No Grandi Navi/No Tav. Verso l'8 Marzo

Venezia - Una storia di svendita del patrimonio, operazioni finanziarie, banche e tagli al welfare

Una riflessione sul diritto alla città dopo la vendita di Palazzo Donà

22 / 2 / 2016

Palazzo Donà si trova in Campo S. Maria Formosa. Per anni è stato la sede dei servizi sociali della Municipalità di Venezia. Poi arriva Brugnaro e decide due cose. Primo: toglie le deleghe alle municipalità (perchè il potere si accentra, non si distribuisce) e taglia servizi di welfare d'eccellenza. Secondo: ribadisce che quel palazzo va venduto.
Si interessa la Cassa Depositi e Prestiti che molto probabilmente lo "valorizzerà" cedendolo ad un privato per farci l'ennesimo albergo.
Una parabola simbolica per descrivere la patologia della nostra città dove si intrecciano tagli allo stato sociale, privatizzazione del patrimonio e banche.

Del resto altri immobili pubblici (di rilevanza storica) sono stati recentemente venduti per ripianare il debito che il Comune aveva contratto anni fa nei confronti di Unicredit. L'istituto bancario aveva anticipato molti milioni di Euro nell'operazione legata al fondo immobiliare "Città di Venezia".

In questa storia veneziana ne risuonano tante altre. La parabola inizia nel 2009 con il Pubblico (nel nostro caso il Comune) che crea un fondo immobiliare per ripianare il bilancio attraverso la vendita di "pezzi di città". Poi la banca anticipa tot milioni di Euro della presunta vendita, magari sottoscrive anche un po' di quote del fondo. Se gli asset del fondo immobiliare vengono venduti, la banca ci guadagna e i Veneziani ci perdono, perché perdono parte del loro patrimonio. Se il fondo va male non c'è comunque problema, la banca infatti può pignorare gli immobili o rientrare (con gli interessi) del debito che rimane al gestore al pubblico. Tradotto significa che questo debito lo paghiamo noi, con altre privatizzazioni, altri tagli ai servizi, altre svendite. E il cane si è finalmente morso la coda.

Eppure Venezia non è una città alla mercé delle banche, delle multinazionali del turismo e dei politici populisti. Non è ancora "nuda vita" di fronte al capitale finaziario e ai suoi alleati politici (l'attuale amministrazione del sindaco Brugnaro).

Esiste una re-esistenza (ovvero una resistenza non marginale, ma produttiva) molecolare fatta di spazi occupati e autogestiti, di associazioni, di comitati ambientalisti, di case occupate, di progetti culturali e imprenditoriali, di studenti e ricercatori.

Un rete ricca di esperienze, diversificata certo, ma che dovrà sempre più interrogarsi sulla necessità della costruzione di strumenti di azione comune. Strumenti che non potranno limitarsi alla scelta di rappresentanti migliori alla prossima tornata elettorale. E per mettere in moto l'immaginazione, è utile partire dai momenti che ci attendono nelle prossime settimane, a partire, ad esempio, dall'8 marzo, giornata in cui i Comitati No Tav e No Grandi Navi invitano la città a mobilitarsi contro tutte le grandi opere, Mose compreso che ha rappresentato un'occasione di corruzione e arricchimento per politici e imprenditori, a scapito della città tutta.

Noi ci saremo!

QUI l'appello NO TAV/No Navi