Una fase esplosiva per il paese

Brasile - Il grido di libertà dell'ottobre brasiliano

Lotte del mondo della formazione, per i trasporti pubblici, rivendicazioni indigene

2 / 11 / 2013

L'attacco alla formazione

Come avevamo già scritto agli inizi di ottobre quando si preannunciava il corteo A Milhao pela educaçao, il mondo della formazione in tutta la sua estensione e complessità è riuscito a fare da catalizzatore rispetto alla potenza dei movimenti che si stanno esprimendo da tutto il mese in Brasile. 

La sinergia tra le rivendicazioni categoriali degli insegnanti, che vanno dal rifiuto della meritocrazia alla richiesta degli aumenti salariali, e gli studenti che richiedono l'accesso incondizionato all'istruzione di qualità, ha saputo coinvolgere le varie esperienze di Ocupa con annesse le prime sperimentazioni di realtà autorganizzate, facendo iniziare una nuova fase del ciclo di lotte brasiliano. 

Dopo quasi due mesi in cui si assisteva ad un riflusso della dimensione moltitudinaria delle lotte, dove però si erano diffuse le prime strutture politico-organizzative nate dentro i movimenti di giugno, il “gigante si è svegliato” di nuovo con lo sciopero degli insegnanti.

 Quello che ha scatenato la mobilitazione degli insegnanti è la legge che vorrebbe renderli precari e sfruttabili attraverso la retorica della meritocrazia. I governi federali e statali legittimano il cospicuo taglio all'istruzione pubblica con una distribuzione differenziale dei finanziamenti in base al merito delle singole strutture scolastiche, che dipende direttamente dalla valutazione degli insegnanti. Questi potranno essere valutati rispetto ad un indice standardizzato, per cui chi riesce a rientrare nelle statistiche può avere un aumento salariale e può vedere confermato il suo posto di lavoro. Tutti coloro che non riescono a raggiungere questo grado, nonostante abbiano già sostenuto l'esame del concorso pubblico, rientreranno in una fascia salariale più bassa e potrebbe essere licenziati. 

Fondamentalmente, si vuole introdurre il principio neoliberale del merito all'interno delle scuole solo per poterle smantellare, andando ad inficiare ancor di più il sistema pubblico e la possibilità di un'istruzione aperta a tutti. Come può essere valutato un professore, se non ci sono le condizioni di possibilità affinché ci sia un insegnamento di qualità? Con le carenze edilizie, la mancanza di organico e la forte differenze dei livelli di conoscenza tra gli studenti, è impossibile seguire perfettamente il programma scolastico. 

Invece di implementare l'insegnamento, qualificarlo e finanziarlo, la strategia della governance è stata quella di scaricare i rapporti di forza verso il basso attraverso il feticcio della democrazia: la responsabilità del malfunzionamento delle scuole è di chi le vive e ci lavora, pertanto è una buona pratica democratica punire chi non si omologa agli standard – decisi dall'alto, senza tener conto delle specificità di ogni classe -, cioè chi occupa un ruolo e un posto che andrebbe di diritto ad un altro più meritevole. La “ guerra tra poveri” che si scatena in questa competizione per rientrare nelle statistiche diventa un buon dispositivo di controllo del conflitto sociale in quanto la controparte viene identificata magari in chi viene giudicato inefficiente o in chi ha vinto il premio salariale, senza indagare le scelte e le cause che hanno portato ad un tale sistema formativo. L'inclusione differenziale serve proprio a questo: indirizzare le risorse verso una parte, quella “eccellente” e “di qualità”, in modo da tagliarle da un'altra e non attuare nessun cambiamento. 

Anche nel caso dell'attacco alla formazione, la tradizione della crescita economica del PIL brasiliano non viene smentita: inficiare il pubblico e il welfare per finanziare le grandi opere e i grandi eventi delle lobby economiche.

Un'intesa moltitudinaria

I professori questo l'hanno saputo bene: non sono bastate le briciole o il tentativo di gerarchizzarli, visto che sia nei sindacati che in altre forme autonome di organizzazione hanno indetto scioperi, blocchi, occupazioni e cortei. A partire da São Paulo, dove fin da agosto un'acampada si trovava davanti alla sede del Provveditorato, fino all'Ocupa di Rio gli insegnanti hanno dato vita ad una vera rivendicazione conflittuale iniziata a settembre, che mai è stata autoreferenziale, di categoria. 

Gli studenti universitari e delle scuole superiori, per esempio, hanno appoggiato i professori criticando il sistema di istruzione pubblico. In Brasile, infatti, c'è il grande paradosso per cui l'accesso alle scuole è garantito, ma non all'università: la qualità e il livello di apprendimento delle scuole pubbliche è  insufficiente rispetto alle conoscenze che vengono chieste alle prove di ammissione alle università pubbliche (che possono essere federali o statali), altamente elitarie e selettive. Gli studenti che non possono permettersi l'università privata, si indebitano per iscriversi ai corsi di preparazione ai test per quelle pubbliche, senza per questo vedersi garantito l'accesso. Generalmente, sono le scuole private a dare una preparazione cognitiva in grado di superare la selezione delle università pubbliche, perché non subiscono tutte quelle carenze di organico, spazi e tempi per l'insegnamento che hanno le altre scuole. Fin da quando è stato ultimato il sistema formativo pubblico, la composizione studentesca non ha mai potuto contare su quello che in Europa è stato veicolo di ascensore sociale per decenni; l'istruzione è stata casomai una fucina per la formazione di forza-lavoro più qualificata da immettere subito nel nuovo mercato, che ha poi richiesto la riforma contrattuale della terziarizzazione, ossia precarietà selvaggia e zero diritti del lavoro. 

A São Paulo, gli universitari che da settimane contestavano il rettore, occupando la sede del Rettorato e dando vita a veri momenti assembleari costituenti, hanno intersecato la rivendicazioni degli insegnanti sostenendo che la vera democrazia è quella che apre l'istruzione a tutti e permette di avere potere decisionale su di questa da parte di chi la vive. 

Non è stato possibile per gli studenti non capire che l'attacco ai professori fosse un altro attacco alle scuole, che non faceva altro che dequalificare ancor di più la didattica e non ricevere le risorse economiche necessarie. 

Ma l'elemento più interessante della mobilitazione della formazione è la sua sinergia con i vari Ocupa e collettivi. Soprattutto a Rio de Janeiro, professori, studenti e i cosiddetti black bloc hanno determinato l'occupazione della Camara Municipal per settimane, costruendo lì davanti uno spazio, un'agorà dove la contaminazione e la moltiplicazione delle rivendicazioni ne facevano una vera e propria fucina politica. La questione non era solamente la contrapposizione alla legge che il Provveditore Paes e il governatore Cabral volevano applicare agli insegnanti: ma era la sperimentazione di un modo altro di connettere le lotte, praticarle e immaginare una nuova forma di cittadinanza. 

O dias dos professores e repressione di piazza

Nella ricorrenza del giorno dei professori del 15 ottobre, il “gigante” si è davvero “risvegliato”. In tantissime città del Brasile è stato confermato lo sciopero degli insegnanti,  le moltitudini si sono riprese le città, paralizzandole completamente, attraverso cortei, blocchi e azioni al grido di “ Non c'è niente da festeggiare!” e “ State distruggendo l'istruzione pubblica”. La vera spinta a rivendicare democrazia reale e un sistema educativo nuovo, discontinuo rispetto alla logica neoliberale, si è intersecato a tante situazioni di lotta, come quelle in difesa del territorio e degli indigeni, e alla volontà di non piegarsi ai divieti continui della polizia. A Belèm, gli attivisti e i professori hanno bloccato la tangenziale nevralgica della città e issato barricate per mantenere il blocco. A Goiàs il corteo ha invaso la Camara della città per impedire che venisse applicata anche a livello municipale la legge sugli stipendi. A Brasilia, dopo un'azione simbolica alla stazione dei pullman, un corteo si è diretto verso il Ministero dell'Istruzione nei pressi del quale ci sono stati scontri e arresti. Ma le città più esplosive sono state São Paulo e in particolare Rio de Janeiro. 

Nella città carioca, infatti, da due mesi i professori erano in sciopero e avevano costruito quello spazio pubblico di fronte alla Camera Municipal. Dopo aver deciso, subito prima del 15 ottobre, di proseguire lo sciopero ad oltranza, la costruzione della giornata non ha avuto limiti: si parla di duecentomila persona che si sono riversate nelle strade, paralizzando completamente almeno tre zone del centro. La Polìcia ha attaccato il corteo per impedirgli di proseguire, scatenando scontri con i manifestanti che hanno cercato di autotutelarsi. I reparti sono riusciti in quest'occasione a fermare ed arrestare duecento persone. Ma le giornate di Rio non si fermano al 15 ottobre: il giorno dopo, Ocupa Camara è stata sgomberata con violenza dalla stessa Polìcia, in un tentativo del governo locale di far cessare quell'esperienza che realmente aveva prodotto conflitto negli ultimi due mesi. Durante lo sgombero, è intervenuto il reparto Choque, colpevole di tantissimi abusi e brutalità nei confronti dei manifestanti, che ha arrestato più di 70 persone; in pieno centro, sono stati usati i lacrimogeni e le bombe stordenti per disperdere i manifestanti che volevano difendere l'occupazione. 

A São Paulo, un corteo di circa tremila persone è stato attaccato violentemente dalla Polìcia mentre bloccava una delle Avenidas principali, la Paulista. Anche in questo caso i black bloc, seguiti da una buona parte dei manifestanti, hanno autotutelato il corteo lanciando dei sassi contro i reparti, nel tentativo di farli allontanare; alla fine della giornata più di cinquanta persone sono state arrestate.

All'interno del panorama delle mobilitazioni di questo mese, ci sono da fare diverse considerazioni sulla gestione della piazza e le reazioni disciplinanti e repressive della governance delle città. Gli apparati polizieschi e i reparti mobili hanno sicuramente mantenuto il loro carattere violento e repressivo: uso spregiudicato dei lacrimogeni ad altezza uomo, dei proiettili di gomma e di vere e proprie armi da fuoco, caccia all'uomo dopo i cortei e pestaggi. Il dato in più, però, sta nel fatto che fino a ottobre potevano contare sui riflussi della mobilitazione di giugno, andando a reprimere i cortei quando miravano ai palazzi del potere, senza però attuare manovre pubblicamente scomode e discutibili come lo sgombero di un' Ocupa o di un presidio. 

Adesso che la sedimentazione organizzativa ha fatto una scintilla insieme alle rivendicazioni sociali, si sono intensificati i meccanismi di controllo e repressione dei momenti politici e delle strutture organizzate, soprattutto tutti quei collettivi che si fanno chiamare black bloc. Con l'approvazione della nuova legge sull'organizzazione criminale, gli sgomberi degli Ocupa e gli arresti di massa sono ormai giustificati e completamente arbitrari dell'apparato poliziesco; i manifestanti rischiano così dai tre agli otto anni di galere per criminalità contro la società e lo Stato. I controlli prima, dopo e durante le manifestazione sono sempre più frequenti e punitivi, arrivando a fermare persone per il solo fatto che hanno un paio di guanti con sé. Il tentativo è quello di prevenire i momenti decisionali politici e organizzativi sulle tattiche di piazza, in modo da impedire che le proteste abbiano davvero un carattere moltitudinario.  

L'accentuazione della violenza della polizia sembra aver, d'altra parte, attenuato il dibattito interno al movimento sull'uso della forza. L'organizzazione di piazza dei black bloc o dei mascàrados ha infatti quasi sempre tutelato il corteo e il diritto a manifestare, oltre che respingere le cariche indiscriminate dei reparti mobili. Come già scritto durante la Carovana, da questo punto di vista vediamo che i black bloc partecipano ai movimenti dall'interno, alla continua ricerca di uno spazio pubblico di condivisione delle pratiche e degli obiettivi politici senza alcuna autoreferenzialità o imposizione, assumendo nelle strade il compito di difendere i cortei.

Ciononostante, la criminalizzazione dei movimenti è tuttora un fenomeno largamente presente in Brasile, anche e soprattutto a causa dei media mainstream che, come Globo, appartengono a poche famiglie di persone spesso legate al mondo della politica istituzionale. Ed è per questo che vengono inscenate le solite retoriche mediatiche, a cui assistiamo anche in Italia non da ultimo il 19 ottobre: divisione buoni/cattivi, accentuazione degli scontri o del lato “violento” del corteo, esaltazione dei momenti “pacifici” e tranquilli. 

Nei giorni successivi al 15 ottobre, molti sono stati i presidi e i cortei contro la repressione di Stato e per il diritto a manifestare, che richiedevano fermamente la liberazione di tutti gli arrestati.

Direito à citade: la settimana del Passe Livre

Il 26 ottobre è stato attraversato dai movimenti del Brasile come il giorno della rivendicazione per il trasporto libero, inteso sia come accessibile sia come estraneo alle ingerenze delle imprese di gestione che vi speculano. A São Paulo, dove è nato il Movimento Passe Livre, i giorni precedenti diverse azioni di chiusura e sanzionamento dei terminal delle metro hanno anticipato la grande giornata del 26, iniziando la “Settimana per il Trasporto Pubblico”. Molti dei tornelli delle stazioni metro sono stati bruciati per una “vita senza tornelli”, le strade principali bloccate con barricate di pneumatici bruciati e più di quattromila persone sono scese in piazza. Durante tutte queste iniziative, la risposta della polizia è stata dura. Gli attivisti del Passe Livre condannano infatti i pestaggi dei manifestanti, l'abuso sui corpi delle donne costrette a denudarsi in strada per le perquisizioni e lo stato d'eccezione dei Commissariati, a cui era impedito l'accesso anche agli avvocati. 

Nonostante il blocco dell'aumento dei trasporti dopo le lotte di giungo, i conflitti intorno ai trasporti non sono assolutamente cessati, essendo uno dei punti attraverso cui si esercita il diritto alla città. In una metropoli come São Paulo, dove milioni di persone tessono relazioni e costituiscono flussi continui in movimenti da una parte all'altra della città, la garanzia dei trasporti è uno di quegli elementi del comune imprescindibile affinché si possa avere accesso alle risorse della città. E' chiaro che la loro progressiva privatizzazione e il costo eccessivo sono sintomo di speculazione da parte degli impresari che riescono a trarne rendita, determinando allo stesso tempo l'esclusione di una fetta della società da questo diritto. 

Ma come annunciato in un loro comunicato, il Movimento Passe Livre continuerà a “lottare per la distruzione di tutti i tornelli e per il trasporto gratuito”.

La primavera continua

 Anche andando alla fine di questo ottobre caldo brasiliano, che tra l'altro sancisce la piena primavera, si sono date diverse altre forme di conflitto. Gli insegnanti avranno anche sancito la fine dello sciopero, ma hanno messo in campo altre occupazioni dei municipi e assemblee per capire come fermare la legge e finanziare il sistema educativo. 

Grandi manifestazioni per i diritti degli animali hanno portato alla liberazione di diverse cavie in varie città, invadendo laboratori e scontrandosi con la polizia. 

La grande accumulazione di esperienze e conflitti di ottobre, grazie ai suoi momenti costituenti in cui le relazione sono state virtuose, hanno fatto sì che a Rio si cercasse un processo di ricomposizione rispetto alla molteplicità di lotte aperte. Per il il 31 ottobre diverse vertenze e concentramenti sono stati convocati nella città carioca per una grande manifestazione: gli indigeni in lotta per l'autodeterminazione, i comitati contro i grandi eventi e le grandi opere, chi si oppone alle privatizzazioni, gli insegnanti e gli studenti per un'istruzione pubblica e accessibile, gli occupanti di casa, chi si batte contro la violenza sulle donne e l'omofobia, chi vuole vedersi affermare il diritto a manifestare e rilasciati tutti gli arrestati contro la violenza di Stato. Tutti insieme si sono presi la città con un Grito de Liberdade -  come è stata chiamata la manifestazione - per rivendicare la possibilità di decidere sui suoi processi e sulle proprie vite contro l'arroganza dei poteri, pubblici o privati che siano, del neoliberalismo. 

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