La "Cooperativa 20 dicembre", conosciuta come “La Alameda”
(questo era il nome del bar dove oggi si trova la sede dell’
organizzazione), nasce da un' Assemblea Popolare nel quartiere di Parco
Avellaneda (a Buenos Aires, capitale dell'Argentina). L’Assemblea si
forma nell’ anno 2002 con l’esigenza di dare delle risposte alla
popolazione per i problemi più urgenti di quel periodo: la fame e la
disoccupazione.
La prima azione concreta dell'Assemblea è stata la
creazione di una mensa popolare comunitaria che a tutt’oggi dà
assistenza a 140 persone del quartiere, nella gran maggioranza
lavoratori tessili. La mensa popolare funziona senza sosta ogni giorno
dal giugno del 2002 anche grazie allo sforzo di tutti coloro che ne
usufruiscono e che, per sostenerne il funzionamento, realizzano e
svolgono compiti comunitari, una volta alla settimana si
improvvisano nei lavori di cucina, pulizia ecc…
Una
volta coperta una necessità primaria come l'alimentazione, si è
considerato necessario iniziare a sviluppare, in modo solidale e
autogestito, la creazione di opportunità di lavoro, inteso come recupero
culturale e consapevolezza della dignità delle persone. L'associazione Ya Basta! incontra gli attivisti di "La Alameda" attraverso la collaborazione con la Cooperativa di Comunicazione Socialie "La Vaca" che ha dato modo di recarsi direttamente nel quartiere di Bajo Flores, nel Viale Directorio 3715.
Di fronte al parco di Parque Avellanda
c’e' la sede della Cooperativa 20 dicembre, al cui interno si svolgono
diverse attività: mensa, sede di cooperative, sede culturale e una
fondazione che si occupa di gestire le denunce e le cause intentate per
lavoro in schiavitù, problema molto presente nel paese. Appena
arrivati a Bajo Flores veniamo ricevuti da Tamara e Gustavo, attivisti
della cooperativa, che ci raccontano che l'assemblea è nata il famoso 19
e 20 dicembre del 2001 (la rivolta dei caserolazos) , in quel periodo
in quasi tutti i quartiere della capitale insorgono e si formano gruppi
spontanei, che mettono insieme le diverse crisi e proteste.
Gustavo si mette a disposizione del nostro registratore e racconta:
<<“Ogni
quartiere aveva le sue priorità, la nostra assemblea è nata in un
quartiere povero e popolare, un quartiere con molti migranti, dove le
necessità erano anche quelle primarie, come il cibo; ed è cosi che
l'assemblea, e di conseguenza le azioni, iniziano a sviluppare la
necessità di partire dalla creazione di strutture elementari, come la
mensa popolare (olla popular) nel parco di fronte a questa sede, poi
acquisti comunitari per poter abbassare i costi degli alimenti, un
gruppo di "trueque" (baratto), inoltre alcuni medici si sono messi a
disposizione per fare ogni giorno cure a base di ferro o altre cure
preventive, inoltre cortei e proteste davanti alle ditte che
licenziavano i lavoratori”.“E’
successo, che tutte queste azioni hanno iniziato a coinvolgere le
problematiche dirette della comunità, dove hanno trovato la materia
prima e le potenzialità di tutto ciò che è diventato La Alameda più
tardi”>>.
<<“Dopo
le giornate del dicembre 2001, a metà del 2002, inizia un processo di
cooptazione e allo stesso tempo di dissoluzione dei movimenti, di tutta
quella società attiva che era sorta con le proteste sociali e pochi
settori sono riusciti a resistere e mantenere la loro indipendenza ed
autonomia (normalizzazione democratica), come la nostra assemblea, che
non si è modellata, o ha fatto riferimento a nessuno dei politici di
turno, tanto del governo nazionale che quello della città; da allora
siamo diventati ostili alla classe politica, abbiamo dovuto subire un
forte isolamento per molti anni.>>
<< I
vari piani sociali, che il governo attribuiva ai disoccupati o agli
indigenti, erano un modo per distribuire reddito alle fasce della
popolazione più debole; piani sociali, che in qualche modo sono anche stati veicolo di controllo clientelare per avere consenso politico.
Nonostante fosse necessario ed importante creare una fonte di reddito
minimo per la popolazione svantaggiata, si è creata una struttura
clientelare dipendente e controllata dai "punteros" dei partiti
(coordinatori che fanno riferimento ai partiti politici
argentini)”>>.
<<“All’inizio
la mensa popolare l’abbiamo sostenuta grazie anche alle donazioni dei
vicini, ma con il passare del tempo ci siamo uniti con altre assemblee,
che avevano anche loro mense popolari, abbiamo combattuto e fatto
battaglie unitarie per poter avere degli alimenti direttamente dalla
segreteria di "sviluppo sociale", alimenti concreti, materiali, non
denaro liquido. Abbiamo
chiesto anche uno spazio coperto, al chiuso, arrivava l’ inverno e non
era molto dignitoso che 100 persone mangiassero in un parco all’ aperto,
ovviamente il governo non ci ha dato niente. Il
rapporto con noi era molto ostile, noi continuavamo una battaglia senza
sosta per rivendicare ciò in cui credevamo e difendevamo: la nostra
indipendenza , l’autonomia, l’orizzontalità e la democrazia diretta e
dal basso, all' interno della nostra organizzazione, perciò recuperammo
questo spazio, occupandolo”>>.
<< In
quel momento avevamo un rapporto molto stretto con il MFR (Movimento di
Fabbriche Recuperate) con loro abbiamo condiviso i momenti più critici
di molte fabbriche recuperate, quando c’è stato il drammatico periodo
degli sfratti e ci siamo opposti fisicamente alla polizia, per
resistere e difendere questi spazi; eravamo una delle fazioni delle
assemblee che prese posizione e sostenne fortemente il processo di
recupero delle fabbriche e che inoltre sosteneva il principio che
bisognava recuperare spazi vuoti e utilizzarli anche socialmente. Questo
è ciò che abbiamo fatto con l'Alameda in quel periodo, poi ci siamo
allontanati dal MFR, questo è accaduto quando è iniziato quel processo
di cooptazione politica di tutte le organizzazioni sociali, di
conseguenza c’è stato un dibattito tra le varie realtà, che alla fine ha
portato alla spaccatura del movimento a causa di scelte che non
condividevamo, e abbiamo deciso di andare per la nostra strada”>>.
<< Quando
abbiamo recuperato questo spazio, nei primi anni c’è stata
una "battaglia feroce", una resistenza continua allo sfratto,
abbiamo subito due perquisizioni
giudiziarie, siamo stati processati da un giudice inattendibile, un
personaggio molto contestato anche all’ interno del mondo giuridico per
le sue rivendicazioni conservatrici e reazionarie (come la proposta
dell’introduzione della "pena di morte"). Siamo riusciti ad ottenere
l'espropriazione dello spazio (all’ ex proprietario si intende) dopo
una battaglia molto dura, segnata da persecuzione ed isolamento, ma
paradossalmente allo stesso tempo al nostro interno c’è stata una
grande consapevolezza che ci ha rafforzato, ci ha unito, ci ha portato a
confrontarci sulle situazioni che vivevano i nostri compagni, come
quelli che lavoravano nei laboratori del tessile, soprattutto i compagni
boliviani; la pratica della resistenza e l’uso sociale del posto hanno
fatto in modo che lo spazio diventasse un luogo condiviso.
Noi
abbiamo un modo particolare di organizzarci, ad esempio il "comedor
comunitario (mensa comunitaria), all’inizio era l'attività di
base, nel tempo ha attraversato varie fasi ma sempre funzionando allo stesso
modo, tutti lavorano a rotazione, dal primo all'ultimo. Il
servizio è ovviamente gratuito e volontario, nessuno prende uno
stipendio, ma si chiede alle persone che usufruiscono della mensa che
una volta alla settimana partecipino al lavoro comunitario della mensa,
in questo modo la gente inizia a coinvolgersi. La democratizzazione dello spazio fisico, la democratizzazione degli alimenti, ha di fatto in qualche modo democratizzato tutto, dal
più piccolo al meno piccolo, ha fatto si che si coinvolgesse sempre
qualcuno, che si rompesse il muro che forse c’era fra la nostra cultura
e quella boliviana ad esempio, che si sviluppasse un processo
d’integrazione, è cosi che molti hanno cominciato a sensibilizzarsi per i
drammi dei laboratori "schiavisti" dei clandestini del tessile.
Fino
a quel momento non avevamo consapevolezza di cosa stava accadendo a
questi lavoratori, sapevamo che c’erano imprese o laboratori che
sfruttavano le persone ma non credevamo che la cosa fosse tanto
diffusa e che coinvolgesse così tante imprese con "firme" importanti. E’
così che abbiamo iniziato a lavorare per i diritti e la difesa di
questi lavoratori "schiavi", è così che abbiamo cominciato a scoprire
l’esistenza di questo sistema, che recluta gente portata dai paesi
limitrofi all’Argentina, tramite agenzie o con avvisi sui giornali. Nel
tessile si usano i cittadini boliviani, nell’edilizia invece i
paraguaiani, le imprese smettono di trattare con i lavoratori
locali, che vengono rimpiazzati con questi " nuovi schiavi" mediante
meccanismi di reclutamento di persone da avviare allo sfruttamento,
tutto ciò ovviamente avallato dal sistema, una catena di interessi che
creando benefici rende possibile il meccanismo della schiavizzazione del
lavoro.>>
<< L'assemblea è andata sviluppando da una parte un’ azione comunitaria,
che non è solo la mensa, ma moltissime altre attività, anche culturali,
che a tutt’oggi funzionano: biblioteca popolare, sostegno scolastico,
diversi laboratori, attività ricreative, che tra l'altro sono state
necessarie per l'autofinanziamento, come festival, concerti
ecc…; dall’altra parte la creazione delle cooperative. Noi
non avevamo interesse a che il comunitario diventasse solo una forma
assistenziale, ma che fosse una base d'incontro delle persone per
cominciare a risolvere problemi di dignità fra i quali il più
importante era il lavoro. La
cooperativa è tessile, perchè venivano dal mondo lavorativo del tessile
la maggioranza delle persone che frequentavano l'assemblea e lo spazio,
abbiamo iniziato ad occuparci del tema del lavoro “schiavo” perchè
gran parte delle persone che frequentavano lo spazio autogestito erano
lavoratori “schiavi”. Si
è iniziato con la denuncia del lavoro “schiavo”, e da qui si sono
formati diversi bracci comunitari i quali hanno generato un braccio
cooperativistico, questo braccio è diventato la Cooperativa La Alameda,
che ha dei principi molto chiari: non ha un padrone, opera attraverso
meccanismi di democrazia diretta e la distribuzione del reddito è
ugualitaria.
Oltre alla nostra, abbiamo dato assistenza alla creazione di altre 6 cooperative, in un posto che si chiama
"Polo textil" a Barracas (sempre a Buenos Aires) dove c’erano delle
macchine tessili confiscate, dopo alcuni processi giudiziari fatti su
pressione della nostra cooperativa, infatti i giudici hanno deciso di
confiscare quelle macchine e metterle sotto la custodia dell' INTI
(Istituto Nazionale di Tecnologia Industriale) per amministrarle e per
far si che le vittime di questi laboratori potessero organizzarsi in
forma di cooperative. Nel
Polo Textil lavorano sei cooperative con circa cento lavoratori che
prima erano vittime di laboratori clandestini, con gli stessi principi
che abbiamo noi >>.
<< Oltre
a questo, ci articoliamo con altre cooperative per il recupero di un
altro spazio che è un mercato di economia solidale, che si trova nel
quartiere Palermo, dove funzionano 13 cooperative associate, offrendo
dei prodotti etici (senza lavoro “schiavo”, nel rispetto dell'ambiente,
e con regole di commercio equo); inoltre La Alameda ha realizzato
un’importante rapporto di collaborazione con la Cooperativa "Ritorno
alla Dignità" della Thailandia, ed insieme abbiamo lanciato No Chains che
è il tentativo di una firma globale contro il lavoro “schiavo”, con
questo progetto più che voler distribuire e fare reddito si vuole
accendere un riflettore sulla necessità di sradicare il lavoro "schiavo" per l’agenda politica mondiale. Ovviamente
cerchiamo che il progetto sia sostenibile economicamente anche se
questa non è la priorità, anche perchè sia la cooperativa "Ritorno
alla dignità" che La Alameda potevano già contare su di una propria
clientela nel momento in cui si sono incontrati. Questo in effetti è un
Plus militante che le due cooperative hanno deciso di fare, convocando
ad un concorso disegnatori internazionali e nazionali, che in modo
volontario e gratuito hanno partecipato al concorso, nel quale sono
stati scelti i disegni dei due lanci della campagna di No Chains.
In effetti l’iniziativa
ha avuto una ripercussione importante, visto che sono stati fatti dei
servizi alla CNN, a TeleSur (Caracas) ad Al Jazeera e alla BBC di
Londra. Dopo
questa "avventura" andiamo avanti cercando di vedere, un passo dietro
l'altro, e ci sono altre cooperative in altre parti del mondo che si
vogliono unire al progetto No Chains. Quello
che immaginiamo per il futuro è che fra qualche anno riusciremo a
creare una forte rete di produttori che si oppongano al lavoro “schiavo”
e che allo stesso tempo si articolino con i consumatori, come la Red di
"Ropa limpia", una rete di consumatori che fa un lavoro di protesta e
concertazione sul lavoro “schiavo” sopratutto asiatico. Noi
pensiamo che se insorgono anche altri gruppi di produttori, fra una
parte e l'altra si riesca ad avere una rete molto più forte che si batta
per la fine del lavoro “schiavo” e che si possa interferire con più
forza all’interno delle agende dell'ONU e dei diversi governi.
Abbiamo
fatto una campagna in comune con "Ropa limpia" contro il sistema
“arenado”, che è il sistema che si utilizza per pre-lavare i jeans e che
provoca silicosi nei lavoratori. Ci
sono state conseguenze mortali per i lavoratori, sopratutto nella
Turchia e per questo è stata fatta questa campagna, principalmente
contro le grandi firme, quali la Levi's e H&M , che ha avuto
diffusione in altre parti del mondo, con proteste contro questo metodo
di lavoro >>.
<< All'interno
di La Alameda abbiamo una terza attività, che è quella “gremiale”
(sindacale) , infatti, molti lavoratori tessili che prima lavoravano in
laboratori clandestini, entrano a lavorare in fabbriche regolari,
abbiamo collaborato con loro per creare delle commissioni interne, corpi
di delegati che stanno cercando di recuperare le funzioni del sindacato
tradizionale, perchè qui in Argentina c’è un solo sindacato composto
da una dirigenza burocratica molto vecchia e ingiallita, incapace di
affrontare queste problematiche, ed è così che si cerca di fare una
battaglia per recuperare il sindacato e il suo rapporto con i
lavoratori. Questo
gruppo di delegati, interno al lavoro sindacale di La Alameda, fanno
parte del braccio sindacale "Unione Lavoratori Tessili">>.
<< Poi
ce' un'altra attività nel nostro spazio, che forse è quella più
frequentata e partecipata in questo momento, è la Fondazione,
organizzazione creata per svolgere il compito di querelante nelle cause
penali che noi mettiamo in atto contro gli schiavisti dei lavoratori nei
diversi rami dell'economia, al momento abbiamo 150 cause penali: 103
contro firme del settore abbigliamento, circa 25 con ditte che
utilizzano lavoro minorile e il resto contro le reti della tratta; di fatto, abbiamo smantellato diverse reti della tratta
sessuale e riscattato anche diverse vittime, questo è un lavoro che
facciamo da diversi anni. La Alameda
praticamente è diventata il "tribunale del popolo", dove molte persone
cercano il nostro sostegno e il nostro appoggio, per denunciare il
crimine organizzato e la mafia >>.
Nel
tempo, si sono creati altri gruppi come La Alameda in altri luoghi del
paese, come a Mar del Plata, Rio Gallegos, Mendoza, Villa Gesell,
con gli stessi nostri principi e con un contatto continuo. Nella
Alameda ci sono quattro rami che interagiscono fra di loro ma
continua sempre ad essere attiva l’assemblea di quartiere che si
riunisce ogni giovedì e in cui si discute di tutto.
L'assemblea dell' Alameda è strutturata in
quattro rami - come posiamo vedere dalle foto -
1 - il centro comunitario: con tutte le attività culturali e comunitarie ovviamente gratuite
2 - la cooperativa: economia e lavoro solidale ed etico
3 - la frazione gremialista (sindacalista) "Unione Lavoratori Tessili"
4 - La Fondazione. >>
A cura di Susana, Ya Basta! Marche. Ringraziamo LaVaca per i contatti e la disponibilità