Anarchy in the UK? Il futuro c’è, ma è una incognita

7 / 12 / 2018

Mentre tutti gli occhi sono puntati sulla Francia dei gilets jaunes, nel Regno Unito si sta in questo momento giocando una partita politica cruciale su due principali livelli: le istituzioni e le strade. La situazione è altamente volatile e, se non tutto è possibile, gli sbocchi immaginabili sono tanti; vanno da una no deal Brexit a un annullamento della stessa, da un’ascesa dell’estrema destra a una vittoria del Labour di Jeremy Corbyn, dalla individualizzazione della rabbia alla massificazione del conflitto.

Al livello istituzionale, la data cruciale è quella di martedì 11 dicembre, in cui il parlamento dovrà votare sul Brexit deal negoziato dal governo di Theresa May con l’Unione Europea. Non è mia ambizione sviscerare qui le complessità tecniche dell’accordo (né sarei in grado di farlo), ma la proposta è stata accolta da un fitto fuoco di fila da destra e sinistra, da leavers e remainers. Secondo i critici, si tratterebbe di una “soft Brexit” con un indeterminato periodo di transizione che lascerebbe alla UE un comodo potere di influenzare le politiche del Regno Unito, senza che quest’ultimo possa più avere voce in capitolo nelle istituzioni europee. Tutte le opposizioni hanno dichiarato che non approveranno l’accordo in parlamento. Ma, ancora più importante, il DUP – alleato dall’Irlanda del Nord dei Tories nella coalizione di governo – non voterà l’accordo a causa delle sue implicazioni sulle frontiere Ulster, e molti deputati conservatori hanno dichiarato che si opporranno alla proposta del proprio stesso governo. Tra questi, la corrente Tory legata allo European Research Group e guidata da Jacob Rees-Moog, l’aristocratico quanto insopportabile leader dei brexiteers ultra-conservatori. Secondo tutti i commentatori, è altamente improbabile che May – l’ultima carta del “buon senso tecnocratico” nel Regno Unito – riesca a far passare il suo Brexit deal.

Considerando che ci sono voluti due anni e mezzo per raggiungere l’accordo e che, ora come ora, il Regno Unito uscirà dall’Unione Europea il 29 marzo 2019, se il parlamento “ammazza” l’accordo la situazione politica diventerà imprevedibile. Il 6 dicembre, Jeremy Corbyn ha dichiarato al Guardian che, in tal caso, i laburisti chiederanno elezioni anticipate per vincere e poter negoziare un nuovo accordo. Se quel che resterà della maggioranza parlamentare rifiuterà di andare alle urne, continua il leader del Labour Party, “all options are on the table” (tutte le opzioni saranno considerate), anche un secondo referendum sulla Brexit. In sostanza, siamo agli ultimi atti del collasso del centro politico britannico, nel contesto di una più ampia tendenza mondiale in questo senso. Se il corbynismo ha già messo fuori gioco la “terza via” del New Labour alla Blair, nel campo opposto gli ultra-conservatori strizzano l’occhio all’estrema destra “sociale” e si preparano a scalare le vette della politica istituzionale.

Arriviamo così alla politica “di strada”, quella fatta dai movimenti. Qui la data cruciale arriverà prima del voto in parlamento, si tratta del 9 dicembre. Domenica, infatti, si terrà a Londra il “Brexit Betrayal Rally”, indetto principalmente dal partito “populista” di destra UKIP. È importante sottolineare che, negli ultimi anni, UKIP si è spostato nettamente verso posizioni fascistoidi, più esplicitamente razziste e islamofobe, tanto che negli ultimi giorni ben due precedenti leader – il celebre Nigel Farage nonché Paul Nuttall – hanno abbandonato il partito accusandolo di essere diventato troppo estremista sotto la nuova guida di Gerard Batten! L’elemento più simbolico della nuova faccia di UKIP è stata la nomina di Stephen Yaxley-Lennon aka Tommy Robinson come “consulente” in materia di stupri e pedofilia. Tommy Robinson è la “star” dell’alt-right britannica, uno dei fondatori del partito fascista English Defence League (EDL, che ha poi abbandonato) e un collaboratore di Steve Bannon. Robinson è riuscito a catturare l’attenzione dei media (e soprattutto dei social media) con una campagna di cooptazione di temi originalmente femministi legati alla violenza di genere da una prospettiva razzista e islamofoba. La narrazione tossica del “tradimento della Brexit”, che l’estrema destra sta innescando, vuole legittimare le proprie posizioni di difesa del privilegio bianco come espressione dell’“autentica” volontà popolare espressasi nel referendum sulla UE e poi accoltellata alle spalle da un complotto tra gli usual suspects, élite liberali, banchieri (giacché i fascisti del terzo millennio non si azzardano a dire “ebrei” in pubblico), migranti, antifascisti, tutti uniti in una cabala volta a disintegrare la comunità nazionale e la famiglia tradizionale.

È sotto gli occhi di tutti che, se la narrazione dell’estrema destra diventasse egemonica, gli effetti sarebbero disastrosi, con il rischio concreto che un altro paese si aggiunga alla lista delle “conquiste” dell’alt-right. Per questo, il 9 dicembre, i movimenti antifascisti britannici – dagli anarchici alla sinistra laburista con tutte o quasi le realtà “intermedie” – convergeranno su Londra per smascherare tramite la mobilitazione di piazza il circo clownesco di Tommy Robinson. L’elemento femminista – con la partecipazione di realtà come la Women’s Strike Assembly e la Feminist Anti-Fascist Assembly – è particolarmente cruciale, da un lato come parte dell’ondata globale di mobilitazioni femministe di cui tali gruppi sono parte e dall’altro per smantellare il paternalismo compiacente della destra, secondo cui le donne avrebbero bisogno dei nazi per proteggerle dagli invasori.

In pochi si sorprenderanno del fatto che non siano mancati i dibattiti interni alla sinistra. Se l’antifascismo per definizione unisce tutti, la posizione da prendere nei confronti dell’UE divide (anche se ovviamente nessuno difende l’“Europa” così com’è). A un estremo c’è la cosiddetta “Lexit”, i gruppi di sinistra che avevano appoggiato la Brexit fin da prima del referendum [1]. All’estremo opposto c’è Another Europe Is Possible [2], che non solo vuole l’annullamento della Brexit ma che aveva chiesto che la manifestazione del 9 dicembre fosse anti-Brexit oltre che antifascista. Com’è noto, la leadership del partito laburista ha tatticamente mantenuto una posizione ambigua sulla questione, facendo una tiepida campagna pro-Remainall’epoca del referendum ma accettandone poi l’esito, salvo ripetere a tratti che “all options are on the table”.

I movimenti si trovano dunque nella delicata ma ormai tipica situazione di dover evitare di farsi schiacciare tra la tecnocrazia neoliberista e un “gentismo” dalle forti tentazioni reazionarie. Da un lato la narrazione dominante della Brexit è stata chiaramente incentrata sulla difesa dei confini dall’invasione migrante, e mi permetto di dubitare che in questi due anni e mezzo i Lexiters siano stati in grado di rovesciare questo dato. La Brexit, con o senza accordo, renderà centinaia di migliaia di lavoratori – specie nel terziario dequalificato – più deboli e ricattabili, aggravando la segmentazione etnica del mercato del lavoro. Dall’altro lato, l’esito del referendum ha dato una legittimazione popolare a questa scelta, e la caparbia ottusità della tecnocrazia di Bruxelles ha contribuito alla popolarità delle varie posizioni sovraniste. Non si può ignorare il fatto che confondere anti-Brexit e antifascismo avrebbe come effetto concreto quello di favorire la penetrazione nel corpo sociale della narrazione fascistoide della “Brexit betrayal”. Per questo, la manifestazione di domenica sarà antifascista, antirazzista, e antisessista, e allo stesso tempo sarà aperta a leavers e remainers.

Per concludere, credo che l’importanza di ciò che accadrà nei prossimi giorni e mesi nel Regno Unito per le prospettive dei movimenti europei (e, in misura minore, mondiali) non possa essere sottolineata abbastanza. In questo momento, le interazioni tra politica di strada e politica istituzionale hanno il potenziale di generare spirali virtuose o cedimenti catastrofici, o di riprodurre il muro contro muro per un lasso di tempo indeterminato, ma non infinito. Stringiamo i nostri cordoni e intensifichiamo i contatti internazionali, senza mai dimenticare gli assi fondamentali di una politica di emancipazione.

[1] Per esempio gruppi trotzkisti come Counterfire. Ricordo che storicamente il trotzkismo è la corrente ideologica più caratteristica della sinistra radicale britannica.

[2] ONG a cui partecipa in particolar modo l’Alliance for Workers’ Liberty, un altro gruppo trotzkista.