Ambiente, diritti e petrolio: il caso del parco Yasuni in Ecuador

di Maya Santamaria, Limes del 2 dicembre 2014

10 / 12 / 2014

Pubblichiamo questo interessante articolo che ci da un quadro completo sui progetti di estrazione petrolifera nel territorio della Riserva Mondiale della Biosfera dello Yasunì in Ecuador, la zona con il più alto grado di biodiversità del pianeta. 

Questa vicenda si è conosciuta in tutto il mondo quando il presidente Rafael Correa ha dato il via libera alle trivellazioni nel Parco. Nel 2007 era stato lo stesso governo di sinistra a promuovere, davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la Yasuni-Itt Initiative: la rinuncia all'estrazione del petrolio a patto che la comunità internazionale versasse all’Ecuador il 50 per cento del valore delle riserve (3,6 miliardi di dollari in 13 anni). Ora Correa dichiara il fallimento di questo accordo internazionale, ma dietro scelta ci sono, ancora una volta, forti interessi economici con il governo cinese.

La costituzione approvata in Ecuador nel 2008 è sulla carta in grado di riformare profondamente le strutture economiche, sociali e politiche del paese.

I piani di sviluppo portati avanti dal presidente Rafael Correa negli ultimi anni si pongono tuttavia in netta contrapposizione con i “rivoluzionari” dettami costituzionali.

Due sono i nodi che danno vita ai maggiori conflitti sociali: da una parte i mega-progetti infrastrutturali (si pensi al corridoio multimodale di Manta-Manaos), dall’altra l’incremento degli investimenti diretti esteri.

Nel 2013 il governo ecuadoriano ha ricevuto investimenti per circa 703 milioni di dollari (un incremento del 20% rispetto al 2012), un terzo dei quali è stato dedicato a programmi estrattivi: esempio di tale politica è il progetto “Refinería del Pacífico”, che prevede la costruzione di una raffineria di petrolio e delle relative opere complementari nella provincia di Manabi, a opera di PetroEcuador, con il supporto finanziario della Banca industriale e commerciale cinese. 

Le principali critiche rivolte ai programmi perseguiti dall’amministrazione Correa provengono dalle organizzazioni indigene, particolarmente attive sul territorio ecuadoriano. Nonostante il carattere interculturale e plurinazionale dello Stato e i "diritti collettivi" dei popoli originari - soprattutto riguardanti la proprietà dei territori ancestrali - siano riconosciuti dalla Costituzione, essi rischiano di rimanere sulla carta.

A dispetto della storica vittoria [poi economicamente ridimensionata, ndr] ottenuta ai danni della compagnia petrolifera Chevron-Texaco - colpevole degli enormi danni ambientali che hanno irreversibilmente contaminato il territorio amazzonico - ad aprile Quito ha messo all'asta circa 3 milioni di ettari di foresta. Tale decisione, formalizzata nel corso della XI Ronda Petrolera, risponde alla necessità di modificare la politica economica: a detta del presidente Correa, lo Stato rischia di collassare entro il 2020 in assenza di nuove scoperte di petrolio e di un loro sfruttamento più efficace.

Il governo sta ancora valutando le proposte: visto che il termine ultimo per le offerte continua a essere prorogato, sembra che esse siano meno soddisfacenti di quanto prospettato. Quelle migliori pare provengano da Pechino, fattore che non stupisce visto il debito che negli anni l’Ecuador ha accumulato nei confronti della Cina. Tuttavia, il programma d’asta stabilito nell’ambito della XI Ronda Petrolera pone a repentaglio la sopravvivenza di un territorio che rappresenta una ricchezza inestimabile per tutto il globo e la sussistenza di diverse tribù autoctone.

Le organizzazione indigene Conaie e Confeniae stanno moltiplicando le mobilitazioni e gli appelli alla comunità internazionale, sottolineando che le consultazioni governative non hanno rispettato le norme decisionali locali e non hanno seguito una procedura corretta nelle lingue native degli autoctoni. Finora le ferme risposte di Correa hanno evidenziato la sua volontà di continuare lungo la strada intrapresa. 

Una delle questioni più controverse riguarda lo Yasuni national park. Situata nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, la riserva Yasuni ospita diversi popoli indigeni, tra cui le etnie huaorani, tagaeri e taromenane. La superficie della zona è divisa in blocchi cui corrispondono concessioni di sfruttamento petrolifero.

In particolare nel blocco Itt (Ishpingo-Tambococha-Tiputini), gli ingenti ritrovamenti di giacimenti petroliferi (si stima un totale di circa 900 milioni di barili) hanno portato da oltre un decennio all'elaborazione di massicci progetti di sfruttamento, soprattutto a opera di PetroEcuador prima e di Petrobras poi.

Nel corso del 2007, in linea con quelli che sarebbero diventati i precetti del nuovo testo costituzionale, il neoeletto Correa si impegnò nella protezione del blocco Yasuni-Itt [cosiddetta Yasuni-Itt initiative]. Promise di conservare intatta una delle aree più ricche di biodiversità del pianeta e preservare l’isolamento volontario dei popoli originari all’interno del parco, contrastando il fenomeno del surriscaldamento globale, se i mancati ricavi delle risorse del sottosuolo ecuadoriano fossero stati compensati da un fondo creato appositamente e gestito dalla Multi-Donor Trust Funds dell’Undp. Esso, grazie alle donazioni internazionali, avrebbe permesso al paese di coprire parte degli introiti che l’estrazione petrolifera avrebbe garantito.

La credibilità del progetto iniziò a vacillare già verso la fine del 2010 quando trapelarono alcuni atti che portarono alla luce il cosiddetto “piano B” di Correa, elaborato di concerto con Pechino. La proposta cinese, risalente all’aprile 2009, garantiva a PetroChina ingenti concessioni petrolifere all’interno del blocco Itt in cambio di un prestito iniziale di circa 1 miliardo di dollari: il tutto avveniva all’ombra degli appelli che Quito moltiplicava per sensibilizzare la comunità internazionale e ottenere i finanziamenti per il fondo.

Nel luglio 2013, Correa istituì una commissione governativa per valutare il successo dell’iniziativa: come previsto, si stabilì che i finanziamenti ottenuti erano insufficienti, in quanto atti a coprire meno dell’1% dei 3,6 miliardi di dollari prestabiliti. Esprimendo il proprio rammarico e ribadendo la corresponsabilità della comunità internazionale di fronte ai danni ambientali e ai cambiamenti climatici, nell'agosto 2013 il presidente liquidò ufficialmente il fondo Yasuni Itt. A ottobre dello stesso anno una mozione del Congresso approvata con 108 voti a favore e 25 contrari ha autorizzato l'estrazione di petrolio da un'area pari allo 0.1% della superficie totale del parco. 

A poco sono servite le proteste e le mobilitazioni delle organizzazioni umanitarie e indigene ecuadoriane: a maggio il Consiglio nazionale ha respinto una petizione volta ad avviare le pratiche per un referendum sulla questione. Le autorità locali hanno infatti convalidato meno di 360 mila firme rispetto alle 850 mila raccolte, il che ha sancito l’impossibilità di accedere all’istituto referendario a causa del mancato raggiungimento del numero di sottoscrizioni richiesto per legge.

La compagnia Petroamazonas si è aggiudicata la concessione relativa ai campi di Tiputini e Tambococha. Si prevede che l’estrazione inizi nel 2016.

Un documento redatto da alcuni ricercatori italiani dell’Università di Padova nel giugno 2014 (scarica .pdf) ha portato alla luce nuove rivelazioni sulla questione attraverso l’analisi dettagliata di immagini satellitari ad alta risoluzione. Sembra che, prima ancora di garantirsi l’appalto, Petroamazonas avesse iniziato a costruire una strada “segreta” di accesso alle piattaforme, in violazione dei termini delle licenze di impatto ambientale rilasciate dal ministero dell’Ambiente. 

La strada si estende per più di 25 km all’interno del parco (quasi due e volte e mezzo in più del massimo stabilito): un concetto molto lontano da quello che la multinazionale, in propria difesa, ha definito “sentiero ecologico”. Inoltre, sono stati costruiti più di 30 ponti di cui alcuni in acciaio, ancora una volta violando le direttive degli studi sull’impatto ambientale. Stando così le cose, l’area dello Yasuni sarebbe sottoposta a una deforestazione del 35% maggiore rispetto a quanto stabilito e dichiarato ufficialmente.

Il caso dello Yasuni national park - una delle aree con il più alto indice di diversità biologica al mondo - si presenta come un paradigmatico e al tempo stesso doloroso esempio delle contraddizioni che, nonostante gli innovativi dettami costituzionali, stanno investendo l’Ecuador, così come molti altri paesi latinoamericani (Bolivia in primis).

Il buen vivir a volte cede il passo a logiche economiche e geopolitiche estranee a temi come la tutela dell’ecosistema e la sopravvivenza dei popoli indigeni.

Per approfondire: Lo scambio petrolio-Co2 e la figura di Correa

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