Venezia: due suicidi in carcere in poche settimane

Allarme sovraffollamento. Le morti a Santa Maria Maggiore. Il consigliere dei Verdi Gianfranco Bettin: «Lì dentro una situazione insostenibile».

19 / 6 / 2009

Una tragedia annunciata. Gianfranco Bettin, consigliere regionale dei verdi, non usa mezzi termini nel commentare la morte di Rino Gerardi nel carcere di Santa Maria Maggiore, a Venezia. È la seconda morte in poche settimane. «Quale che sia la ragione di questa morte - dice Bettin - è evidente che la situazione attuale dell'istituto produce quotidiana sofferenza e crea le condizioni perché accadano tragedie». Infatti per Bettin «suicidio, disgrazia o altro che sia capitato al detenuto, il carico di lavoro del personale di custodia e la condizione concreta dei detenuti tra sovraffollamento, con celle in cui non si riesce a stare tutti in piedi, riduzione dell'agibilità degli spazi comuni e delle attività possibili sono tali da produrre rischi altissimi oltre che disagi dolorosi». 

Bettin ha visitato di recente il carcere veneziano. La situazione che ha trovato è a dir poco allarmante ma soprattutto insostenibile. «Ho potuto constatare - dice Bettin - come, a fronte di una capienza regolamentare di 111 detenuti e a una massima sopportabile di circa 200, ce ne fossero 315».Di questi 315 detenuti, 191 erano stranieri e 123 italiani. Quanto al personale, racconta ancora Bettin, la situazione era altrettanto drammatica. Infatti a fronte di un organico di diritto di 167 unità (fissato quando a S.M. Maggiore i detenuti erano al massimo 150, meno della metà di oggi), il personale oggi realmente disponibile è di 104 unità. «Ne servirebbero - aggiunge il consigliere regionale dei verdi - almeno 30 subito e altre dovrebbero arrivare prima di aprire il reparto ristrutturato che potrebbe alleviare la situazione». Ma se il personale non arriverà in autunno, il reparto non potrà evidentemente essere aperto. «In queste condizioni, - conclude Bettin - e nel quadro di una politica penale che aumenta i carichi carcerari soprattutto per i reati minori, tragedie come questa sono purtroppo destinate a ripetersi».

A marzo era stato trovato impiccato nella sua cella un giovane tunisino. In quell'occasione c'erano state diverse polemiche soprattutto perché il giovane soffriva di uno stato depressivo ed era stato comunque messo in isolamento. Si è impiccato con una coperta. La procura di Venezia ha aperto un'inchiesta sul suicidio del ventisettenne. Infatti è stato confermato che il giovane aveva già tentato di togliersi la vita, soltanto mezz'ora prima del secondo tentativo fatale. Gli indagati sono due, il responsabile delle guardie e un ispettore. Il reato ipotizzato è quello di omicidio colposo per omessa vigilanza. Dopo il primo tentativo, sventato dalle guardie, il detenuto era stato chiuso in una cella da solo. Aveva ridotto la coperta a brandelli, facendone una sorta di corda con la quale poi si è impiccato. Pochi giorni prima del suicidio del giovane tunisino era stata la Cgil a denunciare le condizioni intollerabili del carcere veneziano. Condizioni dovute, aveva ribadito anche il sindacato, soprattutto al sovraffollamento (sono ventidue le etnie presenti) e alla carenza di organico. Gli stessi problemi li ha anche il carcere femminile (dove mancano secondo la Cgil almeno una ventina di agenti di polizia penitenziaria).

Secondo le prime ricostruzioni sulla morte di ieri invece, pare che il detenuto (in carcere per problemi di droga e di professione venditore ambulante) sia morto per aver inalato il gas di una bombola di quelle normalmente usate per cucinare e riscaldare. Il gas è spesso usato dai detenuti tossicodipendenti come «alternativa» alla droga. Il gas viene infatti respirato e spesso per rendere più «efficace» l'effetto il detenuto si infila un sacchetto in testa.