Vicenza - C'è blocco e blocco

Da una parte la solidarietà e i diritti, dall'altra l'egoismo sociale

18 / 12 / 2013

Quella di oggi, martedì 17 dicembre, è stata sicuramente una giornata intensa per gli attivisti vicentini di ADL Cobas e dell’Assemblea Sociale per la Casa.

Una giornata cominciata con il contatto ravvicinato con uno sparuto gruppetto di cosiddetti “forconi”, al casello autostradale di Barbarano Vicentino. Poche persone a distribuire dei volantini, tutt’altra immagine da quella diffusa dai media mainstream nei giorni scorsi. Riflusso o operazione mediatica che mostra la corda?

Tant’è, si abbassa il finestrino della macchina e si prende il volantino. Uno dei primi simboli che balza agli occhi è quello della Life, Liberi Imprenditori Federalisti Europei.

A qualcuno dei più vecchi (per anni di militanza, non per età), viene immediatamente in mente un momento importante nel percorso politico del movimento nel nordest.

Il 3 giugno 1997, gli scontri davanti all’aula bunker di Mestre, la contestazione radicale a Fabio Padovan, fondatore della Life.

Erano gli anni del “miracolo nordest”, del modello Benetton, del popolo delle partite Iva, del massacro del territorio, cannibalizzato dall’urbanizzazione selvaggia, dalla messa a profitto dei beni comuni, dall’egoismo proprietario, del razzismo istituzionalizzato.

Un nordest poco raccontato, molto più simile a quello descritto da Massimo Carlotto nel suo omonimo libro, che non alla visione patinata radicatasi nell’immaginario collettivo.

Quel giorno all’aula bunker si scontrarono corpi, certo, ma pure modelli sociali contrapposti.

Da una parte c’era chi predicava e praticava una deregulation selvaggia dei rapporti, sociali o di lavoro che fossero, perché il profitto aveva il primato su tutto.

Dall’altra parte c’era un movimento che aveva avuto la capacità di decodificare le forme nuove dello sfruttamento condito da una buona dose di egoismo, classico degli arricchiti dell’ultima ora, di cui la Lega Nord, con le sue politiche apertamente razziste, era degna rappresentante istituzionale.

Allora come oggi, la sinistra “ufficiale” era data per non pervenuta, persa nell’incapacità di comprendere fenomeni complessi, capace solamente di balbettare liturgiche condanne contro una nuova composizione sociale che si affacciava prepotentemente sulla scena. Quella massa indistinta di giovani precari, partite iva individuali, sottopagati e ipersfruttati nei capannoncini del “miracolo nordest”, tutti liquidati come immondi evasori.

Di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, e oggi si vorrebbe far passare l’idea che un nuovo patto sociale si sarebbe stretto, in nome di un malcontento comune contro lo stato vampiro, per ribellarsi alla mancanza di prospettiva, alla frustrazione, alla rabbia, descrivendo questo nuovo “popolo” come una sorta di moderna jacquerie, anche per gli evocativi simboli scelti, i forconi.

Poi la nebbia comincia a diradarsi, e finisce che ti confronti con una realtà ben diversa, nei numeri e nelle contradditorie dinamiche.

Come sempre capita, di fronte a fenomeni sociali effervescenti, si è cercato di capire, di indagare ciò che stava succedendo.

Ai blocchi stradali più garantiti e protetti dalla polizia che la storia ricordi (mentre altri, negli stessi giorni, venivano invece selvaggiamente aggrediti, vedi gli studenti a Roma, Milano, Napoli), più di qualcuno dei nostri è passato per cercare di interpretare la portata e il senso, le parole d’ordine di questo nuovo soggetto.

Non ci ha sorpreso trovare figure sociali che dovrebbero essere irrimediabilmente conflittuali, stringersi fianco a fianco nella protesta.

Ci sorprende di più il fatto che si voglia indicare questo come uno spazio praticabile da chi si pone l’obiettivo di cambiare radicalmente l’esistente, come possibile modello per contrastare o superare la crisi.

Forse saremo degli inguaribili romantici, ma siamo ancora convinti della necessità del conflitto tra sfruttato e sfruttatore.

Per dirla in altre parole, non ci vediamo calati nello stesso agone con chi nella propria fabbrichetta, in nome del profitto prima, e della crisi poi, fa a pezzi diritti e dignità.

Non abbiamo da condividere nulla con una confusa di idea di nazione, italiana o padana (che stridore poi quelle bandiere tricolori sormontate dal leone di S. Marco che brandisce la spada), con saluti romani e chiusure egoistiche e identitarie.

Non abbiamo colto, anche nei racconti di quelli che, in assoluta buonafede, hanno partecipato ai vari presidi in questi giorni, un ragionamento fondato sulla solidarietà, sulla necessità di allargare la sfera dei diritti, a maggior ragione in tempi di crisi.

Sinceramente, ci sarebbe impossibile andare a dei blocchi stradali organizzati da dirigenti di Forza Italia, come succede nell’altovicentino, o con gli organizzatori della manifestazione neofascista dello scorso 30 novembre a Vicenza.

Come andò a finire quel giorno è noto, sarebbe perlomeno schizofrenico ritrovarsi a manifestare assieme a quelli che, un paio di settimane fa, contestammo radicalmente. L’equilibrio non guasta, nella vita.

Per mantenerlo, questo equilibrio, questa mattina abbiamo attraversato i paesaggi bucolici della campagna vicentina.

Perché c’è blocco e blocco.

La discriminante, per noi, è ciò che produce la lotta.

Allora troviamo infinitamente più giusto bloccare degli sfratti, come accaduto questa mattina, di cinque famiglie a cui una delle banche più grosse del paese, la Cassa di Risparmio del Veneto (erede della Banca Cattolica del Veneto degli anni ruggenti della I^ Repubblica) ha intimato di sloggiare perché, pur pagando regolarmente l’affitto, il padrone di casa non pagava il mutuo, per cui la cui casa è stata pignorata dalla banca per metterla all’asta.

Ancora una volta, l’ennesima nel breve volgere di qualche settimana, attivisti dell’Assemblea Sociale per la Casa hanno impedito che famiglie intere venissero buttate in mezzo alla strada, nel silenzio assordante delle istituzioni. Per questo, una volta ottenuto il rinvio dello sfratto a febbraio, gli attivisti hanno voluto occupare simbolicamente il comune di Noventa Vicentina, denunciando il menefreghismo del sindaco nei confronti di un vero e proprio dramma sociale.

Un collega del sindaco di Noventa per funzione e appartenenza politica, tal Joe Formaggio, sindaco centrodestrorso di Albettone (uno che si vanta sulla stampa di dormire con il fucile carico accanto al letto), gli scorsi giorni era ai blocchi dei forconi.

Chissà cosa direbbe di chi si batte materialmente nel suo territorio per contrastare la crisi, per riappropriarsi di quote di reddito negato, per rivendicare diritti costantemente negati?

Chissà cosa direbbero i due sindaci di quegli studenti che, proprio oggi nel salotto buono della città, in solidarietà agli sfrattati di Noventa, hanno chiuso simbolicamente la principale filiale cittadina della Cassa di Risparmio del Veneto, denunciando il ruolo speculativo delle banche?

Spostandoci di qualche chilometro, sarebbe allo stesso modo interessante capire cosa pensa il grosso industriale che ha attrezzato una grande tensostruttura per i “forconi” a Montecchio Maggiore, nel sapere cos’è successo oggi a pochi chilometri dal presidio all’imbocco dell’autostrada a lui così caro.

Chissà cosa pensa di una lotta, come quella che oggi hanno prodotto i lavoratori della logistica della cooperativa Libera, iscritti a Adl Cobas, che dopo cinque ore di sciopero determinato davanti ai cancelli, hanno ottenuto l’immediato reintegro di un loro collega sospeso dal lavoro con motivazioni risibili, provvedimento guarda caso emanato giusto una settimana dopo la sua iscrizione al sindacato.

Una lotta che parla di difesa dei diritti, di contrasto allo sfruttamento intensivo a cui sono costretti i facchini e gli autisti che lavorano nelle cooperative del settore della logistica e dei trasporti.

Lavoratori che, con gli scioperi dei mesi scorsi hanno ottenuto straordinari risultati in termini di miglioramenti dei livelli retributivi e delle condizioni di vita nei luoghi di lavoro.

Sicuramente questa lotta non ha avuto la stessa attenzione da parte dei media dimostrata nei confronti dei forconi. Eppure, blocchi stradali e scioperi si sono succeduti, innervando vertenze di cui oggi si cominciano a vedere i risultati.

Ad essere sinceri fino in fondo, è capitato sovente che i lavoratori e gli attivisti che li hanno sostenuti siano stati pesantemente caricati dalle forze dell’ordine. Probabilmente non avevano trovato il modo di slacciarsi il casco.

Una giornata intensa, si diceva all’inizio, con la consapevolezza che quanto fatto oggi ha la possibilità di riprodursi in forma solidale e cooperante, che se patto sociale deve essere stretto, allora questo non si può affermare che attraverso molteplici conflitti sul reddito, sulla casa, sui diritti, sulla difesa dei beni comuni.

Noi abbiamo scelto senza patema d’animo in quali blocchi stare, e non ci convince affatto l’idea che, pur di schierarsi contro il teatrino istituzionale, contro la dittatura della finanza, sia necessario ricondurre una società complessa e ricca di contraddizioni come quella in cui viviamo ad una sorta di reductio ad unum, proprio perché gli interessi materiali in gioco sono diversi e assolutamente contrapposti tra loro.

Bene, per dirla con Francesco Guccini, un altro giorno è andato, e da domani si ricomincia.

A proposito, siccome siamo in periodo natalizio, sabato prossimo 21 dicembre saremo nuovamente davanti alla Cassa di Risparmio del Veneto a Vicenza. Dopotutto, bisogna riconsegnare i pacchi che la banca voleva rifilare agli inquilini che volevano far sloggiare a Noventa.

The show must go on.

Assemblea Sociale per la Casa Vicenza - ASC

Associazione diritti dei lavoratori – ADL Cobas