Vicenza. Un'analisi sulla sdemanializzazione del lato est del Dal Molin

Intervento di Olol Jackson

27 / 6 / 2010

Il Parco della Pace, dopo la conferma del trasferimento dell’area est del Dal Molin dal Demanio al Comune di Vicenza, si farà. Quello che era un sogno, una splendida suggestione evocata dalla mobilitazione di migliaia di donne e uomini di questa città, comincia a diventare una solida realtà: questa è una vittoria
dei cittadini e del movimento contro la base.
La portata di questa notizia è straordinaria, se letta nella sua interezza e ricordando la scansione precisa degli eventi.
Parlare del Parco della Pace senza ricordare che quell’area era destinata, negli iniziali progetti statunitensi, ad essere parte integrante della nuova
base, rischia di falsare la percezione della straordinarietà di questa vittoria. Provate ad immaginare cosa potrebbe essere stato. Provate a pensare ad altre migliaia di pali che si conficcano nel terreno distruggendo la falda.
Provate ad immaginarvi una pista per far decollare aerei miltari statunitensi, al posto degli alberi e delle panchine (non a caso il simbolo per eccellenza
dei No Dal Molin è proprio l’aereo con sopra ben stampato il segnale di divieto). Bene, se questo scenario da incubo è cancellato, se l’epilogo è ben
diverso dalle aspettative dell’esercito Usa, è grazie a chi ha voluto con generosità remare in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber. 

Il risultato (ancorché parziale, come spiegherò più avanti) non è frutto di una benevola concessione statale, non si ascrive al freddo e burocratico
rapporto tra istituzioni. Quanto successo è frutto di una mobilitazione straordinaria, che ha coinvolto migliaia di cittadini di ogni età, credo
politco, estrazione sociale. L’intelligenza (e la creatività) di questo movimento nell’immaginare il volto futuro della città, nel prefigurarne uno
sviluppo diverso, nel radicare nella coscienza e nell’immaginario collettivo anche alcuni elementi simbolici capaci di catalizzare l’attenzione e rinnovare
l’impegno e la passione, è stato l’elemento innovativo e vincente.

Torniamo con la memoria ad alcune date che hanno segnato indelebilmente questa vicenda.
Prima fra tutte quella del settembre 2007. Quel giorno un corteo di migliaia di donne e uomini, partito dai tendoni del Festival No Dal Molin, giunse davanti
all’aeroporto con l’intenzione di piantarvi all’interno centinaia di piccoli alberelli. E così fece. Se un momento o un fatto può essere ritenuto il simbolo
di questa storia, penso che sia proprio questo. Il Parco della Pace come nome, come desiderio, come obiettivo da rivendicare e praticare, nasce proprio lì, in
quel momento festoso e quasi catartico, in quel rito collettivo di una rinnovata comunità.
Una volta individuata la traiettoria, una volta regolata la bussola, il movimento è riuscito a proseguire con decisione e determinazione in questa
direzione, con la capacità di innovare e interagire intelligentemente con la città e con i soggetti in campo.

Momenti di lotta, come ad esempio le svariate occupazioni del Parco, si sono legati, arricchendosi gli uni con gli altri, ad altre forme di mobilitazione.
Penso alla consultazione autogestita e a tutti coloro che quel giorno si sono impegnati volontariamente, alle file davanti ai gazebi di persone che, con quel
semplice gesto, affermavano la loro volontà di disubbidire alle imposizioni dello Stato. Un momento così forte di rivendicazione collettiva di dignità, di
fronte allo scippo di democrazia perpetrato dal Consiglio di Stato, segna la storia di questa città, così come nessuno potrà mai cancellare l’emozione
collettiva che scaturiva da una piazza dei Signori gremita all’inverosimile la sera dell’annuncio che a Roma si era deciso che Vicenza non aveva il diritto di
esprimersi. Un’onda lunga che ha finito per travolgere positivamente anche le istituzioni, con l’impegno di Cinzia che ha portato in discussione in consiglio
comunale e trasformato in atto formale ciò che la città aveva già sancito con
la propria mobilitazione: lì dovrà nascere il Parco della Pace. La mobilitazione costante ha dato forza e spinta allo stesso sindaco nel rivendicare, nel suo confronto con lo Stato, quel luogo come spazio per e della
cittadinanza.

Per quel che ci riguarda, penso che da qui si debba ripartire con rinnovato vigore, che da questa  che vittoria si debba trovare nuova linfa. Come dicevo
in precedenza, è un risultato importante ma parziale. Fermo restando che i problemi connessi alla costruzione della base rimangono tutti, fermo restando
che questo non è un risultato ottenuto da una riconciliazione della città che nei fatti non esiste, bensì da un percorso di lotta e da una sacrosanta
rivendicazione che, in diverse forme, è diventata patrimonio comune della città, fermo restando tutto questo, bisogna cominciare a plasmare quello
spazio.

Ancora una volta, guai a noi se dimenticassimo il percorso che ci ha portato fin qui. Il tempo del cittadino che vive il proprio spazio e il proprio tempo
in maniera asettica e distaccata è finito. La storia del Dal Molin ha prepotentemente rimesso al centro il protagonismo di chi questo luogo, questa
città, la vive e la fa vivere. Il Parco della Pace lo dobbiamo immaginare e costruire noi. Quella parte di città che siamo faticosamente riusciti a
strappare alla cementificazione e alla guerra, vivrà nella misura in cui noi saremo capaci, collettivamente, di riempirlo di idee, di senso, di progetti.
Insomma, uno spazio che prende forma grazie alla partecipazione di tutte e tutti.

Il tempo è adesso.

Olol Jackson, Presidio Permanente

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