Reportage

Burkina Faso, diario di una rivoluzione

Da Il Manifesto

5 / 11 / 2014

Nelle strade di Ouaga. Storia di una settimana fatale per Compaoré. Il lavoro duro? Lo ha fatto la popolazione. Dimissioni del tiranno e un governo civile: la piazza ha ottenuto il massimo e nessuno poteva prevederlo

Francesca Di Stefano, Ouagadougou, 4.11.2014

E' da più di un anno che Blaise tirava avanti que­sta tiri­tera, cam­bio l’articolo 37 della costi­tu­zione per potermi rican­di­dare o no? La popo­la­zione si è sem­pre mostrata net­ta­mente con­tra­ria e l’ha dimo­strato con varie mani­fe­sta­zioni ocea­ni­che, l’ultima in ago­sto. Una decina di giorni fa Com­paoré ha annun­ciato che il 30 otto­bre avrebbe sot­to­po­sto il dl sulla modi­fica dell’articolo 37 all’assemblea nazio­nale. La coa­li­zione di oppo­si­zione ha indetto una set­ti­mana di disob­be­denza civile e mani­fe­sta­zioni a par­tire da mar­tedì 28 otto­bre, ma in realtà dalla dichia­ra­zione di Blaise tutte le notti c’erano mani­fe­sta­zioni spon­ta­nee e ci siamo abi­tuati a dor­mire con il sot­to­fondo degli spari di lacrimogeni.

Mar­tedi 28 la prima grande mani­fe­sta­zione, con più di un milione di per­sone in piazza. Slo­gan più dif­fuso, “Vat­tene”; il migliore, “Blaise è il nostro Ebola”. Una parte della folla ha cer­cato di andare sotto l’assemblea nazio­nale ed è stata dura­mente repressa. Mer­co­ledì nuova mani­fe­sta­zone, con­tro il caro­vita e per il diritto alla scuola, con meno per­sone ma sem­pre ad alta ten­sione. Gio­vedi 30, giorno clou del voto par­la­men­tare, zona rossa intorno al palazzo dell’assemblea e all’adiacente hotel Aza­lai, dove due giorni prima erano arri­vati i depu­tati della mag­gio­ranza. Gli scon­tri con i mili­tari sono vio­len­tis­simi, ma alla fine la zona rossa viene sfon­data e la folla si riversa nel palazzo dell’assemblea nazio­nale. Poi si dirige verso il palazzo pre­si­den­ziale. Blaise ha fatto venire in rin­forzo i mili­tari dal Togo e dal Benin. Sono loro che hanno spa­rato e ucciso. Armi pesanti con­tro pie­tre. Ancora aspet­tiamo il numero defi­ni­tivo dei morti, ma dovreb­bero essere almeno una trentina.

Sac­cheg­giato ben bene e bru­ciato il palazzo dell’assemblea, non ne rimane più niente. Così l’albergo Aza­lai. A quel punto la gente, par­liamo di nuovo di più di un milione di per­sone, era forte e deter­mi­nata: tutte le mega ville dei parenti di Blaise, dei mini­stri e degli espo­nenti più noti del regime sono state sac­cheg­giate e incendiate.

Nel pome­rig­gio comu­ni­ca­zione di Blaise: modi­fica dell’articolo 37 sospesa, sciolto il governo, «ascolto la popo­la­zione e pre­paro la tran­si­zione nei pros­simi 12 mesi». Errore. Blaise, ormai com­ple­ta­mente dele­git­ti­mato, non è più rico­no­sciuto da nes­suno. Nono­stante il copri­fuoco, cen­ti­naia di per­sone dor­mono sulla piazza della Rivo­lu­zione (ribat­tez­zata da Blaise qual­che anno fa piazza della Nazione), la più grande piazza di Ouaga, fatta costruire da Tho­mas San­kara in stile socia­li­smo reale. La mat­tina dopo, venerdi 31 otto­bre, non c’è nean­che biso­gno di con­vo­care la mani­fe­sta­zione che tutti si ritro­vano di nuovo qui, per capire le varie posi­zioni dei par­titi di oppo­si­zione, dei rap­pre­sen­tanti della società civile e dei mili­tari, che nel frat­tempo dicono di voler accom­pa­gnare la tran­si­zione demo­cra­tica, e per sapere chi sarà il nuovo pre­si­dente. Lun­ghis­sima mat­ti­nata, in attesa di un nome che non arriva mai.

Un comu­ni­cato annun­cia le dimis­sioni di Blaise. Vit­to­ria. Ma è in fuga, sta per lasciare il paese. Nel frat­tempo il capo delle forze armate, Honoré Traoré, si auto­pro­clama pre­si­dente. Un uomo non amato e non voluto: l’esercito sta rubando la rivo­lu­zione popolare?

Nean­che il tempo di stap­pare lo spu­mante, che ten­sione e pre­oc­cu­pa­zione tor­nano a salire. Nel pome­rig­gio altri comu­ni­cati annun­ciano il copri­fuoco e la chiu­sura delle fron­tiere. Li firma un altro uffi­ciale dell’esercito, il colon­nello Isaac Zida.

Sabato 1 novem­bre oppo­si­zione e società civile si orga­niz­zano per ripu­lire le strade dalle bar­ri­cate. Zida viene indi­cato dall’esercito come nuovo pre­si­dente del Bur­kina. L’opposizione chiama di nuovo a manifestare.

Isaac Zida

Isaac Zida

Ma chi è Zida? Nien­te­meno che il numero 2 della guar­dia pre­si­den­ziale, un corpo for­mato da meno di due­mila uomini, stra­pa­gati, stra­for­mati, straar­mati e odiati da tutti gli altri mili­tari gelosi dei loro pri­vi­legi. C’è già chi lo asso­cia al com­mando che ha ucciso San­kara, ma è da con­fer­mare.

La mat­tina del 2 in piazza della Rivo­lu­zione ci sono 10 mila per­sone che chie­dono un passo indie­tro ai mili­tari. Si diri­gono verso la tv nazio­nale. Con­fu­sione. Il gene­rale in pen­sione Lou­gué, can­di­dato pre­fe­rito della piazza per gui­dare la tran­si­zione, sta per auto­pro­cla­marsi pre­si­dente, ma gli viene impe­dito. Ci prova una lea­der dell’opposizione, ma i mili­tari arri­vano e comin­ciano a spa­rare tra la folla. Spa­rano in aria, ma è il panico totale. I sol­dati occu­pano piazza della Rivo­lu­zione e tutto il cen­tro città. Bilan­cio, un morto e vari feriti.

Nel pome­rig­gio tutte le parti coin­volte, par­titi di oppo­si­zione e mili­tari sono in riu­nione. E in serata si deli­nea una via d’uscita, la costi­tu­zione torna in vigore, si va verso una coa­li­zione rap­pre­sen­ta­tiva che al ter­mine di un breve periodo di tran­si­zione dovrà orga­niz­zare nuove elezioni.

La gente è con­tenta, in giro c’è aria di gioia e di leg­ge­rezza. Era il meglio che che que­sta incre­di­bile insur­re­zione poteva otte­nere, dimis­sioni di Blaise e governo civile. Nes­suno poteva pre­ve­derlo. La gente non era orga­niz­zata, impen­sa­bile un epi­logo in stile san­di­ni­sta, in cui si è in grado di pren­dere i media e comu­ni­care i nomi di un nuovo governo rivo­lu­zio­na­rio. La popo­la­zione ha fatto il lavoro duro, poi si è rivolta ai par­titi di oppo­si­zione per essere guidata.

Zaphirin Diabiré con il colonnello Zida

Zephi­rin Dia­bre con il colon­nello Zida

Anche se il lea­der dell’opposizione Zephi­rin Dia­bre dovesse diven­tare pre­si­dente (ha forti chance di vin­cere le ele­zioni) alla gente va bene. È un uomo dell’occidente, è stato rap­pre­sen­tante per l’Africa per la Castel e poi per Areva, che sfrutta il Niger per il suo ura­nio. Ma le per­sone hanno voglia di lavo­rare, com­prarsi da man­giare, curare i pro­pri figli e man­darli a scuola. Va bene anche uno qua­lun­que che lavori un po’ in que­sto senso, che cambi rotta rispetto a Blaise.

In cin­que anni, spe­riamo, una vera oppo­si­zione avrà final­mente il tempo di for­marsi, di orga­niz­zarsi, di risco­prire dav­vero la rivo­lu­zione san­ka­ri­sta e forse non sen­ti­remo più par­lare di tutti que­sti par­ti­telli che ancora per­dono tempo e soldi a orga­niz­zare semi­nari per arri­vare a una defi­ni­zione del san­ka­ri­smo. Il san­ka­ri­smo è prima di tutto un sen­ti­mento e que­sto si sente, c’è voglia di par­te­ci­pare, di esserci. Per ora pos­siamo solo fare i com­pli­menti alla popo­la­zione bur­ki­nabé per la forza e la deter­mi­na­zione dimo­strate in que­sta for­mi­da­bile settimana.

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