"Non ho mai visto persone prendersi cura l'una dell'altra in questo modo. Organizzare gruppi di volontari per
sorvegliare le case, dirigere il traffico, pulire le strade, stare
attenti che nessuno manchi all'appello, che tutti stiano bene". Yassin è
rimasto in piazza Tahrir negli ultimi giorni assieme a migliaia di
egiziani. "E il numero non accenna a diminuire. Ci sono giovani,
anziani, famiglie, persone di tutti i ceti sociali".
Maidan Tahrir, normalmente, nelle ore di punta del traffico ha un aspetto grigio e somiglia ad una nube caotica di smog. Da quando la gente l'ha occupata, quattro giorni fa, ha assunto una bellezza sorprendente. Entrando in piazza dal lato di Shar'a Tal'ath Harb, una delle strade principali di Downtown, il colpo d'occhio è incredibile. Quella che ha invaso il centro del Cairo, sotto l'occhio attento dell'esercito, è una folla pacifica,
quasi festosa. L'obiettivo fondamentale - la caduta del regime Mubarak -
non è ancora stato raggiunto, ma si respira un'aria di ottimismo. Gruppi di persone che cantano, ballano, suonano tamburi.
Mentre camminiamo, ad un certo punto, entrano due grandi striscioni colorati freschi di stampa. Lo slogan è semplice ed è sempre lo stesso: chiedono la fine dell'era Mubarak,
un punto su cui la folla di Tahrir non sembra intenzionata a mediare.
Un nugolo di gente si raduna attorno a due televisori istallati in
piazza e sintonizzati su al-Arabiya. I cori vanno avanti giorno e notte, senza curarsi di un coprifuoco, mai veramente implementato, che ormai va dalle tre del pomeriggio alle otto del mattino. Per la prima volta dopo più di trent'anni, persone comuni si riprendono uno spazio finora proibito e basta una breve passeggiata in mezzo alla folla per percepire un generale senso di liberazione.
"Chi crea problemi qui sono solo i poliziotti in abiti civili rimasti in giro e gli infiltrati del Partito Nazional Democratico (PND)" - racconta Yassin. Secondo molte delle persone con cui parliamo, sono stati loro ad irrompere dentro al Museo Egizioe ad incendiare alcune sedi del PND,
tra cui il quartier generale sul lungo Nilo, una colonna di fumo
rimasta accesa per circa due giorni, che ha lasciato in piedi uno scheletro annerito di cemento. Strategie banali per alzare il livello di tensione in un braccio di ferro tra regime e manifestanti.
"Sono felice come mai", racconta Azza Matar di Arab Network for Human Rights Information.
"Non sappiamo ancora cosa succederà e la manifestazione di domani sarà
cruciale per capirlo, ma tutta questa gente in piazza non s'era mai
vista".
Ai margini di Tahrir, restano i tank militari a
sorvegliare gli accessi e a garantire la sicurezza. Una presenza
inquietante che potrebbe incombere anche sui futuri sviluppi della
protesta. Le opinioni a riguardo sono confuse e, per un verso o per
l'altro, quando si parla di transizione, molti guardano verso un'unica direzione, quella dell'esercito.
Venerdì sera abbiamo visto entrare in piazza Tahrir i carri armati, mentre le forze di polizia si ritiravano a sorvegliare il loro quartier generale, il ministero degli Interni (passato
sotto controllo militare anch'esso, dopo gli scontri violenti di sabato
notte). Quelli che molti considerano come i due clienti della
trentennale amministrazione Mubarak, che il Presidente ha utilizzato più
volte l'uno contro l'altro - esercito e polizia - si sono incontrati nel cuore del Cairo, fianco a fianco. L'esercito, da sempre amato e rispettato dalla popolazione per
ragioni storiche, è stato salutato da buona parte della folla come una
salvezza, mentre il secondo lanciava fumogeni e si ritirava lentamente
dalle strade. Quasi subito è arrivata una dichiarazione apparentemente rassicurante dell'esercito: i militari non apriranno il fuoco sui manifestanti.
Parlando con le persone per strada, incontriamo molti nostalgici: il loro rispetto per le forze dell'esercito affonda le radici nelle campagne del 1956 e 1973 o negli episodi di protesta del 1977, quando i militari garantirono sicurezza per le strade. Altri ci dicono chiaramente che i carri armati non sono lì per difendere la gente in piazza e gli uomini in divisa non hanno alcun interesse ad ascoltare le sue istanze. Quando abbiamo fatto visita al Partito al-Tagammu,
Hani al-Hussein, ha attaccato a parlare immediatamente della presenza
dell'esercito in città: "Una presenza utile, ma solo per il momento e in
preparazione di un governo civile. L'ultima cosa che vogliamo ora è una dittatura militare".
"Sembra che l'esercito sia diviso: i militari per
strada stanno con noi, ma i generali al comando sono gli stessi della
generazione di Mubarak e sono favorevoli a mediare pur di mantenere il
loro potere", commenta Azza Matar. "Io non mi fido dell'esercito
- racconta Yassin. Finché non dichiarano apertamente da che parte
stanno, non c'è modo di capire che direzione prenderà la protesta. I
ragazzi sui tank, se li guardi, sono come noi. Quando gli chiediamo se
sparerebbero sulla folla nel caso gli ordini cambiassero rispondono di
no, ma è difficile fare qualunque previsione. Finché l'esercito non prende posizione restiamo sospesi e la situazione rimane indecifrabile".
In
questi giorni, le notizie attraversano la città e la piazza seguite da
conferme, smentite e riconferme nel giro di pochi minuti, e più che
analisi ci si ritrova a formulare pure congetture. Ieri sera però, mentre cenavamo in strada con poeti improvvisati che raccontano la storia di questi giorni, arriva la notizia: il Parlamento è stato sciolto. Esplode la gioia. Un altro passo avanti.
Oggi, ad una settimana dalle prime proteste del 25 Gennaio, sono previste più di un milione di persone per il corteo che attraverserà le strade del Cairo. Poche ore prima della partenza della marcia, un gruppo auto-organizzato di membri della comunità internazionale in Egitto protesterà perché i governi stranieri rispettino il diritto all'auto-determinazione del popolo egiziano e le sue richieste, prima su tutte le dimissioni di Mubarak e la fine del regime. Da stamani le comunicazioni cellulari sono interrotte. La
giornata di oggi sarà un banco di prova e un momento chiave per capire
la direzione che potrebbe prendere la protesta egiziana. Senza fretta,
aspettiamo il primo pomeriggio.
Fuori dal centro e da Maidan Tahrir, allontanandosi dalle aree occupate dalla folla pacifica, le cose cambiano.
Non ci sono molte persone in giro nei quartieri di Dokki, Heliopolis,
Maadi e Muhandeseen. Quando la polizia si è ritirata dalle strade del
Cairo, circa tre giorni fa, ci si aspettava il caos come alternativa al
controllo del regime. Le vie dei quartieri periferici del Cairo non sono di certo tranquille, ma il livello di auto-organizzazione
della popolazione ha superato di gran lunga le aspettative. Durante la
notte, gruppi auto-organizzati hanno raccolto mazze di legno e ferro,
coltelli da cucina, armi di proprietà personale e sorvegliano gli incroci e le entrate dei palazzi per evitare lo sciacallagio.
I "guardiani" improvvisati con cui siamo riusciti a parlare non si sentono sceriffi e sono spaventati come chiunque altro, ma sono determinati ad evitare furti e razzie. "D'altronde, anche quando c'era la polizia non eravamo molti più sicuri di così". Durante il giorno, invece, posti di blocco sorvegliati da comuni cittadini fermano le macchine e controllano che non trasportino proprietà rubata.
Da ieri mattina, la polizia è ricomparsa in strada dopo gli scontri violenti di venerdì e sabato
e l'arrivo dei militari. "Questo sarà un problema, anche perché la
folla che è in piazza, del ritorno della polizia, non ne vuole sapere.
Ieri abbiamo visto un poliziotto all'entrata di Maidan Tahrir, lo
stavano praticamente linciando. L'hanno salvato i militari
dell'esercito", racconta Azza.
Qualunque previsione al momento sembra azzardata. Le strade e il cuore del Cairo si sono riempiti di una folla di proporzioni mai viste nella
storia dell'Egitto contemporaneo. Un gruppo determinato di persone che
non sembra intenzionato a mediare almeno su un punto cruciale: la fine dell'era Mubarak.
Se c'è un messaggio uscito forte e chiaro dalle piazze egiziane in
questi giorni è che gran parte del popolo egiziano esige un cambiamento
drastico: le dimissioni del Presidente in carica dal 1981 e di tutti i membri del suo entourage.
La
lista delle richieste poi va avanti. I manifestanti chiedono che tutti i
membri del regime siano processati per i crimini commessi negli ultimi
decenni, che lo Stato di Emergenza, in forze da 30 anni, sia finalmente sospeso, che Majlis al-Shaab e Majlis al-Shura - le due camere del Parlamento egiziano - siano sciolte e che un governo di transizione prepari la strada a libere elezioni.