«Aborcja nie policja». Intorno al femminismo polacco

La sciopero delle donne a Varsavia attraverso le parole di Katarzyna Rakowska, attivista e sindacalista di Ozz Inicjatywa Pracownicza.

10 / 3 / 2018

 L'inverno quest'anno in Polonia è stato particolarmente intenso. Nelle scorse settimane la temperatura è scesa spesso sotto i dieci gradi anche a Varsavia e il sole nell'ultimo mese ha fatto capolino di rado. Il caso ha voluto che domenica 4 marzo fosse una di quelle rare giornate di sole. L'area più avveniristica della città, con uno skyline caratterizzato da modernissimi grattacieli e alcuni edifici salvatisi alla sua distruzione, ha visto alcune migliaia di persone, soprattutto donne, scendere in piazza per rivendicare il diritto all'aborto in primis, e contro la violenza della polizia. Questi i due punti principali della piattaforma che ha caratterizzato l'annuale appuntamento della domenica vicina all'8 marzo lanciato dal collettivo Manifa. Nato una ventina di anni fa, questo gruppo riunisce donne provenienti da vari ambienti della lotta sindacale, dell'associazionismo di base e dei movimenti autonomi di Varsavia e Poznan soprattutto. Dopo il Congresso sociale delle donne tenutosi a Poznan il 3 marzo, questo era il secondo appuntamento della fitta agenda di mobilitazione intorno all'8 marzo.

Il Congresso di Poznan ha visto la partecipazione di numerose/i attiviste/i, gruppi femministi, sindacati di base, realtà che si battono per il diritto all'abitare, formazioni ecologiste e molti altri. Le rivendicazioni emerse dal congresso non si limitano alla modifica radicale della legge sull'aborto, ma riportano la necessità degli aumenti salariali nei luoghi di lavoro, il riconoscimento di una retribuzione del lavoro di cura, la diminuzione dell'orario lavorativo, il diritto alla casa, agli allacciamenti energetici, l'accesso alle cure garantito a tutte/i e molto altro.
Diverse organizzazioni animavano anche le strade di Varsavia il pomeriggio del 4 marzo, insieme ad associazioni di sex workers e gruppi LGBTQI. Una manifestazione in cui, oltre alla rivendicazione del diritto all'interruzione volontaria della gravidanza, centrale era l'attacco alla violenza della polizia in quanto rappresentazione più evidente del maschilismo brutale delle istituzioni.
Indubbiamente la Polonia è uno dei paesi in cui la mobilitazione femminista ha un ruolo e una forza determinanti. Ricordiamo tutti la black protest inaugurata nell'ottobre del 2016 e l'emozione nel vedere centinaia di migliaia di donne scendere in piazza per rivendicare il diritto all'aborto, in uno dei paesi con una delle leggi più restrittive d'Europa in materia. L'enorme mobilitazione che ha caratterizzato il 2016 scoppiava dopo le dichiarazioni del governo intorno all'attuale legge sull'aborto, in vigore dal 1993.

Anche quest'anno un migliaio di persone sono scese in piazza a Varsavia, come in altre città polacche, per lo sciopero mondiale indetto per l'8 marzo. La piattaforma polacca rivendicava il diritto all'Ivg, un reddito pari a quello corrisposto agli uomini, una maggiore tutela contro la violenza sulle donne, educazione sessuale nelle scuole e si scagliava contro il nazionalismo e il fondamentalismo religioso che permea le istituzioni e la Chiesa cattolica. Le realtà più moderate facenti capo ai partiti del centro sinistra hanno parassitato, nell'ultimo anno, le mobilitazioni sotto il cartello «czarny protest» (black protest), ammorbidendo di fatto le rivendicazioni della protesta. Molte realtà di base accusano i vertici dell'organizzazione di voler rinunciare a un avanzamento della lotta femminista e di voler mantenere lo status quo (vale a dire per esempio la legge sull'Ivg del 1993). La distanza tra gli organizzatori della black protest e i problemi reali della gente ha di fatto smorzato la partecipazione e quella che era stata una vera e propria marea nel 2016. L'assunzione della guida di quello che è diventato il brand #blackprotest da parte dei vertici del centro sinistra più choosy, ha determinato una partecipazione inferiore, ma altrove il fermento sociale e le lotte non si fermano.

Come è noto, in Polonia l'aborto è garantito esclusivamente in caso di stupro, se la gravidanza costituisce un pericolo per la vita della donna e per gravi malformazioni del feto. Nel 2016, il governo era pronto ad inasprire le restrizioni già esistenti. Dopo le mobilitazioni, e la presenza di centinaia di migliaia di donne che nelle strade, nei luoghi di lavoro, nelle scuole decisero di vestirsi di nero per dimostrare la propria contrarietà alle mosse istituzionali, sembrava che il partito al potere, Diritto e giustizia, avesse deciso di rivedere le proprie intenzioni. Ciò non è accaduto, anzi, il governo ha rilanciato un'offensiva contro la legge sull'aborto, in particolare contro la possibilità di accedere all'interruzione di gravidanza per malformazioni fetali. Il leader del PiS (Diritto e giustizia), Jarosław Kaczyński, ha dichiarato che il Governo si impegnerà in tutti i modi per far sì che le gravidanze vengano portate a termine, anche nel caso in cui ci sia la certezza dell'impossibilità della sopravvivenza del feto, in modo da garantire battesimo, nome e sepoltura. Forti dell'appoggio della Chiesa cattolica e di un parlamento in cui l'ala sinistra è sostanzialmente inesistente, il Governo mostra tutta l'arroganza machista, fondamentalista e razzista che lo contraddistingue.

Ma le organizzazioni autonome, che dal basso lottano per l'accesso ai diritti fondamentali, non demordono. In un Paese in cui gli aborti clandestini sfiorano i 200.000 all'anno e il 90% degli aborti avviene clandestinamente, la rete di resistenza creata in questi anni è forte e determinata. Katarzyna Rakowska fa parte del sindacato di base Ozz Inicjatywa Pracownicza, uno dei più attivi nelle lotte con i lavoratori dei magazzini Amazon a Poznan, e porta avanti insieme a molte e molti altri un minuzioso lavoro di rete per intercettare e aiutare le donne che vogliono interrompere la propria gravidanza. Uno degli obiettivi principali delle organizzazioni di base è quello di cambiare la narrazione, in un paese in cui il 90% della popolazione si dichiara cattolica e in cui la Chiesa e i movimenti conservatori o neonazisti godono di un consenso abbastanza largo. L'Ivg è un diritto inalienabile, fa parte della vita delle donne e non deve essere criminalizzato o colpevolizzato. Alla propaganda conservatrice, nazionalista ma anche a quella neoliberista vogliono contrapporre un'etica del comune, di organizzazione dal basso, femminista, antirazzista. Un'etica dove la rete, la collaborazione tra esseri umani diviene costituente, resistenza sì ma non in un'ottica marginalista bensì organizzazione rivoluzionaria.

Ozz e molti altri si sono dotati di sportelli pronti ad accogliere le richieste di chi vuole interrompere la gravidanza, ma non solo. Infatti, anche accedere alla pillola del giorno dopo non è cosa facile. È necessario avere una prescrizione medica, che in molti casi non viene rilasciata, e poi pagare una cifra intorno ai 30 euro. Il che ovviamente non garantisce affatto l'accessibilità al farmaco. Katarzyna racconta come in contrapposizione alle associazioni di medici che dichiarano apertamente la propria contrarietà all'aborto si siano costruite reti di medici solidali, che invece hanno pubblicamente dichiarato la propria determinazione a garantire alle donne tutte le cure necessarie. L'esistenza di reti più o meno clandestine permette di intercettare moltissime donne che non possono permettersi le costose trasferte all'estero per avere un aborto in clinica, o gli ancora più costosi interventi di coloro che interrompono la gravidanza illegalmente in Polonia. Ecco allora che, grazie al supporto di realtà come Women on Waves e molte altre, si condividono le informazioni necessarie per avere interventi sicuri e si procurano i farmaci adeguati. Spesso questa rete di attiviste/i è in contatto con realtà solidali all'estero che gli procurano la pillola del giorno dopo, il Cytotec o altri farmaci. Ma la stretta del governo è continua, e le Poste centrali stanno cominciando a controllare i pacchi provenienti da alcuni Paesi in modo da bloccare i rifornimenti medici necessari per l'Ivg. Katarzyna fa un quadro allarmante anche della situazione ospedaliera. Infatti, per poter interrompere la gravidanza nei casi previsti dalla legge, la diretta interessata viene sottoposta al parere di più medici che devono dare un'approvazione condivisa per poter procedere con l'intervento. Tutto ciò rende il processo ancora più difficile. E con la proposta di legge appoggiata dai conservatori si prospettano tempi bui. Tra le altre cose, il PiS vuole inasprire le pene per le donne che intendono abortire e per i medici che le supportano.

Se già ora la maggioranza delle Ivg per malformazioni fetali e per una gravidanza dopo uno stupro avvengono in clandestinità, i numeri lieviteranno in maniera impressionante con l'approvazione della legge, con i rischi connessi per coloro che rimangono fuori dai circuiti solidali o che non possono accedere a interventi clandestini ma sicuri.

Il movimento femminista in Polonia ha un ruolo fondamentale, è una delle maggiori chance per le realtà di base polacche di riuscire a sovvertire l'ordine esistente, drammaticamente schiacciato verso politiche razziste e discriminatorie. Realtà come i movimenti per il diritto alla casa di Varsavia, dove il protagonismo femminile è indiscusso, come i sindacati di base in cui la presenza femminile è in costante aumento, come i movimenti ecologisti e ovviamente quelli femministi sono l'argine vero alla deriva preoccupante di questo paese.

Ma la resilienza polacca ha potenzialità infinite. Ce lo insegnano le numerose organizzazioni sindacali e socialiste che hanno animato l'insurrezione di Varsavia al dominio nazista. E anche se i tentativi di riscrittura della storia diventano legge, come quella intorno che vorrebbe vietare l'esplicito riferimento alla Polonia quando si parla di campi di concentramento, c'è un fervore degno, vivo, indistruttibile che resiste, alla gelida mancanza di riscaldamento nelle case occupate o alle derive nazionaliste. Con una forza incredibile.