Saranno trasferiti tutti a Mineo entro una settimana ed i CARA, i centri di accoglienza per richiedenti asilo, diventeranno probabilmente strutture detentive dove incarcerare i migranti sbarcati a Lampedusa in questi giorni. La notizia arriva da Roma, dove da questa mattina, così come a Gradisca d’Isonzo, sono cominciate le deportazioni dei richiedenti asilo dal CARA di Castelnuovo di Porto verso il Residence degli Aranci di Mineo. Gli attivisti della campagna Welcome si sono incatenati davanti ai cancelli del CARA ma dopo diversi tentativi, il trasferimento è riuscito.
Intanto Lampedusa esplode e Maroni ha incontrato le
Regioni per definire un piano di distribuzione dei migranti. Difficile
prevedere lo scenario viste le dichiarazioni contraddittorie. Si parla
di distribuzione dei profughi ma di asilo o protezione temporanea in
pochi sembrano voler sentir parlare. Ancora oscura quindi la verità su
quale sarà la loro condizione giuridica e di trattenimento e soprattutto
non è neppure chiaro se si tratti di un annuncio o di una realtà. Già
il Governatore del Veneto Zaia afferma la disponibilità ad accogliere
eventualmente i profughi libici, chiarendo invece il rifiuto categorico a
farsi carico dei migranti arrivati dalla Tunisia. Si tratta di
"clandestini" dice, come peraltro lo stesso Maroni aveva dichiarato
pochi giorni fa (aggiungendo anche notizie su possibili e fantomatiche
infiltrazioni di Al Quaeda).
Ma chi è profugo o clandestino, chi ha diritto alla protezione o invece
deve essere detenuto sembra essere una decisione arbitraria nelle mani
del Governo.
Ciò che sta accadendo fa presagire ad un meccanismo nuovo ed
improvvisato di detenzione diffusa di chi invece avrebbe diritto ad una
protezione temporanea così come stabilito dal decreto legislativo n. 85
del 2003 che ha recepito la direttiva 55/CE/2001. Si tratterebbe insomma
di applicare semplicemente l’articolo 20 del Testo Unico
sull’immigrazione che prevede la concessione della "protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati".
Basta uno sguardo all’altra sponda del mediterraneo per capire cosa sta
avvenendo. Migliaia di persone stanno abbandonando la Libia approdando
in Tunisia, dal canto suo stravolta dalle ribellioni di questi mesi. Chi
approda sulle nostre coste, quindi, arriva da un territorio, quello
nord-africano, complessivamente sconquassato da uno scenario
imprevedibile fino a poco tempo fa.
Il numero di approdi, in
assoluto esiguo, è così diventato una emergenza per le scelte di chi ha
voluto scaricare su Lampedusa la situazione trasformandola in un grande
dispositivo di ingabbiamento.
Ora invece si attende di capire quale saranno le evoluzioni delle prossime ore.
Di certo c’è che il conflitto libico non lo voleva nessuno perché
Gheddafi, l’amico dell’Occidente, garantiva, oltre agli
approvvigionamenti energetici, anche la possibilità di affermare il
controllo violento delle migrazioni. Ma le rivolte, l’istanza di
democrazia delle popolazioni nord-africane, hanno distrutto, oltre ai
regimi, anche le certezze della stessa Europa. Di contro oggi c’è chi
cerca di ricavare un nuovo assetto da questa situazione (vedi la
Francia) e chi invece frena perché vede pesantemente messi in
discussione i suoi interessi (vedi l’Italia). Ma il nodo qui non è
"intervento sì - intervento no". Lo stop alle bombe (non lo stop alla
caduta di Gheddafi) è un grido che non possiamo non lanciare. Ma parlare
di stop alla guerra, richiamando l’Iraq, l’Afghanistan, il Kosovo, non
ci fa capire nulla di ciò che sta accadendo. Neppure ci fa stare vicini a
quanti, proprio per liberarsi di Gheddafi, avevano cominciato la loro
di guerra contro il dittatore libico (i ribelli di Benghazi) ottenendo
anche il sostegno di noi tutti.
Si tratta allora di capire, non tanto se stare con la Francia o con la
Nato, con l’Italia o con la Gran Bretagna, ma di attivarci per non
essere spettatori di questo stravolgimento epocale (e incredibilmente
vicino) della nostra storia.
Certamente il nodo principale che si propone ai nostri occhi è quello della sollecitazione della frontiera europea che in molti pensavano di aver blindato comprandosi la collaborazione di Gheddafi (e fornendogli anche le armi con Finmeccanica).
Libertà allora. Diritto di scegliere cosa fare e dove stare per le migliaia di persone che per tanti motivi raggiungono le nostre coste. Sfollati perché il delirio di queste ore produce fughe e necessità di lasciare alcune zone, ma anche soggetti in movimento perché decisi a guardare dall’altra parte del mediterraneo sfidando i dispositivi di controllo europei.
Il contorto meccanismo messo in atto dal Ministero
dell’Interno nell’affrontare la situazione, con la saturazione di
Lampedusa, lo svuotamento dei Cara, le deportazioni a Mineo, gli accordi
ancora poco chiari sulla distribuzione degli arrivi tra le diverse
Regioni, punta a ridisegnare (con uno schizzo fatto in fretta e furia
più che un quadro definito) la geometria del sistema di detenzione e
confinamento nazionale, proponendo una risposta confusa ma pesante alle
pressioni migratorie.
Lampedusa deve essere decongestionata. Questo è evidente ed urgente.
L’isola,
trasformata per l’ennesima volta in un grande CIE a cielo aperto è
diventata invivibile per gli abitanti e per i migranti approdati dal
mare. Ed ogni soluzione proposta, che non parli di protezione temporanea ed accoglienza per gli sfollati dei conflitti euro-mediterranei,
risulta essere inadeguata a risolvere il problema dell’isola e al tempo
stesso una nuova ridefinizione dei meccanismi di carcerazione dei
migranti in questo paese.
Loro vogliono andare a Parigi, a Berlino, a Londra.
Vogliono
l’Italia solo per qualche mese, per qualche giorno, per qualche ora.
Vogliono una vita nuova o un pezzo di vita diversa. Non si tratta allora
di distribuirli come pacchi tra gli Stati europei o tra le Regioni,
mascherando da accoglienza la detenzione ed il confinamento, ma invece
di affermare la loro garanzia di poter essere dignitosamente accolti ed
insieme di costruire una nuova ipotesi di diritto di circolazione in
Europa, di diritto d’asilo europeo, di possibilità di scelta del dove
stare, dove andare, dove arrivare.
Non è un caso che proprio lasciando sullo sfondo questi nodi irrisolti, l’attualità sia segnata da uno scenario contraddittorio e a tratti paradossale, con alcuni dei migranti arrivati immediatamente lasciati "liberi" con un invito ad allontanarsi autonomamente dal territorio, altri invece, a cui viene proposto di presentare domanda di protezione internazionale, altri ancora (i più) a cui viene prospettata la detenzione.
E’ su questo nodo, sul rifiuto di
riconoscere dignità e protezione a chi arriva, che il meccanismo
improbabile pensato dal Ministero produce il suo violento corto circuito.
Perché se chi approda non è libero di di andare, di restare, di
scegliere, ma deve essere costretto e confinato in un percorso obbligato
di attesa, di confinamento, di detenzione, di clandestinità, nessuna
ricetta distributiva sarà mai adeguata.
Proviamo allora a fare ordine.
Lampedusa esplode. La situazione ormai sta scoppiando per l’ennesima
volta nelle mani del Viminale che, con "risarcimenti" e compensazioni,
non è in grado di comprare il silenzio degli abitanti dell’isola.
L’annuncio dell’arrivo di una nave militare per sistemare (sempre sulla
costa dell’isola) i migranti rimasti all’addiaccio sul porto, risulta
essere un un palliativo inutile sia per i numeri che per la gestione
dell’operazione. Il progetto di costruire una tendopoli, sempre
sull’isola, è stato duramente e giustamente messo in mora dagli
abitanti, indisponibili ad accettare la normalizzazione
dell’ingabbiamento loro e dei migranti, in una prigione a cielo aperto.
La distribuzione degli arrivi in termini di "accoglienza", quella vera,
non detentiva, si scontra con la necessità di fornire ai migranti una
forma di protezione temporanea che il governo, impegnato da sempre
nell’utilizzo politico dell’immigrazione e nella costruzione
dell’emergenza clandestini, non sembra certo disposto a concedere.
Dall’altro lato, il progetto di costruire nuovi CIE,
annunciato ormai da anni, si è arenato di volta in volta per le proteste
delle comunità locali che hanno saputo contrastare le decisioni prese
sulla loro pelle e su quella dei migranti.
Così, l’operazione Mineo, con la costruzione di un "villaggio di
eccellenza" per l’accoglienza, secondo i piani del Viminale, potrebbe
consentire di recuperare spazio nelle strutture già esistenti
trasformandole in CIE dopo averle svuotate con i trasferimenti dei
richiedenti asilo nel nuovo campo di confinamento catanese (isolato,
blindato e mal servito), che peraltro significa anche interruzione delle
reti socio-assistenziali e legali di chi era nelle strutture.
Si fa insomma spazio l’idea di trasformare i CARA in CIE e procedere
così alla distribuzione della detenzione degli arrivati sul territorio.
Ma l’operazione, da sola, non sarà certo sufficiente a risolvere il
problema di Lampedusa che conta centinaia di arrivi quotidiani e che
nessuno sembra aver veramente la voglia di affrontare.
Accoglienza nelle Regioni?
La novità di oggi
sembrerebbe quella di un piano per la distribuzione dei profughi ma
delle modalità e delle condizioni ancora non si sà nulla.
Si parla di un potenziamento dello SPRAR (che da tempo viene chiesto a
gran voce) ma questo significherebbe concedere agli sbarcati a Lampedusa
la possibilità di presentare domanda d’asilo.
Dall’altro lato non si conoscono invece i contorni e le caratteristiche
dei luoghi potenzialmente destinati alla distribuzione: luoghi chiusi?
nuovi centri di accoglienza?
Il tutto fa pensare ad un tentativo di gestione politica dell’empasse più che ad una concreta idea del Viminale.
Il rischio è l’adozione di una soluzione artigianale,
peraltro già in parte praticata dal governo con i primissimi arrivi,
cioè quella di trasferire i migranti presenti a Lampedusa in strutture
diffuse per poi notificare loro il respingimento differito con
conseguente intimazione a lasciare il territorio. In questo modo si
potrebbe procedere allo svuotamento dell’isola e contemporaneamente
evitare di dare una forma di "accoglienza vera" nelle diverse regioni,
lasciando i migranti "liberi" di essere arrestati per la violazione
dell’ordine di allontanamento, di essere processati per il reato di
clandestinità, o di sfidare ancora le frontiere europee, questa volta
interne, per raggiungere gli altri stati membri e magari ritrovarsi
confinati, aconra, nella nuova enclave di ventimiglia.
Piccolo particolare? Nessuna garanzia per loro, ma invece un destino di
irregolarità e sfruttamento...ma d’altronde la produzione di
clandestinità è il leit motive di questa legge e di queste politiche.
La questione si propone in tutta la sua drammaticità a
tutti noi, in un momento in cui stanno avvenendo enormi ed impensabili
stravolgimenti degli assetti globali ed euromediterranei, che per molti
diventano anche una nuova sfida per riaffermare il controllo sulla vita
dei migranti.
Per noi, questa stessa sfida è d’obbligo. Perchè alle ribellioni
nordafricane non si risponda con detenzione o espulsioni. Perché la
spinta di chi ha messo in discussione i Raìs non diventi confinamento e clandestinità per altri.
"Perché il diritto di scelta sul nostro futuro e l’indisponibilità ad assistere inermi a ciò che sta avvenendo sono il nostro ordine del giorno. Allora Welcome...fuori dalla clandestinità per la dignità e la libertà dei migranti" - dicono gli attivisti.
Nicola Grigion