Bolivia, il golpe a singhiozzo e la fuga di Morales in Messico

14 / 11 / 2019

Dopo venti giorni di protesta, Evo Morales è stato costretto ad arrendersi, a dare le dimissioni e a rifugiarsi in Messico. La crisi si è acutizzata sul finire della settimana scorsa quando alcuni reparti della polizia hanno cominciato ad ammutinarsi mentre nelle strade continuavano le proteste che chiedevano la rinuncia di Evo e nuove elezioni. Domenica mattina la OEA ha pubblicato il report della verifica effettuata sugli scrutini che hanno evidenziato come Evo molto probabilmente è risultato primo ma, statisticamente, è improbabile che fosse riuscito nel recupero in extremis. Qualche minuto dopo, nel tentativo di sedare le proteste, Evo Morales è apparso in conferenza stampa annunciando nuove elezioni e la sostituzione completa del tribunale elettorale. Ma anche questo non è bastato e nel pomeriggio, a seguito di numerose dimissioni da parte di dirigenti del MAS e del “suggerimento” del Comandante dell’esercito di rinunciare, il presidente ha dato le dimissioni e con lui il vicepresidente e i due presidenti delle camere, cosa che ha aperto la strada a un vuoto di potere che è durato due giorni, prima che le forze politiche e militari riuscissero a trovare un accordo e a rompere gli equilibri. 

Hanno fatto poi il giro del mondo le immagini di Camacho, leader della destra fascista di Santa Cruz entrare a Palacio Quemado e inginocchiarsi, bibbia in mano, davanti alla bandiera boliviana, ma dopo questa sceneggiata utile solo per le televisioni, il golpe si è bloccato e nessuno ha riempito quel vuoto. 

E mentre Evo è scappato in Messico - che gli ha offerto asilo politico - e nelle strade continuano scontri e violenze di ogni tipo, l’attesa si è rivolta al Parlamento dove la deputata dell’opposizione Jeanine Añez, seconda vicepresidente del Senato, è stata designata a succedere a Morales. Dopo due sessioni andate a vuoto per mancanza del quorum, data l’assenza dei parlamentari del MAS, la Añez ha rotto gli indugi martedì pomeriggio e si è autoproclamata presidente temporanea, con l’obiettivo di indire nuove elezioni al più presto. Poco prima, la Añez si era riunita coi rappresentanti dell’Unione Europea e con i membri della Conferenza Episcopale Boliviana. A seguito di questa mossa, tutto l’arco politico di opposizione ha riconosciuto la nuova presidente, ma soprattutto è stata riconosciuta dalla polizia e dall’esercito, chiudendo così almeno momentaneamente e dopo ventuno giorni di rivolta e sette persone uccise negli scontri, questa fase di stallo. Uno dei primi provvedimenti presi dalla nuova presidente è stato quello di rivoluzionare i vertici dell’esercito, sostituendo il generale Kaliman, che aveva “suggerito” a Morales di dimettersi. 

Nelle strade intanto non è tornata la normalità, anzi. Camacho annunciato di aver sciolto lo sciopero a Santa Cruz ma sono state Cochabamba, La Paz e El Alto il teatro di manifestazioni e scontri con la polizia che ora, con una direzione politica nuova si muove verso obiettivi più mirati. A El Alto, soprattutto è partita una grande manifestazione a difesa della whipala, la bandiera dei popoli originari simbolo di multiculturalità, oltraggiata nei giorni precedenti dalle forze di polizia e anche dai politici dell’opposizione. La cosa interessante è che la questa grande manifestazione che ha attraversato il centro di El Alto, è stata attraversata da un movimento composito che, in alcune sue parti si è schierata non solo contro il golpe, ma anche contro Evo [1].

Prima degli ultimi avvenimenti che hanno portato all’auto-proclamazione della Añez, eravamo tornati a confrontarci con un compagno boliviano, del quale omettiamo il nome su espressa richiesta per ragioni di sicurezza. 

C’è stato un colpo di stato in Bolivia?

Da un punto di vista locale non c’è stato un colpo di stato. Dal mio punto di vista nemmeno. State attenti, perché il capo delle forze armate, nonostante abbia suggerito ad Evo di dimettersi, continua a rimanere leale al presidente; sembra quindi più una strategia di Evo per risolvere la crisi.

Morales ha rinunciato. È finita la rivolta?

Morales ha “rinunciato” facendo un appello a continuare nella lotta per il processo di cambiamento, la sua rinuncia non è valida fino a che il Congresso non l’accetta, ma il Congresso non sta lavorando ancora e per questo motivo Evo è tutt’ora il presidente. La rivolta non è finita, giustamente, per due motivi. Evo ha chiamato a raccolta i suoi fedelissimi per continuare a combattere e, secondo motivo, Evo ha “grupos de choque” (gruppi di scontro) preparati per creare caos. È certo che molti che stanno protestando lo appoggiano, ma è altrettanto certo che ci sono persone pagate, che sono quelle che stanno commettendo atti vandalici.

Dopo la rinuncia di Evo e di García Linera si è aperto un vuoto di potere. Perché?

Il vuoto di potere è colpa di Evo e della sua gente, non vogliono che il Parlamento lavori e pertanto non c’è nessuno che assuma la presidenza. Stanno prendendo tempo. Sospetto sia per riprendersi il potere. Tutto il casino finale credo sia stato orchestrato dal governo, in particolare dal vicepresidente García Linera e dal ministro Quintana. Ricordo che Evo è legalmente il presidente e che l’unico ministro che non ha presentato le dimissioni è Juan Ramon Quintana la cui storia politica è molto oscura avendo partecipato a tutti i governi dal 1970 fino ad oggi, vale a dire è stato dentro a tutte le dittature e i governi democratici, si è formato alla Scuole delle Americhe e ci sono sospetti abbia partecipato anche agli squadroni della morte del Plan Cóndor.

Si parla molto delle violenze della destra razzista nei confronti degli indigeni. Cosa sta succedendo nelle strade in queste ore?

In queste ore ci sono assalti violenti di gruppi affini al MAS contro le città, non sembrano campesinos (contadini) ma piuttosto gruppi armati dal governo per creare caos; nella mia città, per esempio, stanno attaccando quartieri interi in modo casuale, non importa se sono quartieri del MAS o no. Non si può negare che delle persone che protestano e che sono contrarie a Evo ci sia un settore razzista, ma non è tutta la popolazione. 

Una cosa da chiarire e che il panorama a El Alto è un po’ più complesso. È cominciato tutto con saccheggi effettuati da gruppi pagati da Evo e con la tardiva reazione della polizia. Il giorno seguente gli stessi “asini” della polizia hanno bruciato la whipala e questo ha causato una grande indignazione a El Alto e una manifestazione di protesta di cui ne hanno approfittato i gruppi filo-governativi, sono ricominciati gli scontri e la polizia, invece di identificarli ha cominciato a sparare a tutta la marcia e questo ha fatto infuriare ulteriormente i manifestanti e ha peggiorato la situazione.

Perché la popolazione si è sollevata contro il governo progressista di Evo?

Si è sollevata per vari fattori accumulati nel tempo. È cominciato tutto col Tipnis, è continuato con varie accuse di corruzione che sono state insabbiate dal governo e nelle quali invece di arrestare chi aveva commesso i reati, sono stati arrestati chi aveva denunciato la corruzione. Altri tre motivi che hanno portato alla rivolta sono stati: non rispettare la volontà popolare di non permettere una nuova rielezione di Evo con il referendum del 2016 e il fatto che, pur non modificando la Costituzione, ma grazie a un escamotage della Corte Suprema di Giustizia, sotto il controllo del MAS, è riuscito a ottenere l’appiglio giuridico per ricandidarsi.

Il secondo motivo sono stati gli incendi della Chiquitania, dove sono stati bruciati circa cinque milioni di ettari per “regalarli” a cocaleros, imprese agroindustriali e allevatori. Nonostante le allerte per gli incendi, il governo non ha fatto nulla fino a quando sono bruciati 3 milioni di ettari ma da quel momento era quasi impossibile spegnere gli incendi. Alle persone che si erano organizzate per spegnere gli incendi, il governo ha inviato gruppi di sconosciuti per minacciarli e convincerli a desistere. La goccia che ha fatto esplodere la rivolta sono state infine le elezioni: sono state elezioni pacifiche fino alla notte, con un’affluenza molto alta, oltre l’80%, ma durante la notte si è bloccata la trasmissione del conteggio rapido, senza alcuna giustificazione e senza che nessuno dicesse niente. Il TSE era accusato già da molti anni di essere sotto il controllo di Evo, non aveva molta credibilità: sono state fatte molte denunce per le quali Evo avrebbe dovuto essere inabilitato alla candidatura (uso di beni dello Stato, sondaggi pubblicati senza il permesso dell’organo elettorale e altro ancora) ma tutte le denunce sono state minimizzate dall’organo elettorale. Quando hanno sospeso il conteggio rapido non hanno detto niente per ore e quando quasi 24 ore dopo sono ripresi, la differenza tra il primo e il secondo era tale da decretare un vincitore al primo turno. Con questi dati il secondo (Mesa) ha denunciato i brogli e il vincitore (Evo) la vittoria.

L’auto-proclamazione della Añez non ha chiuso la crisi. All’orizzonte il purun pacha (tempi oscuri) non terminerà in tempi brevi e anzi ora inizia il tempo della ricostruzione sulle macerie lasciate da Evo e col pericolo incombente e aberrante di un nuovo mostro all’orizzonte, quello rappresentato dalle destre fasciste, razziste e ultra cattoliche, di cui la nuova presidente è una portavoce. Una ricostruzione vera può ripartire solo da chi in questi giorni oscuri e caotici è stato offuscato e ostacolato dai discorsi su golpe e polarizzazione. L’attivista e sociologa Silvia Rivera durante l’incontro del Parlamento de las Mujeres, organizzato dal collettivo femminista Mujeres Creando, ha segnalato che «una ipotesi sbagliata, che mi sembra molto pericolosa, è quella del colpo di stato, che semplicemente vuole legittimare, tutto il governo di Evo, bello e impacchettato, nel suo massimo momento di degrado. Legittimare tutto questo degrado con l’idea del colpo di stato è criminale, e pertanto bisogna pensare a come è cominciato questo degrado». [2]

Una ricostruzione che dovrà essere anche culturale per riconquistare la democrazia perduta e che, sempre per la Rivera, non sarà restituita da chi oggi ha riempito quel vuoto di potere: «il trionfalismo che con la caduta di Evo abbiamo riconquistato la democrazia mi sembra un eccesso, un’analisi che sta andando fuori tema. C’è ancora molta strada da fare per riavere la democrazia. Questo è un futuro molto oscuro ma anche molto positivo per cominciare a discutere che cosa intendiamo per democrazia. E anche per discutere che cosa intendiamo per essere indio, india, per essere popoli originari. È una possibilità che abbiamo di discutere della multietnicità, la multiculturalità. Per questo siamo con la whipala: questa pluralità è ciò che dobbiamo recuperare, sorelle».

[1] https://libcom.org/news/they-are-not-evo-supporters-they-are-altenos-dammit-13112019

[2] https://www.youtube.com/watch?v=Ls7i_iG8yn4&feature=youtu.be