Vento di periferia

La politica italiana e la santa alleanza anti-globalizzazione

8 / 4 / 2010

L’antropologia italica è l’ultimo rifugio dell’antipolitica e delle fallite elaborazioni del lutto. Quante lamentazioni abbiamo letto negli ultimi giorni per spiegare l’ennesimo disastro della sinistra, come se la colpa fosse di un paese ingrato e la redenzione dovesse arrivare da chissà dove. Da Niki o dal tiqqun. Naturalmente un certo grado di lucidità e financo di pessimismo è utile per valutare gli assetti entro cui ci muoviamo e perciò è giusto mettere in rilievo l’imbarbarimento culturale sistematicamente promosso con misure legislative e amministrative (degrado programmato della Scuola e dell’Università, taglio degli investimenti nella ricerca, sabotaggio della produzione e della gestione dei beni artistici e paesaggistici) nonché lo scivolamento dell’Italia alla periferia economica del mondo. Anzi, entrambi gli aspetti sono condizioni che spiegano la regressività produttiva, politica e istituzionale in confronto al dinamismo di Cina e Usa e perfino di gran parte dell’Europa. Il che si esprime anche nella percezione internazionale del nostro paese: ieri come oggi in qualsiasi quotidiano o telegiornale o sito Internet non vi si fa cenno, se non con un’eccezione su cui subito tornerò. Da oltre un anno perfino il gossip su Berlusconi non fa più notizia. Il berlusconismo, dopo un fuggevole quarto d’ora di fama come indice della politica-spettacolo postmoderna, ha ceduto il passo a culti meglio strutturati e si è ridotto a folklore mentre già il sarkozysmo-carlabrunismo sta entrando in un cono d’ombra. Un fenomeno italiano, come mafia, camorra e n’drangheta, ma conta molto meno e non desta più né allarme né curiosità. Se qualcosa si decifra in questa fase post-elettorale, è che il ruolo anche locale di Berlusconi sta andando in secondo piano rispetto ad altri fenomeni emergenti e ben più inquietanti.

La Lega, il cui folklore si affiancava tradizionalmente e complementarmente a quello berlusconiano (il celodurismo ruspante e l’esibizionismo medicalmente assistito), ha mollato il folklore e si è trasferita sul piano della strategia politica, l’unica possibile in un paese periferico: coltivazione della paura per la globalizzazione e per la crisi, gestione in prima persona delle “riforme” (garantendo all’alleato minore l’impunità giudiziaria e i soldi), costituzione di un blocco d’ordine biopolitico con la Chiesa, cui offre garanzie di una scarsa esposizione agli scandali. Tutto nel giro di 48 ore –ciò che la dice lunga sull’esistenza di una struttura politica capace di elaborare piani e di insediarsi di colpo nella cabina di regia che altri evocavano a ripetizione. Una struttura, perché né Maroni né Bossi escono dalle pagine di Machiavelli o di Clausewitz, ma funzionano molto meglio delle rissose corti dei miracoli che da sempre è stato l’accrocco Forza Italia-An e da qualche anno gli eredi del Pci. Verrebbe da ridere a vedere come Cota ha scavalcato in clericalismo la sapienza curiale di Gianni Letta o Calderoli (sic!) rilancia autorevolmente a colloquio con Napolitano il semi-presidenzialismo alla francese del pensoso e impensierito Fini. Certo, Berlusconi è il collante elettorale ma il suo partito del predellino non conta più quasi nulla, resta l’appeal demagogico (idee politiche, tanto meno costituzionali ce n’erano già poche) e Tremonti, l’unica testa pensante, sta più con Bossi che con il Premier, anzi gli lega le mani con il bilancio.

Cade qui a proposito una riflessione sulla Chiesa, l’unica forza mondiale non periferica esistente in Italia (l’unica infatti cui si interessano i media stranieri). Eh già, cosa le sta succedendo? Perché del nuovo blocco di potere italiano che si sta delineando è una componente importante, tanto per l’effetto elettorale immediato quanto per la costituzione di un tessuto biopolitico quotidiano, che va dagli accenti di strapaese antimetropolitano alla mimesi del fondamentalismo statunitense e jihadista, dalla penetrazione finanziaria ciellina all’edificazione di un immaginario neo-con e antiscientista in stile Giuliano Ferrara. Si noti che, a somiglianza della Lega, la Chiesa fa un accorto uso indiretto più che diretto della Tv, giocando su una rete di comunicazione locale autonoma: insomma non si può rimproverare a nessuna delle due di sedurre “la gente” con escort, veline e isole dei famosi. E quindi non possiamo consolarci con l’antropologia del voyeurismo.

Eppure la Chiesa sta traversando in queste settimane una crisi profonda, sottoposta a un attacco sfrenato e coordinato cui corrisponde rovinosamente un collasso interno degli apparati e dei credenti e un’incredibile perdita di controllo sugli strumenti comunicativi. Complotto giudaico-protestante? Ipotesi anticonciliare, che denota lo smarrimento delle gerarchie e si trasforma in un boomerang mediatico, capace di coalizzare Cia, Mossad e al-Qaeda (aspettiamoci anche il Kgb-Fsb per effetto di qualche nuova gaffe vaticana) –come poco brillantemente Ratzinger e Bertone stanno facendo, con il contorno pittoresco del predicatore Cantalamessa e del ministro Alfano che invia gli ispettori a Milano affinché la locale e invisissima Procura non se la prenda troppo con i pedofili, dopo aver dato tanti dispiaceri al Papi. Al di là di effettive beghe regionali –la vecchia ruggine evangelica contro la Baviera cattolica, le diffidenze israeliane verso il troppo rivendicato retaggio di Pio XII, i timori ortodossi per il proselitismo romano-polacco– il dato emergente è tutto politico. Sulla pedofilia si è scatenato il governo tedesco (a guida bi-confessionale, Cdu-Csu), il «New York Times» e il «Washington Post» (suppergiù obamiani), la grande stampa inglese, francese e spagnola, mentre i repubblicani anti-obamiani, il murdochiano «Wall Street Journal» e naturalmente gli zelanti governanti italiani difendono l’omertà clericale. Lo schieramento parla da solo e potrebbe ricordare vecchie interferenze del tempo di Mani Pulite, solo che stavolta non si tratta di una vendetta o di un richiamo all’ordine (il Vaticano è un boccone troppo grosso, rispetto a Craxi o all’ormai innocuo Berlusconi), ma di una proiezione di contrasti interni fra globalizzatori riformisti e reazionari, che coinvolge una struttura globale oggi schieratasi (rinnegando il Concilio) con il non ancora sconfitto bushismo. Le conseguenze sulla provincia italiana potrebbero essere però devastanti, dato che proprio qui la Chiesa sta giocando carte in apparenza anacronistiche (la difesa a oltranza della vita, la campagna anti-abortista e perfino anti-contraccezionale, l’autonomia delle istituzioni scolastiche e del privilegio giudiziario, il rinnovato anti-darwinismo). In apparenza, perché l’anti-abortismo e il discorso pro-life sono a sorpresa anche una carta importante per la rivincita repubblicana nelle elezioni americane di mid-term e il rifiuto dell’evoluzionismo è da parecchio una componente dell’ideologia neo-con che ammicca al populismo evangelico. Da noi il tramite salottiero e insieme anti-intellettualistico è realizzato dal «Foglio», che cerca velleitariamente di tener insieme consigli razionali a Berlusconi e culto di Sarah Palin, buon cuore libertario di Adriano Sofri e omofobia devota di Camillo Langone. Comunque il terreno italiano è decisamente più arretrato, perché negli Usa la destra repubblicana usa con laico cinismo il fondamentalismo protestante, mentre da noi il ben consolidato cattolicesimo manovra formazioni indifferenti in cerca di consenso. L’irrompere del tema pedofilia, oltre a disgustare i credenti, si presta male a sorreggere le pretese ecclesiali di indirizzare e giudicare i comportamenti. Quello che resta della sinistra potrebbe almeno manifestare una presa di distanza dalle intimazioni e intimidazioni di una Chiesa in cui sta crescendo il divario fra gerarchie e fedeli. La devozione implausibile della Lega ne dimostra l’inventività politica ma segnala anche la crisi dell’istituzione religiosa, che è costretta ad aggrapparsi al primo che passa. Basterebbe uscire dalle ossessioni dell’antiberlusconismo giustizialista per individuare le fratture che si stanno aprendo nel blocco di centro-destra. Guardare indietro serve poco.