Gli accordi di Ginevra segnano un importante passo, dunque, nella ridefinizione dei ruoli, della sfera di influenza, dei rapporti, delle alleanze nell’intero Medio Oriente

Accordo USA - Iran: dietro il fumo della proliferazione nucleare

Verso nuovi equilibri nel Medio Oriente

di Bz
26 / 11 / 2013

L’accordo raggiunto a Ginevra tra gli USA (il gruppo dei 5+1) e Iran segnala in modo inequivocabile il cambiamento in atto nella geopolitica internazionale, nella definizione di un multipolarismo imperialista ancora in fase di assestamento, dopo il fallimento del tentativo, durato un ventennio, di imposizione imperiale del dominio USA attraverso l’uso dispiegato dello strumento guerra, ad alta o bassa intensità a seconda della bisogna sul campo.

Erano trent’anni che tra gli USA e Iran era in corso una sotterranea guerra non dichiarata, combattuta anche per interposta persona (Stato/i) come nel caso del conflitto pluriennale tra Iraq e Iran a cavallo degli anni ’80; come nello stillicidio di scienziati, tecnici, diplomatici eliminati nella guerra di intelligence tra Israele, Russia, Iran; come nella guerra civile, oggi, in Siria. Un importante passo, dunque, nella ridefinizione dei ruoli, della sfera di influenza, dei rapporti, delle alleanze nell’intero Medio Oriente, che, come tutti sappiamo, è stato – le guerre combattute e quelle in corso sono lì a ricordarcelo – e, in parte, ancora lo è, il centro  di perturbazione degli equilibri inter imperialistici, per il suo petrolio, per la sua strategica posizione geografica tra i continenti, per le varie anime dell’islam, per Israele.

Appunto Israele, attraverso Netanyahu, ha gridato al tradimento, sentendosi deprivato di una forte e grande scialuppa di salvataggio americana nel mare squassato di territori e stati islamici, nemici dichiarati o occulti, tanto che ha dovuto, nel tempo, costruire una sotterranea alleanza israelo-saudita che ha avuto divulgazione pubblica, quando, pochi mesi fa,  l’ambasciatore israeliano uscente Michael Oren ha detto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che “nei 64 anni passati non c’è mai stata una maggiore convergenza di interessi tra noi e vari stati del Golfo, con questi siamo accordo sulla Siria, sull’Egitto, sul problema palestinese. Certamente anche sull’Iran.”

Un nuovo posizionamento, dunque, per Israele, che va a registrare quello che stava maturando sul piano mediorientale; cambiamento che, ovviamente, riguarda anche la posizione dell’Arabia Saudita, e degli Emirati, che si è potuta determinare anche dalla ritrovata autosufficienza energetica degli USA, sbandierata da Obama, grazie alle enormi potenzialità estrattive derivanti dai gas  e bitumi di scisti (fracking) in tutto il Nord America .

Un cambiamento va registrato anche per quanto riguarda la posizione della Turchia, fino a d ieri alleata di ferro dell’Occidente e membro della NATO, con il compito di fare da guardiano sullo snodo del Bosforo, quale bastione di contenimento delle mire iraniane e russe: oggi, nel cambio di prospettiva generale, anche per Erdogan si pone il problema di una nuova collocazione, che, dalle ultime interviste rilasciate, sembra guardare nuovamente all’Europa, lasciando nel cassetto il suo sogno di una Turchia quale cardine politico ed economico dell’intero Medio Oriente.

Così pure gli sviluppi della guerra civile siriana, coi suoi milioni di profughi interni ed esterni, le sue centinaia di migliaia di morti civili, saranno segnati dalla svolta nei rapporti USA Iran con la permanenza dello status quo ante, con o senza la figura ingombrante di Assad, con o senza l’unitarietà del territorio e dello Stato siriano.

Obama ha impresso un’accelerazione al cambiamento prospettico in atto della politica estera  americana, ha valutato che una distensione con l’Iran può preludere a una diminuzione dell’impegno USA in Medio Oriente e a un’iniziativa congiunta fra Teheran e Washington per attenuare i conflitti tuttora aperti nella regione, in particolare quello in Siria. Potrebbe avere riflessi positivi anche sulle tensioni in Iraq fra sciiti e sunniti (provocate dall’intransigenza del regime di al-Maliki) e su quelle in Libano fra gli Hezbollah e gli altri gruppi confessionali. Con la conclusione dell’accordo, Obama sa di suscitare l’opposizione dei suoi alleati del Golfo e di Israele, che si sentono traditi. È anche consapevole di rinunciare alla giustificazione della presenza militare USA nel Golfo conseguente alla proliferazione nucleare iraniana, ma questo è il percorso obbligato per gli USA a forte del riemergere della Russia imperiale e della proteiforme penetrazione internazionale della Cina.