All’armi! All’armi! - Export di armi italiane, tra affari e segreti

Il supermarket delle armi chiamato Italia; la politica estera a traino delle super aziende e i nebulosi rapporti con l'Egitto.

2 / 1 / 2021

Negli ultimi giorni, sulla stampa mainstream, si sta assistendo ad un grosso dibattito rispetto alla vendita delle armi a paesi più o meno amici. Una questione che ha visto schierarsi, in maniera alquanto strana e inaspettata, diversi politici italiani. Non è un segreto quello che l'Italia da molti anni sia presenza fissa nella top-ten dei paesi esportatori di armi ma, non solo, è anche il capofila per le esportazioni verso paesi non propriamente democratici, dove i diritti civili e politici sono molto spesso erosi dai conflitti ivi presenti.

Se il Belpaese è rinomato per l’export del lusso, dalla moda alle auto, per non parlare di tutto quell’ambito legato al cibo e alla gastronomia, è altrettanto vero che l’Italia è molto famosa presso i ministeri di interno e difesa, nonché delle forze armate di mezzo mondo, per la qualità dei sistemi d’arma, per le armi personali e per, in generale, tutto quello che concerne la difesa. Negli Expo mondiali del settore degli armamenti, sempre più partecipati e sempre più occasioni di vetrina economica e politica, gli imprenditori italiani sono tra i primi della lista e spesso sono scortati da militari di altissimo grado, se non direttamente accompagnati da sottosegretari e politici.

Sono ormai decenni che gli accordi di cooperazione politica vengono firmati solo dopo che le grandi aziende hanno aperto la strada, con commesse milionarie, ad un più ampio spettro di "larghe intese".

Questo tipo di operazione avviene ormai da 30 anni, cioè da quando l'Italia, in seguito a scelte sbagliate ma anche a sconvolgimenti geopolitici, ha perso il suo ruolo di potenza in Nord Africa e nel Mediterraneo orientale.

Ne sono chiaro esempio di questa politica gli affari di Eni nel Golfo di Guinea, in Nigeria e più recentemente nel Mediterraneo orientale; sullo stesso piano possiamo annoverare anche delle vere e proprie “cooperative di mutuo soccorso” tra grandi aziende che si uniscono in grandi opere per darsi una mano, come vecchi amici di un tempo. L’esempio forse più lampante di questa ultima tendenza è la costruzione di gasdotti dall'Asia centrale verso l'Europa e l'Italia.

Dopo questa digressione sulle dinamiche che accompagnano la politica estera del nostro paese, è doveroso tornare sulla questione delle armi e del suo export. In Italia, la materia è molto ben disciplinata dalla legge ma, allo stesso tempo, è ben scavalcata.

Con la Legge 185 del 1990, si vieta l’esportazione e il transito di materiali di armamento verso paesi in conflitto, a meno che non siano stati aggrediti o la cui politica è in contrasto con l’art.11 della Costituzione o infine i cui governi sono responsabili di grandi e gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani.

Ma esiste anche un secondo tipo di legislazione sulle armi, quello delle Nazioni Unite (ONU), che vincola l’Italia sulla questione del commercio di armi, ma che l’Italia, insieme a moltissimi altri paesi nel mondo, viola apertamente. Sostanzialmente il governo italiano non presenta dal 2009 il rapporto sulle autorizzazioni e sul numero effettivo di import/export di armi e armamenti e quindi non vi un dato preciso sulla questione. Questi dati però sono reperibili da una relazione annuale che viene presentata in Parlamento che riguarda il controllo dell’import, dell’export e del transito di materiali di armamento nel nostro paese. A fine 2020 è possibile farsi un’idea del volume di affari delle aziende italiane basandosi sulle relazioni del 2018 e del 2019.

Da questi rapporti, consultabili in rete, è possibile estrapolare alcuni dati veramente incredibili.

Se nel 2018 il volume totale degli affari è stato di circa 4,5 miliardi di Euro, nel 2019 è aumentato ad oltre 5 miliardi, con un dato impressionante come quello del volume totale dell’import/export di armi nel quadriennio 2015/2018 con la cifra totale di 36,8 miliardi di euro.

Da queste cifre appare chiaro che il volume del commercio nel settore della difesa sia ad un livello incredibile.

Nei rapporti, però, si scovano anche i destinatari di queste commesse miliardarie e molti sono i paesi a cui - in base alle Legge 185/90 e ai suoi principi - non sarebbe legale vendere armi.

Parliamo di Qatar, primo nel 2018 con quasi 2 miliardi di export legato a sistemi d'arma e di difesa; poi con 690 milioni c'è il Pakistan, non proprio l'esempio della limpida e libera democrazia; con 380 milioni nel 2018 c'è la Turchia, destinataria di elicotteri d'assalto e mezzi corazzati usati nelle aggressioni alla Federazione delle Siria del Nord-Est e ben raccontate da Lorenzo Orsetti e ampiamente denunciate da attivisti e attiviste in Italia.

Dai rapporti si estrapola quindi che oltre il 70% del totale delle armi vengono vendute a paesi che sono in un conflitto armato o che violano i diritti umani, non rispettando quindi le clausole imposte dalla legge. E questo è solo l’inizio.

Capofila tra queste aziende dai fatturati stellari vi è Leonardo S.p.a., che solo nel 2018 ha incassato 3,2 miliardi dalla vendita dei suoi “prodotti” e copre il 70% dell’export italiano. Va ricordato che lo Stato Italiano partecipa al capitale di Leonardo con il 30%. È facile capire come chi dovrebbe controllare su questo ambito è anche il controllato e, come avviene in questi casi, si chiude un occhio per non avere troppi problemi interni.

Il rapporto riguardante il 2019, a differenza di quello dell'anno prima, ci porta anche a parlare dei giorni nostri. Infatti, scorrendo le cifre riguardanti le vendite e le licenze concesse si nota un primo, strabiliante, dato: da paese con qualche decina di milioni di euro di interscambio, l'Egitto diventa il primo partner commerciale nell'ambito degli armamenti dell'Italia con quasi 900 milioni di entrate, dovute soprattutto alla vendita da parte di Leonardo di 32 elicotteri d'assalto e da trasporto truppe di ultima generazione. Nello stesso anno altri 500 milioni sono entrati nelle casse da diversi accordi stretti con un altro paese “pilastro della democrazia” in Asia centrale, ovvero il Turkmenistan, che si è portato a casa elicotteri d'assalto, armi leggere d'assalto che andranno ad armare la polizia e cannoni navali. Non sfugge neanche a chi non mastica di diritti e politica internazionale che i regimi di Egitto e Turkmenistan non sono tra i campioni della difesa dei diritti umani e politici dei propri cittadini.

Anche grazie all’eco delle notizie di questi giorni è forse il caso di soffermarsi maggiormente sul commercio di armamenti con l’Egitto perché è certo che l’interscambio non si ferma a quei 870 milioni, ma è corroborato da un altro accordo, passato totalmente in sordina, di 1,2 miliardi per l’acquisto di 2 fregate FREMM (fregate missilistiche multi-ruolo e multi-missione) costruite da Fincantieri e prodotte da Nuovi Orizzonti Navali, ovvero un consorzio tra Fincantieri e Leonardo. La prima delle due fregate è stata consegnata all’Egitto nel giorno di Natale ed è previsto il suo arrivo proprio in queste ore.

Ma l’Egitto non sembra volersi fermare nello shopping: è infatti nell’aria un nuovo miliardario accordo per 4 nuove fregate, 20 pattugliatore, caccia Eurofighter e aerei da addestramento, per un totale di 9 miliardi di euro.

È solo economico l’interesse di tale vendite verso l’Egitto?

Assolutamente no, è politico! Come detto in precedenza, la politica estera italiana avviene a traino delle grosse aziende e, guarda caso, la debolezza del governo italiano nel Mediterraneo orientale può essere sopperita dall’entrata in scena dell’eccellenza di casa nostra: Eni e Leonardo. Ma questi fatti e questo modo di agire non posso nascondere una verità inconfutabile che emerge sempre con più forza in questi giorni e che alcuni giornali indipendenti de Il Cairo cominciano a far circolare, ovvero che gli accordi sugli armamenti siano nient’altro che un modo per placare la volontà dell’Italia di fare luce e chiarezza, ma soprattutto giustizia, sull’omicidio di Giulio Regeni, barattando la verità con un accordo di altissimo livello. Non sfugge a chi sa ricercare i dati che il volume di affari tra Roma e Il Cairo è letteralmente esploso, anno dopo anno, dopo l’assassinio di Regeni da parte dei Servizi egiziani. Che vi sia davvero un tentativo studiato a tavolino da Al-Sisi di comprare l’esito dell’indagine, assicurandosi il benestare di ampi settori delle forze armate e della difesa?

Questo non lo possiamo sapere, ma ad un occhio attento non possono sfuggire altre congetture che indicano la fondatezza e la strategici del saldo rapporto politico-economico che viaggia sull’asse Roma-Il Cairo. 

Esiste un secondo dossier nei rapporti fra le due sponde del Mediterraneo ed è quello della Libia. Esso non è meno importante della “questione Regeni”, ma fa leggere da un altro punto di vista la relazione Italia-Egitto. Dalla caduta del regime di Gheddafi in Libia, l’Italia si è trovata tagliata fuori come nodo geopolitico e geo-energetico di fondamentale importanza, tant’è che la risoluzione dei problemi in Libia è un capitolo fondamentale dell’agenda estera italiana. Il paventato nuovo protagonismo italiano in Nord Africa non può avvenire senza la presenza di forti, e determinati, alleati regionali. L’Egitto di Al-Sisi rientra nella descrizione perfetta di tale alleato soprattutto perché l’estesa ed incontrollata frontiera tra Egitto e Libia, famosa in Italia per i racconti di chi vi fu mandato a “morire per la patria”, è uno snodo fondamentale per il contrabbando di persone, ma soprattutto di armi che un embargo internazionale invece sancisce.

L’Egitto quindi può servire sia come hub del contrabbando, ma soprattutto come mediatore degli interessi italiani nell'area, con l'obiettivo congiunto di riprendere a fare affari. Per alcuni osservatori invece il legame tra la vendita di armi all’Egitto e la questione libica è palese nel senso che l'intesa tra Roma e Il Cairo deriverebbe dalla necessità di proteggere i nuovi giacimenti di gas scoperti da Eni e per un rafforzamento militare che possa far impensierire la Turchia, dominatrice della politica in Libia e nel Mediterraneo orientale.

Alcune rimangono supposizioni, altre probabilmente sono antipasto di verità ma resta il fatto che ne esce totalmente ridimensionata la posizione dell’Italia. La credibilità del governo, nel dossier Egitto, è poca e in totale discesa perché da una parte chiede giustizia per la morte di un ricercatore, Giulio Regeni, ucciso dai Servizi de Il Cairo e, supportata anche da un esposto dei genitori in Procura proprio per chiedere lo stop alla vendita di armi, e chiede la liberazione di Patrick Zaki, detenuto ingiustamente nelle sue carceri; mentre dall’altra firma e chiude accordi miliardari con un paese che fa della violazione dei diritti umani una sua bandiera.

** Tutti i dati sono reperibili online mediante una semplice ricerca, citiamo tra questi Rete Disarmo.