Violenza e transfobia: cosa ci racconta l'aggressione di Milano alla persona trans

Un commento del Collettivo Squeert di Padova

30 / 5 / 2023

Una donna transgender di origini brasiliane, nella mattinata di mercoledì 24 maggio, è stata presa a manganellate con violenza dalla polizia a Milano, è stato usato contro di lei lo spray al peperoncino, è stata colpita con calci e spinte. Un video girato da un vicino ha portato l’accaduto agli occhi dell’opinione pubblica, scatenando reazioni anche opposte e contrarie, tra la solidarietà e l’omotransfobia.

Alle porte del mese del Pride, in un Paese in cui secondo il Rainbow Europe Index i diritti umani sono rispettati al 25% ci sembra fondamentale soffermarci sull’analisi non solo dell’accaduto in sé ma anche della sua narrazione e del contesto che rende possibile ogni giorno episodi e violenze tali.

Quello a cui abbiamo assistito in loop su tutti i media la settimana scorsa è una violenza nella sua forma più totalizzante e disarmante. Ciò che abbiamo visto è un corpo che viene percosso e punito perché non conforme, un corpo non cis, un corpo di donna, un corpo razzializzato e un corpo "malato".

Ma la violenza non si ferma all’atto fisico, si espande a macchia d'olio tramite articoli, condivisioni, post, tweet, che usano un linguaggio e una narrazione aberranti dell’accaduto e della persona coinvolta.

I giornali, la tv, l'intera sfera mediatica non si sono lasciati scappare l'opportunità di utilizzare la loro tanto amata tecnica di etichettamento, quella che non vediamo mai esser utilizzata nei confronti di uomini bianchi cisetero, ovvero l’attribuzione di caratteri stereotipanti usati per ingabbiarci in determinate categorie, ovviamente negative. È bastato utilizzare le parole "trans", "immigrata" e "sieropositiva" per scatenare l'onda di transfobia, razzismo e sierofobia a cui abbiamo assistito.

Trattandosi di una persona marginalizzata i media hanno ritenuto non necessario mettere in pratica le basi del giornalismo e dell’informazione, ovvero praticando il fact checking. Hanno dato per scontata la versione rilasciata dalla Polizia Locale, che vedeva nella persona aggredita un mostro infetto, perverso e molesta-bambini. Tale scenario sembrava riprendere un immaginario negativo (proveniente direttamente dagli anni 80) purtroppo non estraneo alle persone della comunità, specialmente se trans o sieropositive.

Nel tentativo quindi di dipingersi ad eroi dell’ordine pubblico, dalla Polizia Locale hanno diffuso una versione dei fatti, successivamente smontata dalla Procura, che ha dato il via e l’autorizzazione implicita a commenti e opinioni tanto violenti e deumanizzanti quanto l’atto compiuto dagli agenti.

Allo stesso tempo il partito Fratelli d’Italia ha ovviamente espresso vicinanza alle forze dell’ordine, non solo accusando la donna di essere una molestatrice, ma rivolgendosi a lei come “un trans”.

Un tentativo raccapricciante delle istituzioni di giustificare l'accaduto, montando una narrazione lesiva della dignità della persona. Una narrazione tipica dello schema comunicativo ormai collaudato da parte del potere, che ha fatto passare, con la versione falsa (ma comoda) dei fatti, il messaggio che questa persona in qualche modo "se lo fosse meritato".

Sappiamo benissimo quanto questa retorica sia quotidianamente adottata per giustificare qualunque violenza ai danni di donne, persone trans, razzializzate, disabilizzate e per legittimare questi atti strumentalizzando e demonizzando le vittime e la loro identità. La violenza della polizia però non ha e non può avere giustificazioni.

Ed è in questo torrente di fango e disinformazione che dobbiamo inserirci, riappropriandoci della narrazione degli eventi e delle persone. Laddove il flusso di informazioni è continuo, composito e illimitato, basta poco perché si creino delle storture, delle stereotipizzazioni, dei cosiddetti shortcut cognitivi falsati e nocivi per le persone oppresse. Basti pensare, come dice Marzia Vaccari, che tramite i motori di ricerca come Google solo nel digitare la parola “donna” i suggerimenti che escono fuori sono dei più biechi e genderizzati, nel caso della parola “trans” o “donna trans” la situazione non migliora, anzi.

La matrice di quello che è accaduto a Milano a noi è chiara.

L'Italia è il primo paese in Europa per numero di vittime di transfobia e le richieste d'aiuto da parte di persone trans sono in rapido aumento. Non possiamo vivere in costante terrore, domandandoci chi attorno a noi possa essere lə prossimə.

Le forze dell'ordine, il cui nome in sé fa già riflettere, non sono mai state e non saranno mai dalla nostra parte; arriverà giugno e alcune divise si coloreranno di "arcobaleno" per coprire le macchie di sangue, si parlerà di "includere la polizia al pride", mentre le vittime della loro violenza restano indifese e senza giustizia.

Restano le carceri inumane, restano le manganellate su chi manifesta, restano le denunce sporte da persone marginalizzate che diventano carta straccia, restano l'omofobia e la transfobia.

Restano le tracce sui social, in tv, quelle che vanno a rovinare la vita di queste persone già segnate dalla violenza fisica, resta la disinformazione sulla sierpositività, la credenza generale che Bruna in quel momento avrebbe potuto contagiare i poliziotti semplicemente toccandoli, resta la rabbia personale, oltre che quella caratterizzante l'istituzione di cui fanno parte, che gli agenti sfogano sulle loro vittime ad ogni aggressione.

Al deputato di Fratelli d'Italia Stefano Maullu, che ha espresso "piena solidarietà ai vigili che hanno fatto il loro dovere", rispondiamo che il dovere di un poliziotto non è aggredire unə cittadinə inerme, anzi, e che invece di doveri noi vogliamo parlare e rivendicare i nostri diritti.

Il diritto di vivere in una città sicura, non perché pattugliata da forze dell'ordine armate, ma perché inclusiva e transfemminista, il diritto di manifestare il nostro dissenso negli spazi pubblici e riappriopriarcene, il diritto di esistere in corpi non conformi, di autodeterminarci in quanto frocз, lesbichз, trans*, bisessuali, queer.