Verona: i perché e le aspettative di una rottura elettorale storica

28 / 6 / 2022

All’ultima tornata amministrativa la sorpresa politica è stata senza dubbio la vittoria dell’ex calciatore ed ex presidente dell’AIC Damiano Tommasi a Verona, che ha battuto nettamente al ballottaggio il sindaco uscente della Lega Federico Sboarina. La vittoria di Tommasi è maturata dopo aver messo dietro di lui al primo turno, con quasi il 40%, sia Sboarina che l’altro candidato di destra Flavio Tosi, anch’egli già sindaco di Verona. Una vittoria che ha un sapore non solo simbolico, in una città che da sempre è roccaforte politica, culturale ed economica della destra e dell’estrema destra.

Abbiamo chiesto alcune considerazioni ad attivisti ed analisti che quella città la vivono o la conoscono bene, per capire le ragioni e le aspettative di quello che viene celebrato anche dai media nazionali come uno strappo storico: Roberto Malesani, di Adl Cobas, Sandro Chignola, docente dell’Università di Padova, ma veronese di nascita, e Giovanni Zardini, del Circolo Pink.

Roberto Malesani (Adl Cobas)

«Io sono molto contento, soprattutto perché il fatto che non si vedano più fascisti a Palazzo Barbieri ti fa dormire meglio. 

Al di là di questo, io fin dall’inizio ho avuto la percezione che la città volesse provare ad andare in un’altra direzione. Quando sono venuti fuori i risultati del primo turno, è stato palese che questa percezione fosse giusta e che qualcosa fosse realmente accaduto in una città che è notoriamente “di destra”.

Tra l’altro, questo risultato è arrivato dopo una campagna minimale, senza troppi sproloqui né alleanze politiche tradizionali. Quella che ha sostenuto Tommasi non è una coalizione politica – diversamente da quanto accaduto nell’unica volta che il centro-sinistra aveva vinto, nel 2002 – o quantomeno è politica in un senso più profondo, soprattutto nel fatto che ha colto una volontà che in molte è molto fossero stanchi di essere rappresentati da personaggi che si pongono nell’arena pubblica come fascisti. 

Credo che un grande strattone da questo punto di vista sia stato dato dalla manifestazione organizzata da Non una di Meno in occasione del Congresso Mondiale della Famiglia il 30 marzo 2019, quando a Verona scesero in piazza 100.000 persone su tematiche transfemministe, un fatto decisamente storico per la città.

Un clima di cambiamento si è quindi costruito nel tempo, e – ripeto – non è stata solo una questione di alleanze politiche come il mainstream vuol far credere, ma c’è una voglia reale da parte della città di cambiare clima, in forme che sono tutte da costruire – e questo è un bene, io penso – perché ora bisogna realmente andare nei quartieri, cogliere le necessità di chi non ha servizi. Su questo Tommasi ha insistito molto nella sua campagna elettorale, di rendere fruibile la città ai meno abbienti, mentre dall’altra parte parlavano del Traforo e dei grandi interessi economici»

Sandro Chignola (Università di Padova)

«Oltre all’evidente voglia di cambiamento in città, segnalo alcuni elementi interessanti che si intravedono in questo risultato. La prima cosa che mi viene da dire è che la crisi della rappresentanza prosegue anche in questo caso, perché è un’elezione maturata su un numero di votanti piuttosto basso, andando a confermare un trend nazionale.

L’altra cosa, sempre all’interno della crisi della rappresentanza, è che ormai c’è un cambio forse irrecuperabile del piano di organizzazione politica, cioè hanno successo quei sindaci che si discostano in maniera piena dal discorso politico tradizionale. La rappresentanza politica può ancora avere un minimo di valore laddove la posta in gioco è la prossimità, il bisogno, la possibilità di partecipare alla vita cittadina su quei livelli materiali che interessano le persone.

Infine a Verona si è consumata, come in altre città, una partita interna al centro destra, dove Fratelli d’Italia e una componente di Forza Italia – quella che storicamente mal sopporta la leadership salviniana – hanno giocato insieme per marginalizzare definitivamente Matteo Salvini. A me sembra che a Verona e Alessandria in particolare si marchi la fine di quel ciclo politico populista di destra, che aveva avuto espressione anche a livello internazionale con le vittorie di Trump, Bolsonaro, etc.

La fase di egemonia di Salvini sul centro destra è definitivamente chiusa e il caso di Verona diventa interessante per capire come si articolerà il quadro politico più filo-europeo e filo-atlantista, che è presenta nella Lega e in larga parte del centro destra».

Giovanni Zardini (Circolo Pink)

«Credo che queste elezioni abbiano lasciato tutti sorpresi, ma soprattutto hanno lasciato sorpresa la destra e l’estrema destra, che non smetterà di essere spavalda. 

Tommasi lasciamolo lavorare; come movimenti LGBTQI+ l’abbiamo anche incontrato nel suo percorso di avvicinamento alle elezioni. Ci ha chiesto quali fossero le nostre richieste e gli abbiamo risposto che avremmo voluto un cambio di passo, innanzitutto politico e culturale, che valorizzi le soggettività e le diversità nel territorio e porti avanti una serie di rivendicazioni. Lui nel suo programma dei "100 giorni" comunque ha messo il superamento delle mozioni omofobe del 1995[1], l’entrata di Verona nella rete RE.A.DY. (Rete Nazionale delle Pubbliche Amministrazioni Anti Discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere) a altre cose. Chiaramente già le prime due sono piuttosto simboliche, però quello di cui necessita la città è proprio un cambio di passo culturale.

Inoltre, visto che lui ha messo al primo posto la famiglia, parlandone in tutte le salse durante la campagna elettorale, vorremmo capire se questo apre a un concetto di “famiglie” e non di “famiglia”, di diversità e – perché no! – anche di eccentricità. 

Ci sarà da lavorare, e spero che lui ci interpelli, instauri dei tavoli, risolva il problema dell’emergenza casa per le persone migranti e non solo, l’emergenza lavorativa e quella degli sfratti e altre tematiche di carattere sociale».



[1] L'8 febbraio 1994 il Parlamento europeo approvava la risoluzione A3-0028/94, tramite la quale si richiedeva agli Stati membri, nonché alle istituzioni, di adottare provvedimenti per porre fine ad ogni tipo di discriminazione contro lesbiche e omosessuali, e a ogni disparità di trattamento in temi quali previdenza sociale, adozione e successione. Nell'aprile 1995, il Consiglio comunale di Verona adottò la mozione 336 con la quale veniva respinto il contenuto della risoluzione del Parlamento europeo, e si impegnò invece a “non deliberare provvedimenti che tendano a parificare i diritti delle coppie omosessuali a quelli delle famiglie “naturali” costituite da un uomo e una donna