Verso il 25 e 26 marzo: creare legame tra i corpi che lottano

Il report dell’Insorgiamo Tour al centro sociale Rivolta di Porto Marghera

24 / 3 / 2022

Alcune settimane fa l’Insorgiamo Tour è passato dal centro sociale Rivolta di Porto Marghera, in un dibattito organizzato dai centri sociali del nord-est e Adl Cobas. La discussione ha posto in rilievo gli elementi salienti della convergenza attorno al climate strike e alla data del 26 marzo a Firenze, che oggi ci sembra giusto portare alla luce.

Questo soprattutto alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina, a un mese dall’invasione russa e dallo scoppio della guerra. «Se vogliamo creare convergenza non possiamo non parlare di guerra. La questione della guerra ci mostra anche come lo spazio minimo di azione per i movimenti non possa che essere quello europeo, tanto sul tema della guerra, quanto su quello climatico e del lavoro» dice Ruggero Sorci nell’apertura del dibattito.

Dario Salvetti, uno dei portavoce del Collettivo di Fabbrica GKN, spiega le ragioni di una battaglia che fin da subito è andata oltre la vertenza: «quello che abbiamo fatto in questi mesi sul terreno sindacale, ha avuto una ripercussione a livello sociale; non ci siamo inventati di trasformare una vertenza in una battaglia sociale, è stato un collegamento diretto uno sviluppo lineare».

Il global strike del 25 marzo e la manifestazione a Firenze del giorno successivo sono dei momenti importanti per verificare le possibilità di una reale convergenza di lotte e istanze sociali e politiche, «il livello di frantumazione in cui è questo paese che solo l’allargamento della mobilitazione può portare a una comprensione politica e sociale della fase che stiamo vivendo». In entrambe le piazze è fondamentale il richiamo alla guerra, al disarmo, alla diserzione, perché questo conflitto rappresenta il paradigma «di un capitalismo che continua a riadattarsi dove può estrarre profitto». Una guerra che ci parla direttamente di crisi climatica, di transizione energetica, ma anche di finanza e di lavoro.

L’apertura a tutte le realtà sociali che lottano in questo Paese è per gli operai di Gkn innanzitutto una messa disposizione le competenze, «ogni realtà che incontriamo sa bene cosa vorrebbe e come si dovrebbe riorganizzare la realtà e il 26 non vogliamo ridurre a slogan queste competenze, ma dare loro il giusto valore nella convergenza».

Sul tema dell’allargamento del tessuto sociale delle lotte torna anche Gianni Boetto, di Adl Cobas. «Noi siamo riusciti a costruire una nuova soggettività operaia, un movimento di lotte in un nuovo comparto come quello della logistica, diventato fondamentale in questa fase del capitalismo. Ma dobbiamo essere in grado di allargare il bacino delle lotte, a partire proprio dal tema della guerra, per incidere realmente nei processi di riorganizzazione del capitale». Per Gianni Boetto la manifestazione del 26 può avere la possibilità di unire le battaglie per una vita migliore, per una vera transizione ecologica, contro la guerra: «quando si parla di convergenza delle lotte è necessario immaginarsi una visione comune oltre il capitalismo, partendo da dati materiali, esperienze concrete, battaglie reali e non da semplici evocazioni fatte da “parolai”».

Il rapporto tra guerra e transizione energetica è stato affrontato anche da Anna Clara Basilicò, dei centri sociali del Nord-Est. «Dall’ultima COP 26, gas e nucleare vengono posti come energie di transizione”. Dopo pochi mesi scoppia una guerra che ha il proprio fulcro proprio nel gas e nel nucleare, nel controllo delle risorse e dei mercati». Per questa ragione la questione della giustizia climatica è intrinsecamente un terreno di convergenza, nel quale però non bisogna più scendere a patti: «in questo momento è necessario parlare di una irreversibilità delle pratiche del conflitto, opposta alla narrazione di irreversibilità che il capitale fa ad esempio delle grandi opere». Irreversibilità delle pratiche che è legata alla replicabilità delle stesse per fare in modo che ci sia un avanzamento complessivo dei movimenti.

Francesco, altro operaio di Gkn, mette in rilievo l’intreccio tra guerra, capitalismo finanziario e politiche di ristrutturazione del mercato del lavoro: «dobbiamo mettere in luce il fatto che chi sta speculando sulla guerra a livello finanziario legato alla guerra, che sta dietro all’aumento del costo della vita sono le stesse persone che chiudono fabbriche e le delocalizzano, solo in nome del profitto».

Nel dibattito è intervenuto anche Jacopo, delle Maestranze dello spettacolo. «A differenza della fabbrica, noi viviamo un mondo del lavoro estremamente fluido, nel quale l’unica risposta possibile è stata quella dell’autorganizzazione. Nel nostro piccolo abbiamo fatto una cosa simile alla vostra: abbiamo incontrato gli altri, creato consapevolezza, collettivizzato una battaglia che se viene percepita come settoriale ha già perso in partenza. Dai teatri occupati sono arrivate le riforme da mandare al governo, dalle piazze è nata una rete intersindacale ed è per questo che attraversiamo le giornate del 25 e del 26 marzo, perché crediamo che nello slogan “per questo, per altro e per tutto” ci sia una potenzialità enorme per opporsi collettivamente all’idea che l’intermittenza venga riconosciuta come perno del mercato del lavoro».