Nuove manifestazioni in Tunisia. La violenza della polizia non si ferma

Ben Alì è scappato ma i suoi cani restano…

27 / 2 / 2011

La Tunisia è di nuovo in movimento, dopo la cacciata del presidente Ben Ali a furor di popolo il 14 gennaio, il processo di trasformazione sociale e politica che ha contagiato tutto il mondo arabo e oltre sta continuando con intensità. Infatti nello stesso tempo si susseguono le rivolte e in Egitto,Algeria,Marocco, Yemen, Barhein, Iran, Libano. Sull’altra sponda la Grecia continua ad essere scossa da una febbre antigovernativa inguaribile ed infine in Libia, la guerra civile in corso è allo stesso tempo una rivoluzione politica contro una dittatura corrotta e sanguinaria

Da qui tutto è cominciato e quella che è stata definita con malafede orientalista “la rivoluzione dei gelsomini” è in realtà un movimento destituente che lotta per diventare rivoluzione politica contro le tentazioni di un impossibile ritorno alla normalità. Dal 25 febbraio le piazze sono tornate a riempirsi e a chiedere le dimissioni del governo provvisorio del primo ministro di Ben Ali, Ghannouchi, vecchio uomo di regime, bandiera della reazione e del partito dell’ordine. A Tunisi da domenica 20 febbraio la Kasbah della medina, cuore storico e politico di Tunisi è nuovamente occupata. Lo stesso accade nelle altre città della Tunisia, dove le Medina, luoghi centrali delle città sono animate complessivamente da migliaia di persone che affermano di essere “ intenzionate a rimanere fino alla morte, se non si dimetteranno tutti i membri appartenenti all’ ancienne regime e la Tunisia sarà e rimarrà libera”.  “Non un passo indietro” è ciò che afferma con forza con questa nuova forma di manifestazione il popolo tunisino. Piazza Tahrir è diventato un metodo, simile al modello del “planton” sudamericano ma con un dinamismo complesso. Ovunque si svolgono proteste e iniziative e di giorno in giorno si moltiplicano gli episodi di conflitto con l’odiata polizia del regime.

Il 25 gennaio una nuova manifestazione ha riportato in piazza almeno 200.000 persone, un numero enorme per un piccolo paese come la Tunisia. Nel complesso in tutto il paese si è riversato in strada nuovamente un milione di persone. Nella strada tanti gridano “degage”, e lo accompagnano con un gesto eloquente del braccio, una nuova declinazione del “que se vayan todos” che abbiamo conosciuto durante la prima crisi profonda del modello neoliberale. Quando lo gridano tutti e tutte insieme sembra che un onda attraversi la piazza, le braccia in alto ondeggiano e sprigionano rabbia e gioia. Il ragionamento è semplice ed allo stesso tempo implica una presa di coscienza della difficoltà e della radicalità di un cambiamento rivoluzionario: il potere deve tornare alla base, al popolo.  Non è un caso che siano i più giovani a gridare più forte, non hanno molto da perdere ma molto da guadagnare in un paese dove il 40% della popolazione vive con un euro al giorno.

Prima il popolo ha riempito la piazza della Kasbah con rivoli di gente che la raggiungevano dai vicoli a piedi e dai viali della circonvallazione, poi migliaia di persone sono ridiscese, uscendo dalla città vecchia trasformate in fortezza dei ribelli, e si sono dirette sotto il palazzo del ministero degli interni, un palazzone grigio sede dei torturatori di Ben Ali. Almeno cinquemila persone hanno rimosso le transenne ed il filo spinato dell’esercito e hanno bloccato pacificamente il palazzo. C’erano ragazzi e ragazze seduti in terra a cantare, altri arrampicati sulle finestre, altri ancora arrampicati sui mezzi militari. Tutti chiedevano con forza le dimissioni immediate di Ghannouchi. Improvvisamente le prime raffiche di mitra in aria, le pietre in risposta, la rabbia e poi una tempesta di sassi e lacrimogeni seguita dai primi spari sulla folla per fare male. A sera c’erano già feriti per strada, barricate in fiamme attorno alla centrale Avenue Bourghiba.

 Solo a tarda notte ci arriva il bilancio più preciso dei feriti: tre per arma da fuoco, 30 feriti dalle squadre antisommossa ed un morto, un ragazzo di 17 anni di nome Mohammed Hanchi, colpito al collo da una fucilata. Tanto è forte il suono degli spari quanto è assordante il silenzio dei media ufficiali tunisini. Quelli italiani semplicemente brancolano nel buio che sa di malafede.

In serata arriva una dichiarazione del presidente ad interim Ghannouchi che annuncia le elezioni previste per luglio ma non risolve il nodo centrale delle proteste, la esigenza di azzerare la classe dirigente legata alla dittatura.

 Sabato 26 è una giornata di rabbia, la notizia del ragazzo ucciso da un proiettile alla gola pervade la kasbah, l’altra notizia è che il corpo si trova nelle mani dei militari e l’attesa della famiglia diventa l’attesa di tutti. Immediatamente dalle piccole vie del suk centinaia di giovani reclamano il diritto a manifestare la propria rabbia e indignazione. I ragazzi escono dalla medina e appena si affaciano sul viale della città coloniale iniziano i lanci di lacrimogeni. Il riot si allarga a tutta la zona, il gas entra fin dentro la città vecchia, una pioggia di pietre si abbatte sulla polizia che non riesce a respingere i manifestanti.

 Nel primo pomeriggio un corteo determinato di piu di 5000 persone accompagna il corpo di Mohammed al cimitero. Ai piedi della kasbah la polizia continua ad aumentare di numero, un commissariato viene dato alle fiamme, sembra che tutta la plebe della kasbah sia in strada.

Da quel momento in avanti inizia la guerriglia…

Non si risparmiano colpi di mitra ,gas cs, bombe sonore contro ragazzi armati di pietre. Tra Rue de Palestine e Rue de Paris si organizzano barricate con ogni materiale a disposizione, ma la violenza della polizia non è destinata a fermarsi, tutto ciò che accade ai piedi della kasbah viene documentato dagli stessi manifestanti e immediatamente portato con una corsa disperata tra i vicoli della medina fino al centro di comunicazione che si trova all’ interno della parte occupata. L’interazione tra il reale ed il virtuale è trasparente in questa tenda. Le voci della strada arrivano sul web attraverso le mani di Fatima, giovane operaia della Telecom tunisina, velo sui capelli e una energia incrollabile. Escono verso il resto del mondo dalla bocca di Omar, faccione scuro e dottorato su Edward Said all’università. A questo livello l’intelligenza collettiva si manifesta come un nervo vivo di questa rivoluzione in corso. (http://www.facebook.com/setting.kassaba)

Per ore si organizzano cordoni e barricate per difendere la piazza centrale dove sono situate le tende e il palco della protesta.

 La prime informazioni confermate parlano di un bilancio di tre morti, mentre voci non confermate parlano di 15 morti. Il dato di fatto è riassunto nell’affermazione di un uomo del presidio che laconico afferma, “Ben Alì è scappato via, i suoi cani sono rimasti qua”.

         

Nella notte di sabato dopo la violenza della giornata una calma da coprifuoco si stende sulla città, mezzi militari presidiano le strade. Nel frattempo  ci arrivano notizie dalle provincie che compongono un mosaico complicato di rivolte in corso anche a Sfax, Sousse, Kasserine ,Gafsa,…

Fare una rivoluzione senza leader e senza armi non è una cosa semplice, è da inventare, ma i tunisini e le tunisine ne vanno orgogliosi nonostante il dramma di queste giornate. La mancanza di centro si traduce in un caos apparente che però nei fatti si dimostra ancora una forza ed una intelligenza collettiva arricchita proprio dalla molteplicità delle forme di vita.

Dal presidio e dalla base del sindacato UGTT  viene lanciato un appello alla direzione generale dei trasporti di permettere l’utilizzo gratuito dei mezzi pubblici per permettere a quante più persone possibili di raggiungere Tunisi.

Da oggi i media tunisini hanno dichiarato lo sciopero generale,nessuno se ne era accorto che invece stavano lavorando per la Tunisia,…chissà che non ottengano la libertà di poter raccontare cosa sta facendo il suo popolo.

Da Tunisi:

Yara Nardi_ Vittorio Sergi_  Laura Sponti 

26 Feb. 2011 - Tunisi la polizia uccide manifestanti nel centro della città