Ancora una volta il porto di Venezia diventa luogo di morte.
Mercoledì alle ore 8.45 un ragazzo afghano di 16 anni è deceduto per
asfissia, soffocato nel tir dentro il quale si era nascosto per
sfuggire ai controlli della polizia di frontiera insieme ad altri due
migranti, probabilmente anche loro afghani.
I tre giovani sono stati trovati nella stiva del traghetto “Kriti II”
della compagnia greca Anek Line che stava giungendo alla stazione
marittima di Santa Marta a Venezia.
Si erano imbarcati a Patrasso nascondendosi in un vano porta attrezzi di
un camion. Sono stati trovati dal personale di bordo che stava
effettuando dei controlli sugli automezzi presenti nel traghetto:
sfiniti dal caldo si erano spogliati per cercare di resistere dentro
quello spazio angusto in cui passava pochissima aria. Uno dei tre è
morto così, soffocando. Gli altri due sono stati ricoverati in gravi
condizioni all’ospedale di Mestre.
E’ l’ennesimo inaccettabile episodio che, a voler aprire gli occhi, ha
delle responsabilità precise. Quel che è accaduto dimostra come il porto
di Venezia (come gli altri porti dell’Adriatico)sia una zona di
“sospensione dei diritti” in cui la prassi del respingimento in
frontiera con affido al comandante della nave antepone l’ansia di
disfarsi dei potenziali rifugiati e richiedenti asilo politico al dovere
di tutelarne i diritti e la dignità umana.
Ci poniamo oggi la stessa domanda che ci siamo fatti quando, nel 2008,
un altro ragazzino, Zaher Rezai, è morto schiacciato in una strada di
Mestre dalle ruote del tir sotto il quale si era nascosto, anche lui per
non farsi trovare dalla polizia del porto di Venezia. Perché chi
avrebbe diritto all’accoglienza e all’asilo, in quanto minore o persona
in fuga da un paese in guerra, rischia in questo modo la propria vita?
Perché sa benissimo che in zone di frontiera come quella del porto di Venezia è l’arbitrio a farla da padrone.
Come Zaher, anche questo ragazzo di 16 anni non è morto per un
incidente, perché è stato sfortunato. Queste persone sono vittime di un
sistema preciso che nessuno, nonostante le innumerevoli denunce, sembra
avere la volontà di cambiare.
Appena un mese fa l’Osservataorio veneziano antidiscriminazioni razziali lo ha messo nero su bianco. Incrociando i dati
ottenuti dalla Prefettura di Venezia e dal CIR (Consiglio Italiano per i
Rifugiati), in servizio all’interno del porto di Venezia fino alla fine
del 2011, si ottengono numeri che parlano da soli: nel periodo che va
da gennaio 2010 a ottobre 2011 almeno 574 persone sono state respinte direttamente dalla polizia di frontiera
senza aver avuto la possibilità di fare domanda d’asilo e senza aver
incontrato operatori competenti. Adesso che al porto la cooperativa
Coges ha sostituito il CIR, la situazione non appare in nulla mutata
visto che gli operatori e i mediatori non hanno accesso a bordo delle
navi, lavorano solo nei giorni feriali e solo di mattina e sempre su
chiamata della polizia di frontiera, che gode di un potere pressocchè
assoluto (e illeggitimo) sulle vite di migliaia di migranti in fuga da
guerre e persecuzioni.
La maggior parte delle persone che arrivano al porto di Venezia,
senza che nessuno abbia neppure ascoltato la loro storia, vengono quindi
rispedite nei porti greci di Patrasso o Igoumenitsa, in un paese
condannato dalla Corte europea dei diritti umani per violazione
dell’art. 3 della Convenzione, ovvero per trattamenti inumani e
degradanti ai danni dei migranti, e poi da lì vengono rimandati in
Turchia e ancora molti verso l’Afghanistan in un’interminabile catena di
arresti, torture e deportazioni.
Per queste ragioni un ragazzino di 16 anni, cui speriamo di potere prima
possibile almeno dare un nome, sapendo benissimo quali pratiche vengono
messe in atto dalla “civile” Italia, e magari essendo stato già più
volte respinto, ha scelto di mettere a repentaglio la propria vita.
Le responsabilità della Prefettura e del Ministero sono molto più che
evidenti, ma come da decenni ormai accade, questo paese, non arretra di
un passo neppure di fronte alla morte di tanti innocenti.
È successo coi respingimenti di massa verso la Libia, fermati solo dalla
sentenza della Corte europea dello scorso febbraio, e sta continuando
ad accadere con i respingimenti verso la Grecia.
Grazie a chi, della Rete Tutti i diritti umani per tutti, è tornato a
Patrasso a raccogliere le voci dei respinti da Venezia, da Ancona e da
Bari, un ricorso è pendente alla Cedu anche contro questi respingimenti.
Ma nel frattempo non è più possibile accettare quanto continua a succedere.
Non è più possibile aspettare che un altro ragazzo muoia prima reagire.
Per questo nella giornata di giovedì, alle ore 13, si terranno un presidio ed una conferenza stampa all’ingresso del porto di Venezia, per ricordare un’altra delle vittime dei respingimenti e per riaffermare - proprio in in quel luogo di sospensione del diritto e di morte - i diritti umani troppo spesso negati a chi arriva nella nostra città.
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