Argentina - La cooperativa "La Alameda" e il progetto No Chains

YaBasta! Marche, viaggio 2011

2 / 8 / 2011

La "Cooperativa 20 dicembre", conosciuta come “La Alameda” (questo era il nome del  bar dove oggi si trova la sede dell’ organizzazione), nasce da un' Assemblea Popolare nel quartiere di Parco Avellaneda (a Buenos Aires, capitale dell'Argentina). L’Assemblea si forma nell’ anno 2002 con l’esigenza di dare delle risposte alla popolazione per i problemi più urgenti  di quel periodo: la fame e la disoccupazione.

La prima azione concreta dell'Assemblea è stata la creazione di una mensa popolare comunitaria che a tutt’oggi dà assistenza a 140 persone del quartiere, nella gran maggioranza lavoratori tessili. La mensa popolare funziona senza sosta ogni giorno dal giugno del 2002 anche grazie allo sforzo di tutti coloro che ne usufruiscono e che, per sostenerne il funzionamento, realizzano e svolgono compiti comunitari, una volta alla settimana si improvvisano nei lavori di cucina, pulizia ecc…

Una volta coperta una necessità primaria come l'alimentazione, si è considerato  necessario iniziare a sviluppare, in modo solidale e autogestito, la creazione di opportunità di lavoro, inteso come recupero culturale e consapevolezza della dignità delle persone. L'associazione Ya Basta! incontra gli attivisti di "La Alameda" attraverso la collaborazione con la Cooperativa di Comunicazione Socialie "La Vaca" che ha dato modo di recarsi direttamente nel quartiere di Bajo Flores, nel Viale Directorio 3715.

Di fronte al parco di Parque Avellanda c’e' la sede della Cooperativa 20 dicembre, al cui interno si svolgono diverse attività: mensa, sede di cooperative, sede culturale e una fondazione che si occupa di gestire le denunce e le cause intentate per lavoro in schiavitù, problema molto presente nel paese. Appena arrivati a Bajo Flores veniamo ricevuti da Tamara e Gustavo, attivisti della cooperativa, che ci raccontano che l'assemblea è nata il famoso 19 e 20 dicembre del 2001 (la rivolta dei caserolazos) , in quel periodo in quasi tutti i quartiere della capitale insorgono e si formano gruppi spontanei, che mettono insieme le diverse crisi e proteste.  

Gustavo si mette a disposizione del nostro registratore e racconta:

<<“Ogni quartiere aveva le sue priorità, la nostra assemblea è nata in un quartiere povero e popolare, un quartiere con molti migranti, dove le necessità erano anche quelle primarie, come il cibo; ed è cosi che l'assemblea, e di conseguenza le azioni, iniziano a sviluppare la necessità di partire dalla creazione di strutture elementari,  come la mensa popolare (olla popular) nel parco di fronte a questa sede, poi acquisti comunitari per poter abbassare i costi degli alimenti, un gruppo di "trueque" (baratto), inoltre alcuni medici  si sono messi a disposizione per fare ogni giorno cure a base di ferro o altre cure preventive, inoltre  cortei e proteste davanti alle ditte che licenziavano i lavoratori”.“E’ successo, che tutte queste azioni hanno iniziato a coinvolgere le problematiche dirette della comunità, dove hanno trovato la materia prima e le potenzialità di tutto ciò che è diventato La Alameda più tardi”>>.

<<“Dopo le giornate del dicembre 2001, a metà del 2002, inizia un processo di cooptazione e allo stesso tempo di dissoluzione dei movimenti, di tutta quella società attiva che era sorta con le proteste sociali e pochi settori sono riusciti a resistere e mantenere la loro indipendenza ed autonomia (normalizzazione democratica), come  la nostra assemblea, che  non si è modellata, o ha fatto riferimento a nessuno dei politici di turno, tanto del governo nazionale che quello della città; da allora siamo diventati ostili alla classe politica, abbiamo dovuto subire un  forte isolamento per molti anni.>>

<< I  vari  piani sociali, che il governo attribuiva ai disoccupati o agli indigenti, erano un modo per distribuire reddito alle fasce della popolazione più debole; piani sociali,  che in qualche modo sono anche stati veicolo di controllo clientelare per avere consenso politico. Nonostante fosse necessario ed importante creare una fonte di reddito minimo per la popolazione svantaggiata, si è creata una struttura clientelare dipendente e controllata dai "punteros"  dei partiti  (coordinatori che fanno riferimento ai partiti politici argentini)”>>.

<<“All’inizio la mensa popolare l’abbiamo sostenuta grazie anche alle  donazioni dei vicini, ma con il passare del tempo ci siamo uniti con altre assemblee, che avevano anche loro mense popolari,  abbiamo combattuto e fatto battaglie unitarie per poter avere degli alimenti direttamente dalla segreteria di "sviluppo sociale", alimenti concreti, materiali, non denaro liquido. Abbiamo chiesto anche uno spazio coperto, al chiuso, arrivava l’ inverno e non era molto dignitoso che 100 persone mangiassero in un parco all’ aperto, ovviamente il governo non ci ha dato niente. Il rapporto con noi era molto ostile, noi continuavamo una battaglia senza sosta per rivendicare ciò in cui credevamo e difendevamo: la nostra indipendenza , l’autonomia, l’orizzontalità e la democrazia diretta e dal basso, all' interno della nostra organizzazione, perciò recuperammo questo spazio, occupandolo”>>.

<< In quel momento avevamo un rapporto molto stretto con il MFR (Movimento di Fabbriche Recuperate) con loro abbiamo condiviso i momenti più critici di molte fabbriche recuperate, quando c’è stato il drammatico periodo degli sfratti e ci siamo opposti fisicamente alla polizia, per resistere e difendere questi spazi; eravamo una delle fazioni delle assemblee che prese posizione e sostenne fortemente il processo di recupero delle fabbriche e che inoltre sosteneva il principio che bisognava recuperare spazi vuoti e utilizzarli anche socialmente. Questo è ciò che abbiamo fatto con l'Alameda in quel periodo, poi ci siamo allontanati dal MFR, questo è accaduto quando è iniziato quel processo di cooptazione politica di tutte le organizzazioni sociali, di conseguenza c’è stato un dibattito tra le varie realtà, che alla fine ha portato alla spaccatura del movimento a causa di scelte che non condividevamo, e abbiamo deciso di andare per la nostra strada”>>.

<< Quando abbiamo recuperato questo spazio, nei primi anni c’è stata una "battaglia feroce", una resistenza continua allo sfratto, abbiamo subito due  perquisizioni giudiziarie, siamo stati processati da  un giudice  inattendibile, un personaggio molto contestato anche all’ interno del mondo giuridico per le sue rivendicazioni conservatrici e reazionarie (come la proposta dell’introduzione della "pena di morte"). Siamo riusciti ad ottenere  l'espropriazione dello spazio (all’ ex proprietario si intende)  dopo  una battaglia molto dura, segnata da persecuzione ed isolamento,  ma paradossalmente allo stesso tempo al nostro interno c’è stata una grande consapevolezza che ci ha rafforzato, ci ha unito, ci ha portato a confrontarci sulle situazioni che vivevano i nostri compagni, come quelli che lavoravano nei laboratori del tessile, soprattutto i compagni boliviani; la pratica della resistenza e l’uso sociale del posto hanno fatto in modo che lo spazio diventasse un luogo condiviso.

Noi abbiamo un modo particolare di organizzarci, ad esempio il "comedor comunitario (mensa comunitaria), all’inizio era l'attività di base, nel tempo ha attraversato varie fasi ma sempre funzionando allo stesso modo, tutti lavorano a rotazione, dal primo all'ultimo. Il servizio è ovviamente gratuito e volontario, nessuno prende uno stipendio, ma si chiede alle persone che usufruiscono della mensa che una volta alla settimana partecipino al lavoro comunitario della mensa, in questo modo la gente inizia a coinvolgersi. La democratizzazione dello spazio fisico, la democratizzazione degli alimenti, ha di fatto in qualche modo democratizzato tutto, dal più piccolo al meno piccolo, ha fatto si che si coinvolgesse sempre qualcuno, che si rompesse il muro che forse c’era fra la nostra cultura e quella boliviana ad esempio, che si sviluppasse un processo d’integrazione, è cosi che molti hanno cominciato a sensibilizzarsi per i drammi dei laboratori "schiavisti" dei clandestini del tessile.

Fino a quel momento non avevamo consapevolezza di cosa stava accadendo a questi lavoratori, sapevamo che c’erano imprese o laboratori che sfruttavano le persone ma non credevamo che la cosa fosse tanto diffusa e che coinvolgesse così tante imprese con "firme" importanti. E’ così che abbiamo iniziato a lavorare per i diritti e la difesa di questi lavoratori "schiavi", è così che abbiamo cominciato a scoprire l’esistenza di questo sistema, che recluta gente portata dai paesi limitrofi all’Argentina, tramite agenzie o con avvisi sui giornali. Nel tessile si usano i cittadini boliviani, nell’edilizia invece i paraguaiani, le imprese smettono di trattare con i lavoratori locali, che vengono rimpiazzati con questi " nuovi schiavi" mediante meccanismi di reclutamento di persone da avviare allo sfruttamento, tutto ciò ovviamente avallato dal sistema, una catena di interessi che creando benefici rende possibile il meccanismo della schiavizzazione del lavoro.>>

 << L'assemblea è andata sviluppando da una parte un’ azione comunitaria, che non è solo la mensa, ma moltissime altre attività, anche culturali, che a tutt’oggi funzionano: biblioteca popolare, sostegno scolastico, diversi laboratori, attività ricreative, che tra l'altro sono state necessarie per l'autofinanziamento, come festival, concerti ecc…; dall’altra parte la creazione delle cooperative. Noi non avevamo interesse a che il comunitario diventasse solo una forma assistenziale, ma che fosse una base d'incontro delle persone per cominciare a risolvere problemi di dignità fra i quali il più importante era il lavoro. La cooperativa è tessile, perchè venivano dal mondo lavorativo del tessile la maggioranza delle persone che frequentavano l'assemblea e lo spazio, abbiamo iniziato ad occuparci del tema del lavoro “schiavo” perchè gran parte delle persone che frequentavano lo spazio autogestito erano lavoratori “schiavi”. Si è iniziato con la denuncia del lavoro “schiavo”, e da qui si sono formati diversi bracci comunitari i quali hanno generato un braccio cooperativistico, questo braccio è diventato la Cooperativa La Alameda, che ha dei principi molto chiari: non ha un padrone, opera attraverso meccanismi di democrazia diretta e la distribuzione del reddito è ugualitaria.

Oltre alla nostra, abbiamo dato assistenza alla creazione di altre 6 cooperative, in un posto che si chiama "Polo textil" a Barracas (sempre a Buenos Aires) dove c’erano delle macchine tessili confiscate,  dopo alcuni processi giudiziari fatti su pressione della nostra cooperativa, infatti i giudici hanno deciso di confiscare quelle macchine e metterle sotto la custodia dell' INTI (Istituto Nazionale di Tecnologia Industriale) per amministrarle e per far si che le vittime di questi laboratori potessero organizzarsi in forma di cooperative. Nel Polo Textil lavorano sei cooperative con circa cento lavoratori che prima erano vittime di laboratori clandestini, con gli stessi principi  che abbiamo noi >>.

<< Oltre a questo, ci articoliamo con altre cooperative per il recupero di un altro spazio che è un mercato di economia solidale, che si trova nel quartiere Palermo, dove funzionano 13 cooperative associate, offrendo dei prodotti etici (senza lavoro “schiavo”, nel rispetto dell'ambiente, e con regole di commercio equo); inoltre La Alameda ha realizzato un’importante rapporto di collaborazione con la Cooperativa "Ritorno alla Dignità" della Thailandia, ed insieme abbiamo lanciato No Chains che è il tentativo di una firma globale contro il lavoro “schiavo”, con questo progetto più che voler distribuire e fare reddito si vuole accendere un riflettore sulla necessità di sradicare il lavoro "schiavo" per l’agenda politica mondiale. Ovviamente cerchiamo che il progetto sia sostenibile economicamente anche se questa  non è la priorità, anche perchè sia la cooperativa "Ritorno alla dignità" che La Alameda potevano già contare su di una propria clientela nel momento in cui si sono incontrati. Questo in effetti è un Plus militante che le due cooperative hanno deciso di fare, convocando ad un concorso disegnatori internazionali e nazionali, che in modo volontario e gratuito hanno partecipato al concorso, nel quale sono stati scelti i disegni dei due lanci della campagna di No Chains.

In effetti l’iniziativa ha avuto una ripercussione importante, visto che sono stati fatti dei servizi alla CNN, a TeleSur (Caracas)  ad Al Jazeera e alla BBC di Londra. Dopo questa "avventura" andiamo avanti cercando di vedere, un passo dietro l'altro, e ci sono altre cooperative in altre parti del mondo che si vogliono unire al progetto No Chains. Quello che immaginiamo per il futuro è che fra qualche anno riusciremo a creare una forte rete di produttori che si oppongano al lavoro “schiavo” e che allo stesso tempo si articolino con i consumatori, come la Red di "Ropa limpia", una rete di consumatori che fa un lavoro di protesta e concertazione sul lavoro “schiavo” sopratutto asiatico. Noi pensiamo che se insorgono anche altri gruppi di produttori, fra una parte e l'altra si riesca ad avere una rete molto più forte che si batta per la fine del lavoro “schiavo” e che si possa interferire con più forza all’interno delle agende dell'ONU e dei diversi governi.

Abbiamo fatto una campagna in comune con "Ropa limpia" contro il sistema “arenado”, che è il sistema che si utilizza per pre-lavare i jeans e che provoca silicosi nei lavoratori. Ci sono state conseguenze mortali per i lavoratori, sopratutto nella Turchia e per questo è stata fatta questa campagna, principalmente contro le grandi firme, quali la Levi's e H&M , che ha avuto diffusione in altre parti del mondo, con proteste contro questo metodo di lavoro >>.

<< All'interno di La Alameda abbiamo una terza attività, che è quella “gremiale” (sindacale) , infatti, molti lavoratori tessili che prima lavoravano in laboratori clandestini, entrano a lavorare in fabbriche regolari, abbiamo collaborato con loro per creare delle commissioni interne, corpi di delegati che stanno cercando di recuperare le funzioni del sindacato tradizionale, perchè qui in Argentina c’è un solo sindacato composto da una dirigenza burocratica molto vecchia e ingiallita, incapace di affrontare queste problematiche, ed è così che si cerca di fare una battaglia per recuperare il sindacato e il suo rapporto con i lavoratori. Questo gruppo di delegati, interno al lavoro sindacale di La Alameda, fanno parte del braccio sindacale "Unione Lavoratori Tessili">>.

<< Poi ce' un'altra attività nel nostro spazio, che forse è quella più frequentata e partecipata in questo momento, è la Fondazione, organizzazione creata per svolgere il compito di querelante nelle cause penali che noi mettiamo in atto contro gli schiavisti dei lavoratori nei diversi rami dell'economia, al momento abbiamo 150 cause penali: 103 contro firme del settore abbigliamento, circa 25 con ditte che utilizzano lavoro minorile e il resto contro le reti della tratta; di fatto, abbiamo smantellato diverse reti della tratta sessuale e riscattato anche diverse vittime, questo è un lavoro che facciamo da diversi anni. La Alameda praticamente è diventata il "tribunale del popolo",  dove molte persone cercano il nostro sostegno e il nostro appoggio,  per denunciare il crimine organizzato e la mafia >>.

Nel tempo, si sono creati altri gruppi come La Alameda in altri luoghi del paese, come a Mar del Plata, Rio Gallegos, Mendoza, Villa Gesell, con gli stessi nostri principi e con un contatto continuo. Nella Alameda ci sono quattro rami che interagiscono fra di loro ma continua sempre ad essere attiva l’assemblea di quartiere che si riunisce ogni giovedì e in cui si discute di tutto.

L'assemblea dell' Alameda è strutturata in quattro rami - come posiamo vedere dalle foto -

1 - il centro comunitario: con tutte le attività culturali e comunitarie ovviamente gratuite

2 - la cooperativa: economia e lavoro solidale ed etico  

3 - la frazione gremialista (sindacalista) "Unione Lavoratori Tessili"

4 - La Fondazione. >> 


A cura di Susana, Ya Basta! Marche. Ringraziamo LaVaca per i contatti e la disponibilità