Ambiente, autonomia, libertà, le sfide aperte dei movimenti in Turchia

Articolo conclusivo della carovana in Turchia. Globalproject seguirà la piazza di Istanbul l' #1M

29 / 4 / 2014

La Carovana sulle rotte dell'Euromediterraneo in Turchia si è conclusa, ma l'esperienza continuerà ad arricchirci nel nostro lavoro politico in Italia, perché tante sono le riflessioni che queste giornate di incontro e scambio hanno scatenato, insieme alle domande e al desiderio di  osservare i fenomeni della contemporaneità senza mediazioni. Alcune osservazioni sono sicuramente da fissare nei nostri appunti per poi vedere nel tempo come potranno svilupparsi.

Partiamo da dove abbiamo terminato formalmente la Carovana, ossia dal Kurdistan, regione attraversata fin dalla nascita della Repubblica turca da un conflitto tra la popolazione kurda e i governi succedutesi dalla sua fondazione nel 1923. Qui viene oggi osservata una tregua di non-belligeranza avviata in accordo con il Governo per favorire il “processo di pace”, di fatto cominciato attorno al maggio 2013 ( vedi dossier a cura di Uikionlus  http://www.uikionlus.com/wp-content/uploads/Special/Processodipaceturcocurdo.pdf).

Da quanto ci appare però, si tratta di un impegno di fatto unilaterale, dal momento che il Governo prosegue a tappe serrate un processo di frammentazione e disgregazione territoriale e culturale del Kurdistan, al fine evidente di indebolirne la coesione e la forza. Lo vediamo nella costruzione delle  grandi dighe, che in tutte le aree turche ai confini tra Siria, Iran e Iraq intervengono con la deviazione dei fiumi di cui è ricca la regione dell'antica Mesopotomia, inondando e sommergendo intere città e vallate abitate dai kurdi oppure strategiche per la comunicazione tra kurdistan turco, siriano, iracheno e iraniano.

Se questo condiziona gravemente  l'organizzazione della resistenza kurda, è altrettanto vero che il risultato più drammatico è la dispersione dei kurdi, costretti ad abbandonare le proprie case, terre ed attività e sfollare verso zone dove ricominciare da zero con condizioni socio-economiche più fragili.

Lo stesso avviene con la costruzione e militarizzazione del confine tra le regioni del Kurdistan e la Siria, fino a poco fa comunicanti ed ora  trasformate in frontiera invalicabile che separa le città kurde a cavallo dei due Stati, spezzando ogni relazione, come abbiamo visto a Nusaiyibin.

E' evidente che l'omogeneità politica, culturale e geografica dei kurdi continua a terrorizzare Erdogan e l'AKP che, in barba ad ogni tregua, aumenta anche l'occupazione di questi territori a scopo militare.

Ai nostri occhi a volte impreparati sembra però di cogliere un elemento di novità, ossia la rottura dell'isolamento della questione kurda in Turchia, grazie alla grande consapevolezza che la repressione spietata sui manifestanti di Gezi ha contribuito a creare.

Se è vero che i kurdi subiscono tuttora una forte stigmatizzazione sociale nelle metropoli dell'ovest, è sicuramente vero che molti più cittadini turchi possiedono dopo Gezi maggiori elementi per ribaltare la rappresentazione dei kurdi fornita dal Governo, avendo subito sulla propria pelle la violenza repressiva e la propaganda del potere.

Certo è che il boom edilizio che investe tutta la Turchia, con la corsa all'inurbamento, alla cementificazione sfrenata (gentrificazione violenta e costruzione di nuove città), alla costruzione di grandi opere (ponti, dighe, porti), l'esproprio e lo sfruttamento del territorio, è un fenomeno di cui sono consapevoli tutte le organizzazioni politiche e civili, nell'entroterra e nella costa, ad est e ovest, a nord e sud.

Allo stesso modo, la resistenza a questa aggressione ambientale accomuna la lotta dei kurdi come quella dei “nuovi” movimenti giovanili urbani e ci sembra possa rappresentare l'elemento di continuità dei percorsi e delle rivendicazioni che attraversano le numerose esperienze di movimento, da quelle più radicali fino ai comitati cittadini per la democrazia partecipata, tutte mosse dalla consapevolezza che il modello da contrastare è quello neo-liberale/neo-capitalista, che produce nuove divisioni sociali e povertà favorendo gruppi di interesse elitari e ampiamente dominanti nella Turchia contemporanea.

A quasi un anno dalle mobilitazioni di massa partite da Gezi Park, ci sembra evidente la forza impressa da quella esperienza ai movimenti. Nonostante la vittoria alle ultime elezioni amministrative dell'AKP, ci sembra di cogliere senza fatica il segnale che i movimenti di opposizione  - variegati e differenti per storia e composizione – sono determinati a resistere contro la furia dispotica del primo ministro e contro le sue politiche illiberali e repressive, che arrivano a colpire i comportamenti individuali fino a censurare i social media.

E' in corso una battaglia di mille battaglie, un movimento di mille movimenti, che dopo Gezi hanno non solo guadagnato coraggio ed entusiasmo, ma hanno assunto la necessità di coordinarsi e strutturarsi. Lo dimostra la convinzione con cui ogni realtà si da appuntamento per il primo maggio nelle piazze proibite delle metropoli turche, sfidando i divieti e soprattutto la repressione annunciata.

Non sullo sfondo resta la posizione della Turchia come paese attraversato dai movimenti migratori. Un vero e proprio stato cuscinetto con una normativa ancora arretrata in materia di asilo, ma ciononostante a tutti gli effetti già “socio” dell'Unione Europea.

Qui arrivano i rifugiati della guerra in Siria: sono almeno un milione i siriani che soggiornano nel paese dal 2011, di cui una buona parte nei campi di confinamento gestiti dal solo Governo turco. Ma da  qui transitano anche centinaia di migliaia di migranti e rifugiati che attraversano la Turchia in direzione della Grecia e della Bulgaria. Tra centri di detenzione, accordi bilaterali per la deportazione dei migranti irregolari, accoglienza impossibile, militarizzazione dei confini e collaborazione con la polizia greca, la Turchia si è dimostrata partner affidabile nella gestione della frontiera europea per conto dell'UE.

Anche per questo la nostra Carovana è stata ricca di spunti e di relazioni da sviluppare e approfondire, con quello spirito che ci fa rifiutare tanto l'idea di un limite geografico al nostro agire, quanto quella che le spinte di cambiamento prodotte altrove siano estranee alla nostra condizione.