Tunisia - I campi profughi al confine con la Libia

Quando affrontare un emergenza significa costruire accoglienza.

5 / 4 / 2011

4 aprile 2011 - Confine Tunisia Libia

Quando alla metà dello scorso febbraio sono arrivate le prime migliaia di persone di ogni nazionalità che hanno varcato il confine tra Libia e Tunisia, i tunisini hanno fatto una scelta: si doveva organizzare l'accoglienza.

Tutto ha avuto inizio dalle famiglie che abitano i villaggi limitrofi al confine che, vedendo il flusso di migranti, hanno dato una prima assistenza fornendo cibo, acqua e ospitalità nelle proprie case. E' partita poi una gara di solidarietà anche dal resto della Tunisia, coadiuvata dall'esercito tunisino, per portare aiuti e medicinali. Per dieci giorni i tunisini hanno fatto fronte da soli ad un flusso di oltre 10,000 persone al giorno; solo dalla seconda settimana sono intervenute le organizzazioni internazionali..

Arriviamo a Choucha, il più grande dei quattro campi profughi situati nel sud est della Tunisia, a 8 km dal confine libico. La strada che divide in due la pianura semidesertica che vediamo davanti a noi è quella che porta in Libia: Tripoli è a soli 150 chilometri da qui. E' sul lato a sud di questa strada che si sviluppa il campo, composto da migliaia di piccole tende in cui dorme chi ha trovato rifugio qui, da altre più grandi per i servizi collettivi e da alcune bancarelle che vendono ordinatamente cibo ed altri oggetti (vestiti etc..). Scorgiamo varie file ordinate in attesa per il cibo o per telefonare: a prima vista si percepisce l'assenza di tensioni, spesso difficilmente evitabili quando migliaia di persone si trovano in un solo luogo in condizioni di sofferenza.

Siamo ricevuti da un graduato tunisino che con disponibilità ci fornisce le prime informazioni sul campo: a tutt'oggi sono state accolte circa 150.000 persone di oltre settanta differenti nazionalità (subsahariani, asiatici, arabi etc ..), anche se nel primo periodo sono arrivati quasi esclusivamente egiziani..

Non ci sono libici per il semplice fatto che la mobilità alla frontiera è rimasta inalterata per libici e tunisini: se un libico arriva in Tunisia è libero di andare dove vuole come avveniva prima del conflitto interno. Per cui i libici che hanno varcato la frontiera sono andati a Tunisi o in altre parti del Paese.

L'ufficiale ci spiega come si svolge l'accoglienza: chi arriva al confine durante il giorno viene identificato dall'ufficio istituito dalle autorità tunisine e successivamente accompagnato in uno dei campi profughi. Se l'arrivo avviene di notte invece viene fatto dormire nel campo al confine per evitare il trasbordo senza la luce del sole.

Poi si cerca di unire le persone per nazionalità, al fine di migliorare la comunicazione e la solidarietà in un contesto di estrema difficoltà come questo, mentre le famiglie vengono indirizzate al campo d'accoglienza gestito dagli Emirati Arabi a pochi chilometri di distanza.

Le persone vengono poi accolte a seconda delle necessità. Chi vuole essere rimpatriato viene seguito dall'OIM (Organizzazione Internazionale delle Migrazioni) nel percorso per ottenere un trasporto nel proprio Paese d'origine, ed eventualmente gli vengono forniti dei documenti d'identità provvisori. Chi non vuole o non può tornare a casa, come nel caso dei moltissimi somali presenti, inizia invece le procedure perché gli venga riconosciuto lo status di rifugiato. Nessun rimpatrio avviene in maniera forzata.

Al campo, ci dice l'ufficiale, viene garantita l'assistenza sanitaria, cibo e acqua potabile.

Quando gli chiediamo perché stiano facendo tutto questo e chi coordina il tutto, ci risponde che “questo è territorio tunisino peraltro di frontiera, per cui è naturale fare del proprio meglio per gestire una situazione improvvisa creatasi in Libia”. Non sappiamo cosa rispondere quando ci dice “immagino che in Italia succederebbe lo stesso se scoppiasse la guerra in Francia”.

Naturalmente non tutto fila sempre liscio: le difficoltà ci sono, e ci vengono esplicitate da alcuni ragazzi somali ed eritrei che ci riferiscono che l'acqua è salata, che non sempre si mangia tre volte al giorno, che esiste del mercato nero che rivende gli aiuti umanitari nelle zone più remote del campo e che la loro condizione di rifugiati gli impedisce di tornare al loro Paese. Quando gli si chiede cosa facevano in Libia rispondono che lavoravano ed alcuni però ci fanno capire che vorrebbero cercare condizioni di vita dignitose in Europa.

Poco dopo un uomo africano che lavorava come interprete in Libia, improvvisa un piccolo comizio sostenendo che nel momento in cui il regime libico è entrato in crisi si è visto costretto ad andarsene perchè “è scattata la caccia al nero” e che non vede l'ora di poter tornare in Libia” anche se “solo Gheddafi poteva tenere le cose sotto controllo”. I legami tra Libia e paesi subsahariani sono sempre stati molto stretti nel bene e nel male.

Besim Ajeti, il funzionario di origine kossovara responsabile dell'OIM, conferma che i primi gruppi, che poi sono stati rimpatriati volontariamente, erano composti per la maggior parte da asiatici ed egiziani, e che a volte è necessario far pressione sui governi perché contribuiscano alle spese di volo dato che si tratta di migliaia di persone: Paesi come Ciad o Sudan non possono contribuire a causa delle difficili condizioni economiche in cui versano. Anche in questo caso ci viene confermato il fatto che non si svolgono rimpatri forzati e che molte persone ospitate dal campo lavoravano in Libia. Dichiara inoltre di non aver mai visto un'emergenza gestita in maniera così naturalmente ospitale come quella organizzata dai tunisini.

Per andare ad incontrare il responsabile dell'Acnur (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati), passiamo davanti alle tre tende italiane della Protezione Civile, che arrivata per ultima ha dichiarato che “c'era già tutto”, per cui ha messo a disposizione le tende per fare eventuali assemblee e incontri. Quando ci passiamo davanti sono chiuse e vuote, ma gli stemmi e le bandiere della Protezione Civile sono ben visibili.

Presso la tenda dell'Acnur, dopo aver elogiato gli sforzi delle organizzazioni tunisine, il responsabile canadese conferma le modalità di accoglienza, e ci informa che attualmente sono circa 2000 i richiedenti asilo presenti nel campo in attesa di essere ospitati presso quei Paesi, purtroppo troppo pochi, disposti a inserirli nei programmi d'asilo.

L'Acnur si era preparato ad accogliere il flusso dei cittadini libici ma finora ne sono arrivati pochi, e comunque non si sono fermati al campo profughi, ma hanno proseguito il viaggio verso altre città tunisine. Inoltre da parte di chi arriva in Tunisia vengono fornite versioni contrastanti su quanto succede oltreconfine: chi dice che la gente non può lasciare il Paese, chi dice che invece si può venire liberamente. Chi racconta di situazioni durissime, chi dice che non sta succedendo niente di grave. Per l'Acnur e le altre organizzazioni internazionali che non hanno operatori all'interno della Libia è difficile dire quale è la situazione reale, in ogni caso in coordinamento con i tunisini si è già pensato come far fronte ad un eventuale arrivo di massa.

Mentre camminiamo per il campo ci si avvicinano in diversi per raccontare la loro storia: quella delle migrazioni in questa parte del pianeta, che parla della ricerca della dignità e della libertà.

Ripartiamo con la delegazione del Forum Sociale Mondiale verso Tunisi dove domani si svolgerà la Conferenza Stampa finale dell'iniziativa.

Noi torneremo sabato al campo profughi di Choucha con la Carovana Uniti per la Libertà non solo per portare gli aiuti raccolti in forma autorganizzata in Italia ma anche per dire insieme ai tunisini che “si può” fare di un emergenza reale un'occasione di accoglienza e dignità. La Tunisia lo ha fatto e lo possiamo fare anche noi.

A cura di Paolo, Damiano, Vilma, Tommaso

Report audio dal confine Libia e Tunisia (04.04.11)

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