Il Parco della Pace, dopo la conferma del trasferimento dell’area est
del Dal Molin dal Demanio al Comune di Vicenza, si farà. Quello che
era un sogno, una splendida suggestione evocata dalla mobilitazione
di migliaia di donne e uomini di questa città, comincia a diventare
una solida realtà: questa è una vittoria
dei cittadini e del
movimento contro la base.
La portata di questa notizia è
straordinaria, se letta nella sua interezza e ricordando la
scansione precisa degli eventi.
Parlare del Parco della Pace senza
ricordare che quell’area era destinata, negli iniziali progetti
statunitensi, ad essere parte integrante della nuova
base, rischia
di falsare la percezione della straordinarietà di questa vittoria.
Provate ad immaginare cosa potrebbe essere stato. Provate a pensare ad
altre migliaia di pali che si conficcano nel terreno distruggendo la
falda.
Provate ad immaginarvi una pista per far decollare aerei
miltari statunitensi, al posto degli alberi e delle panchine (non a
caso il simbolo per eccellenza
dei No Dal Molin è proprio l’aereo
con sopra ben stampato il segnale di divieto). Bene, se questo
scenario da incubo è cancellato, se l’epilogo è ben
diverso dalle
aspettative dell’esercito Usa, è grazie a chi ha voluto con generosità
remare in direzione ostinata e contraria, per dirla con Faber.
Il
risultato (ancorché parziale, come spiegherò più avanti) non è frutto
di una benevola concessione statale, non si ascrive al freddo e
burocratico
rapporto tra istituzioni. Quanto successo è frutto di
una mobilitazione straordinaria, che ha coinvolto migliaia di
cittadini di ogni età, credo
politco, estrazione sociale.
L’intelligenza (e la creatività) di questo movimento nell’immaginare
il volto futuro della città, nel prefigurarne uno
sviluppo diverso,
nel radicare nella coscienza e nell’immaginario collettivo anche
alcuni elementi simbolici capaci di catalizzare l’attenzione e rinnovare
l’impegno e la passione, è stato l’elemento innovativo e vincente.
Torniamo con la memoria ad alcune date che hanno segnato
indelebilmente questa vicenda.
Prima fra tutte quella del settembre 2007. Quel giorno un corteo di migliaia di donne e uomini,
partito dai tendoni del Festival No Dal Molin, giunse davanti
all’aeroporto
con l’intenzione di piantarvi all’interno centinaia di piccoli alberelli.
E così fece. Se un momento o un fatto può essere ritenuto il simbolo
di
questa storia, penso che sia proprio questo. Il Parco della Pace come
nome, come desiderio, come obiettivo da rivendicare e praticare,
nasce proprio lì, in
quel momento festoso e quasi catartico, in quel
rito collettivo di una rinnovata comunità.
Una volta
individuata la traiettoria, una volta regolata la bussola, il movimento
è riuscito a proseguire con decisione e determinazione in questa
direzione,
con la capacità di innovare e interagire intelligentemente con la città
e con i soggetti in campo.
Momenti di lotta, come ad esempio le
svariate occupazioni del Parco, si sono legati, arricchendosi gli
uni con gli altri, ad altre forme di mobilitazione.
Penso alla
consultazione autogestita e a tutti coloro che quel giorno si sono impegnati
volontariamente, alle file davanti ai gazebi di persone che, con quel
semplice
gesto, affermavano la loro volontà di disubbidire alle imposizioni dello
Stato. Un momento così forte di rivendicazione collettiva di dignità,
di
fronte allo scippo di democrazia perpetrato dal Consiglio di
Stato, segna la storia di questa città, così come nessuno potrà mai
cancellare l’emozione
collettiva che scaturiva da una piazza dei
Signori gremita all’inverosimile la sera dell’annuncio che a Roma si
era deciso che Vicenza non aveva il diritto di
esprimersi. Un’onda
lunga che ha finito per travolgere positivamente anche le istituzioni,
con l’impegno di Cinzia che ha portato in discussione in consiglio
comunale
e trasformato in atto formale ciò che la città aveva già sancito con
la
propria mobilitazione: lì dovrà nascere il Parco della Pace. La mobilitazione
costante ha dato forza e spinta allo stesso sindaco nel rivendicare,
nel suo confronto con lo Stato, quel luogo come spazio per e della
cittadinanza.
Per quel che ci riguarda, penso che da qui si debba ripartire
con rinnovato vigore, che da questa che vittoria si debba trovare
nuova linfa. Come dicevo
in precedenza, è un risultato importante ma
parziale. Fermo restando che i problemi connessi alla costruzione
della base rimangono tutti, fermo restando
che questo non è un
risultato ottenuto da una riconciliazione della città che nei fatti
non esiste, bensì da un percorso di lotta e da una sacrosanta
rivendicazione
che, in diverse forme, è diventata patrimonio comune della città,
fermo restando tutto questo, bisogna cominciare a plasmare quello
spazio.
Ancora
una volta, guai a noi se dimenticassimo il percorso che ci ha portato fin
qui. Il tempo del cittadino che vive il proprio spazio e il proprio
tempo
in maniera asettica e distaccata è finito. La storia del Dal
Molin ha prepotentemente rimesso al centro il protagonismo di chi
questo luogo, questa
città, la vive e la fa vivere. Il Parco della
Pace lo dobbiamo immaginare e costruire noi. Quella parte di città
che siamo faticosamente riusciti a
strappare alla cementificazione e
alla guerra, vivrà nella misura in cui noi saremo capaci,
collettivamente, di riempirlo di idee, di senso, di progetti.
Insomma,
uno spazio che prende forma grazie alla partecipazione di tutte e tutti.
Il tempo è adesso.
Olol Jackson, Presidio Permanente