato centralità teorica e politica al nesso tra sapere e potere. I programmi dei tre convegni, ripresi in questo volume, riflettevano infatti su come tale nesso sia cruciale per la gestione dell’ordine pubblico, e sul come la ricerca abbia assunto in questo progetto di ordine pubblico più ampio un ruolo fondamentale in quanto essa è potenzialmente in grado di sovvertirlo. Non è quindi un caso che poteri giudiziari e di polizia, in Italia e altrove, si siano mobilitati per mettere a tacere le voci di ricercatrici e ricercatori che riprendono e amplificano le posizioni di movimenti sociali scomodi e già soggetti a forme di repressione da parte dello stato (movimenti No Tav, No Tap e sindacalista in Egitto). 

Gli interventi contenuti in questo volume sono eterogenei e spaziano dall’analisi delle riforme e del sapere come conflittualità sociale in chiave storica (Palumbo, Pantaloni, Gargiulo), o di eventi specifici legati a censura (Handala) o specifici progetti di ricerca (Iannello e Vesco, Prunetti), all’esame di come i cambiamenti della governance all’interno delle accademie italiane (ma non solo, come ci ricordano Cota e Sebastiani nel loro intervento sulla Spagna) abbiano contribuito alla mercificazione dell’educazione (Fumagalli), alla subordinazione degli interessi pubblici rispetto a quelli privati attraverso dispositivi quali l’auditing, l’accountability e l’assessment (Van Aken), alla formattazione e uniformizzazione dei saperi (Breda). A fianco di questa analisi dei dispositivi di controllo e disciplinarizzazione, l’e-book propone anche una riflessione sugli spazi di e sulla possibilità di resistenza, discutendo casi concreti di produzione di sapere critico e di politiche da mettere in campo per tutelare la libertà accademica e di ricerca (Pellegrino, Tosi Cambini, Zanotelli, Manconi).

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