Una lotta specifica ma anche un'occasione per riaprire un ragionamento generale sulle università italiane

Vertenza BRAU: dentro/contro l’Università della crisi

Napoli: la battaglia degli studenti per la difesa di una delle principali biblioteche universitarie

13 / 2 / 2013

Ci sono cose che – nel 2008 – avevamo imparato a memoria.
Tra queste, il blocco del turn over. Non c’era studente, delle decine e decine di migliaia che scendevano in piazza TUTTI i giorni in TUTTE le città universitarie d’Italia che ignorasse il succo della faccenda: solo 2 assunzioni per ogni 10 pensionamenti.
Quel movimento fu lasciato solo, e questa è storia nota. L’Accademia non si assunse mai la responsabilità di capirlo, men che mai di inserirsi nelle traiettorie che gli studenti segnalavano nel rifiuto di un provvedimento odioso e definitivo per la storia dell’università pubblica italiana.
I mesi a seguire avrebbero però trasformato gli slogan dell’Onda in realtà molteplici e specifiche su ogni territorio.
In questo crinale si inserisce la vicenda della BRAU – Biblioteca di Ricerca di Area Umanistica di Napoli. Dallo scorso dicembre, la più grande biblioteca di facoltà del Sud deve chiudere tutti i giorni alle due del pomeriggio. Su questo dato bisogna intendersi. Prima di tutto, intendersi sul peso che – nelle facoltà umanistiche – hanno le biblioteche di ricerca. Non si tratta di luoghi sussidiari alla formazione. Poter accedere a periodici, edizioni antiche o rare, testi non più disponibile presso le case editrici – in quell’ambito -è tutto ciò che discrimina il potere o non potere fare ricerca (non c’è neanche un modo che mi venga in mente – neanche uno – con il quale avrei potuto scrivere la mia tesi di laurea, stanti gli orari succitati). In secondo luogo intendersi sull’idea che una biblioteca che chiude alle 14 è di fatto preclusa A TUTTI. Non solo agli studenti che lavorono, categoria privilegiata (a ragion vedute) in ogni analisi che si interroghi sul rapporto tra università e crisi. Più banalmente, a tutti gli studenti che la mattina seguono i corsi. A tutti i ricercatori e i docenti che la mattina tengono quei corsi. A chi vive in provincia. A tutti.
Questa È la legge-Gelmini. Nella sua nudità. Nella sua violenza. Per tre anni, PER TRE ANNI, gli studenti di tutta Italia parlavano di questo. Non di altro. Il famoso striscione appeso fuori la Normale di Pisa Occupata – Quale futuro tra queste macerie? – parlava di questa roba qui. Di università deserte. Di laboratori chiusi. Di dottorati (cioè tre anni di fatica) senza borsa (leggi: senza manco il biglietto del treno per spostarsi). Di idonei non assegnatari di borse di studio (cioè di gente che, secondo parametri stabiliti, non può permettersi l’università, alla quale si dice “pazienza”).
Tutti quelli che all’epoca ci dicevano che occupare le facoltà era “un po’ esagerato”; tutti quelli che il 14 dicembre ci chiamavano violenti; tutti quelli che si preoccupavano perché forse saltava una sessione d’esami , tengano a mente che NON ABBIAMO PARLATO DI ALTRO.
Ora, nel merito. Tre unità di personale vengono a mancare, dunque si chiude baracca alle 14. A seguito di questo provvedimento, moltissimi dei fruitori quotidiani della BRAU si sono costituiti in assemblea permanente e hanno deciso di permanere ogni giorno nei locali al pianterreno della biblioteca ben oltre l’orario di chiusura, superando anche il limite precedente. La parola d’ordine è molto semplice: BRAU IN AGITAZIONE – APERTA FINO ALLE 19.00.
Questo per rivendicare un livello minimo di civiltà nel proprio lavoro di ricerca umanistico. Questo soprattutto per creare uno stato di emergenza culturale e politica intorno alla biblioteca di Piazza Bellini. Di emeregenza. Perché, in effetti, lo stato di emergenza potrebbe aprire uno spiraglio per la deroga al blocco del turn over. Su questo cavillo si gioca una battaglia che è, evidentemente, tutta politica. Su questo cavillo si costruisce anche il secondo step della mobilitazione, ossia l’occupazione non solo delle aule studio del chiostro, ma anche di uno dei piani che ospita una parte del patrimonio librario.
Siamo abituati a pensare all’emergenzialità unicamente come ad un dispositivo coercitivo calato dall’alto per trarre il massimo del profitto da una situazione anomala. Riconosciamo anzi, nella capacità di “decidere dello stato di eccezione”, l’attributo eminente del potere sovrano. Provando a ribaltare Schmitt – però – potremmo ironicamente dire che “chi decide dello stato di eccezione è sovrano”. Apriremmo così la strada ad un campo in cui “chi decide” non è una posizione preventiva, già data, sostanziale, ma è invece l’esito di una lotta, l’esito di un rapporto di forza. Apriremmo così la strada ad un’opportunità, ossia quella di agire dal basso l’emergenza, praticando un’illegalità collettiva che provi ad imporre alla controparte una deroga a quelle forme di asservimento che aveva messo in campo (nella fattispecie: il blocco delle assunzioni). Concepiremmo così l’eccezione, senza teologiche lettere maiuscole, come riterritorializzazione di rapporti di forza che si determinano volta per volta, in una dialettica antagonistica che, volta per volta, risponde alla domanda “chi decide?”.
Una vittoria di questo tipo (o – comunque – una simile articolazione del problema) potrebbe creare uno strumento riproducibile di azione dentro l’università della crisi. Un luogo costantemente attraversato da dispositivi di potere, in cui agire l’emergenza non solo come forma di mutualismo (lasciare aperta la biblioteca in modo da garantire comunque l’accesso a tutti nonostante tutto), ma anche come forma d’attacco (pretendere nuove assunzioni, nuovi regolamenti di gestione del patrimonio librario).
Senza voler patemizzare in modo eccessivo una vertenza interessante, ma comunque circoscritta, mi pare che questi qui siano gli spazi che apre la crisi.
A Napoli, dallo scorso autunno, ne abbiamo visti tanti, anche solo dentro l’università. Mense abbandonate, auditorium monopolizzati dai privati, edifici abbandonati, biblioteche chiuse. Occupare questi luoghi per immaginarsi un’autogestione dei servizi negati dalle istituzioni che dovrebbero fornirli è un primo passaggio. Un altro, decisivo, è quello di uno sforzo di immaginazione più audace, che provi a connettere le esperienze di sottrazione in una complessiva rivendicazione di diritti e in una sorta di ricontrattazione dei termini dello scontro.
Per ora continuiamo a rimanere aperti tutti i giorni fino alle 19.00. A incontrare, durante ogni assemblea di gestione, quasi un centinaio di studenti universitari (numero che francamente ridanno ossigeno e voglia di fare a chi ancora interpreta – dopo la sconfitta del movimento antigelmini – l’università come luogo di conflitto).
A chi oggi, di nuovo, prova a dirci che la nostra pratica di lotta è “esagerata”, “controproducente”, “antidemocratica” (sic), vorrei solo chiedere dov’era nel 2008 e nel 2010. Dov’era quando la storia dell’università italiana veniva riscritta. E se era a casa, se era tra quelli che ci dicevano di non esagerare, se era tra quelli che ci diceva di star zitti e tornare a studiare, beh, nessun rancore. Ma ora si levi dai piedi.

(L’Assemblea BRAU IN AGITAZIONE si tiene ogni lunedì alle 14.00 presso la sala computer della biblioteca)