Belgio - Manifestazione dei sindacati a Bruxelles. Scontri e azioni contro i provvedimenti sul lavoro del governo

Centinaia di migliaia di persone hanno manifestato in opposizione alle misure del nuovo Primo Ministro Charles Michel

6 / 11 / 2014

15 anni. Sono questi gli anni che sono passati dall'ultima manifestazione a convocazione belga e sindacale capace di riunire così tanti partecipanti. Sia le fonti ufficiali delle forze dell’ordine che i media mainstream parlano di più di 100.000 persone scese in piazza a Bruxelles; anche se le organizzazioni sindacali dichiarano quasi il doppio delle persone. 

FGTB, CSB e CGSLB hanno lanciato la manifestazione del sei novembre, in sintonia con altri gruppi politici della sinistra radicale come il JOC (Jeunes Organisés et Combactifs) e il JAC (Jeunes Anti-Capitalistes), in un percorso atto a concentrare tutte le categorie del lavoro nella capitale belga a fronte del grave attacco ai salari su iniziativa del Primo Ministro, Charles Michel.

Con una somiglianza inquietante con il governo nostrano - del "Giovane Rottamatore Renzi"-, Michel è stato nominato dall’11 ottobre alla guida del nuovo governo di coalizione tra i principali partiti politici (NVA, CD & V, Open VLD e MR), adeguandosi al trend tutto europeo della concertazione per l’equilibrio e l’unità nazionale. Coerente con il resto dell’Europa, Michel vuole varare un serie di misure che puntano all’abbassamento dei salari tramite il blocco dell’indicizzazione, cioè dell’aumento automatico stipendiale. Inoltre al pacchetto di riforme.va aggiunto un ancora non ben definito provvedimento sulla fiscalità –che i sindacati temono sarà tutto a sfavore dei lavoratori –e un primo tentativo di limitare il diritto di sciopero, per quanto per ora limitato al settore delle ferrovie (volendo fornire in caso di astensione dal lavoro un servizio garantito nazionale e non più un servizio minimo). 

Neanche la retorica della difesa del welfare, cioè la tutela dei sussidi sociali grazie all’aumento del prezzo del diesel, ha impedito alle organizzazioni sindacali di mobilitarsi e di svelare quello che è un pacchetto tutto indirizzato a smantellare i diritti e i salari del lavoro per ristabilire la crescita, togliendo oneri, costi e obblighi alle imprese.

Il gigantesco corteo a Bruxelles l’ha dimostrato, riuscendo a ricomporre i lavoratori dipendenti, gli indipendenti, i migranti, gli studenti e i dockers del settore portuale, già protagonisti della manifestazione europea del quattro aprile scorso. Una piazza piena ed eterogenea è riuscita a rispondere alle calunnie sortite dalla bocca dei responsabile della FEB (Fédération des enterprises du Belgique) e della Banca nazionale del Belgio, che hanno attaccato i manifestanti e i sindacati perché uno sciopero “fa inutilmente subire dei danni alle nostre imprese, in un momento in cui tutti aspettano da queste che facciano uscire dall’impasse economico”, come dice il Presidente della FEB, Pieter Timmermans. Non da meno il poco riscontro dell’hashtag da lui messo su twitter (#Aujourd’huiJeTravaille –Oggi lavoro) che ha contato ben pochi seguaci.

Durante il tragitto che ha paralizzato la metropoli, numerose azioni -tra cui l’occupazione proprio della sede della FEB-, hanno evidenziato i luoghi dei responsabili delle decisioni in merito all’austerity. 

Per molte ore centinaia di manifestanti hanno fronteggiato la polizia, prima presso la Gare du Midi poi vicino alla Porte de Hal, con lancio di oggetti, macchine incendiate e capovolte per proteggersi dalle aggressioni delle forze dell’ordine; la risposta della polizia, infatti, è stata brutale tra cariche e uso di lacrimogeni. Alla fine della giornata, si parla di più di trenta feriti tra agenti e manifestanti che hanno necessitato delle cure mediche.

Come hanno sostenuto i manifestanti, la straordinaria mobilitazione è soltanto la prima reazione al governo dell’austerity, avendo già preannunciato un possibile altro giorno per lo sciopero il 15 di dicembre. 

Una mobilitazione che non può che farsi europea, inserendosi tra tutti quei movimenti che vogliono cambiare direzione rispetto all’abbassamento del costo del lavoro e allo smantellamento del welfare e dei diritti.