Chiapas: la Difesa dei Beni Comuni costa cara

15 / 6 / 2013

Juan Vázquez Gómez é stato ucciso sulla porta di casa. Sposato e padre di due bambini, era uno dei portavoce della Sexta zapatista della comunitá tzeltal di San Sebastián Bachajón, situata nel municipio di Chilón, Chiapas. L’attivista trentaduenne, freddato da sei proiettili di alto calibro lo scorso 24 aprile, si aggiunge cosí al triste elenco delle vittime del conflitto per il territorio che si sta dando in Messico, e che vede contrapporsi gli interessi dei capitali nazionali e globali da una parte, e quelli delle comunitá, soprattutto indigene e contadine ma non solo, dall’altra.

Da sempre in prima linea nella lotta per la difesa dei beni comuni, che data almeno dal 2007, Juan era stato coordinatore de La Otra Campaña dell’ejido [forma di propietá sociale della terra] di Bachajón. L’omicidio, secondo i suoi compagni, si deve al suo attivismo e risponde ai molteplici interessi politici ed economici presenti nella zona, i quali puntano al controllo di un territorio ricco di risorse e potenzialmente molto redditizio per l’industria del turismo. Questa, infatti, con il sostegno dei tre livelli di governo, vorrebbe trasformare una delle meraviglie naturali della regione, la famosa Riserva della Biosfera delle Cascate di Agua Azul, in una sorta di “Cancun verde”, cioé nell’ennesimo non-luogo ad uso e consumo del business turistico internazionale, all’interno del quale le popolazioni tzeltal e ch’ol che da sempre abitano la regione rappresenterebbero solo un intralcio.

La grande opera, che si inserisce nel contesto del piú generale Proyecto Mesoamerica (versione aggiornata del famigerato e contestatissimo Plan Puebla-Panamá), mira alla costruzione di un Centro Turistico Intergralmente Pianificato che dovrebbe fare dell’asse Palenque-San Cristobal un “polo eco-turistico di classe mondiale”, con il suo correlato di servizi e infrastrutture. Tutto ció, al di lá delle promesse sull’eco-compatibilitá del progetto e sulle benefiche ricadute per le comunitá in termini economici ed occupazionali, implicherebbe, in realtá, l’esproprio dei territori comunitari e la completa distruzione dell’ecosistema locale.

A piú di un mese dall’omicidio di Juan, gli ejidatarios, oltre a denunciare la mancanza di indagini serie sul caso e ad accusare i governi statale e federale di voler proseguire nel loro intento di espropriazione, dichiarano che non smetteranno di lottare per costruire la propria autonomia, e lanciano la campagna nazionale e internazionale Juan Vázquez Guzmán Vive, La Lucha de Bachajón Sigue! Questa, dal 25 giugno (giorno della sua nascita) al 2 luglio, si porrá l’obbiettivo di onorare la memoria del compagno ucciso e tendere ponti di solidarietá con altri movimenti, ai quali viene chiesto di organizzare iniziative a sostegno della resistenza della loro comunitá e per la liberazione di Antonio Estrada, Miguel Vázquez e Miguel Demeza, i detenuti politici di Bachajón.

Non é solo la zona nord dello stato, la cosidetta Porta al Mondo Maya, ad essere al centro di una disputa che é tra le cause principali dell’aumento della violenza e dell’intensificarsi della guerra di bassa intensitá ai danni delle comunitá zapatiste e filozapatiste; ma l’intero territorio chiapaneco. Ricco di risorse strategiche come terra, acqua, petrolio, legna, minerali e biodiversitá, non suscita solo l’interesse dell’industria del turismo o del mattone, ma anche quello delle imprese farmaceutiche e della green economy. Tuttavia, quí come nel resto della Repubblica, la parte del leone in quanto a saccheggio del territorio la stanno facendo le imprese minerarie, la cui attivitá rappresenta una seria minaccia per l’ambiente e i gruppi etnici messicani.

Secondo Gustavo Castro, presidente della Rete Messicana Vittime della Miniera (Rema), l’industria estrattiva in Chiapas occupa il 20.85% del territorio. Pur essendo presente in diverse zone dello stato, si concentra in 50 municipi – il 40,65% del totale -, nei quali, il piú delle volte, contende a comunitá indigene e contadine territori con un alto livello di biodiversitá e, in alcuni casi, vere e proprie riserve naturali.

Le attivitá di esplorazione e sfruttamento minerario stanno provocando danni irreversibili all’ecosistema dello stato del sud-est messicano. Oltre all’inquinamento prodotto dalle sostanze tossiche utilizzate per lavorare i diversi minerali (il cianuro, per esempio) e ai relativi rischi per la salute, altri effetti dell’estrattivismo sono, tra gli altri: la deforestazione, la riduzione della quantitá d’acqua disponibile per le comunitá e l’aumento del rischio di frane e slavine.

Con 30 miniere sulla propria area, la zona della Sierra Madre, a sud dello stato, é quella in cui le conseguenze dell’attivitá estrattiva sull’ambiente sono piú evidenti. Nel municipio di Chicomuselo, per esempio, lo sfruttamento del sottosuolo ha causato l’avvelenamento di un fiume, la deviazione di corsi d’acqua, il prosciugamento di sei sorgenti, nonché la quasi completa distruzione dell’omonima Sierra. Il tutto, a vantaggio di imprese come le canadesi Black Fire Ltd e Gold Corp de Mexico, concessionarie di diverse miniere a cielo aperto (le piú contaminanti) che operano nella regione per cercare oro, argento, zinco, barite, rame e titanio.

All’assalto dell’industria mineraria, che durante il governo di Juan Sabines ha ottenuto 153 concessioni, le comunitá hanno risposto organizzando svariate mobilitazioni. A partire dal 2007 diversi gruppi e associazioni hanno iniziato ad organizzarsi contro l’insediamento delle imprese estrattive. Negli scorsi mesi, invece, circa ottanta ejidos appartenenti a undici municipi della zona costiera e della Sierra Madre hanno fondato un gruppo di autodifesa comunitaria.

Come racconta Gaspar Morquecho, giornalista chiapaneco, nel municipio di Motozintla, “oltre due mila contadini armati di machete, pali e tubi hanno dato vita all’Unión de Pueblos y Comunidades por la Defensa de Nuestro Patrimonio, el Agua y el Medio Ambiente” per impedire che che Black Fire e Gold Corp continuino ad esplorare e sfruttare il sottosuolo.

I capitali legati ad estrattivismo ed eco-turismo rappresentano, dunque, le principali minacce per territori e comunitá in Chiapas. Ai loro interessi, tuttavia, si accodano di buon grado i rappresentanti dei tre livelli di governo e i giudici, i quali non solo violano i diritti al territorio e alla consulta garantiti ai popoli originari dalla Costituzione e dalla Convenzione 169 dell’Ilo (Organizzazione Internazionale del Lavoro); ma, quando non possono cooptare, reprimono e arrestano voci critiche e oppositori.

La violenza paramilitare, inoltre, rappresenta l’altra faccia della medaglia. Portata avanti da organizzazioni locali legate al Pri, al Prd e al Partito Verde, fa parte di una piú complessiva strategia che ha come obiettivo finale quello di eliminare ogni ostacolo agli obiettivi di accumulazione (originaria).

La strategia per sfiancare le resistenze comunitarie, tuttavia, comprende interventi piú articolati che coinvolgono anche aspetti economici ed assistenziali. Parallelamente ad aggressioni, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, violenza poliziesca e paramiliare, vengono usati i programmi sociali del governo, come per esempio la Crociata Contro La Fame (rilanciata proprio in Chiapas dal presidente Peña Nieto in compagnia di Lula), attraverso la quale il governo punta alla creazione di nuove clientele usando gli aiuti economici per dividere le comunitá in uno degli stati piu poveri del Paese.

Da segnalare, infine, la crescita della violenza anche in altre zone dello stato, in cui i conflitti si moltiplicano, causando morti, desaparecidos e sfollati. Solo nelle ultime settimane sono stati segnalati scontri in localitá appartenenti ai municipi di Venustiano Carranza, San Pedro Cenalhó e Ocosingo; per non parlare delle minacce di sgombero e degli attacchi ricevuti negli ultimi mesi dagli ejidos di Jotolá, Tila e Mitzitón (aderenti alla Sexta) e San Marcos Avilés (base d’appoggio dell’Ezln).

L’omicidio di Juan Vazquez e il generale aumento delle aggressioni e della violenza nella regione hanno riportato la tensione a livelli che non si vedevano da tempo e fanno pensare ad un salto di qualitá nella strategia controinsorgente che preoccupa movimenti e associazioni per la difesa dei diritti umani. Preoccupazioni che trovano conferma nell’inazione e nella complicitá nei confronti dei gruppi paramilitari dimostrata dalle autoritá statali e municipali, le quali favoriscono l’impunitá e, inoltre, lungi dall’intervenire per risolvere i conflitti, li lasciano crescere per poter giustificare in seguito la militarizzazione del territorio e l’intervento repressivo.

Per concludere, al di lá degli obbiettivi specifici delle azioni armate e dell’attivismo dei paramilitari, l’intensificarsi degli eposodi di violenza in Chiapas non puó che essere considerato come parte di un processo che, nel lungo periodo, mira a colpire i territori autonomi zapatisti, visti da governo e poteri forti non solo come un ostacolo agli investimenti piazzato nel bel mezzo della Riserva dei Montes Azules, ma anche e soprattutto come un esempio di costruzione di alternative altamente contagioso e, di conseguenza, da eliminare.

di Andrea Spotti, inviato speciale di MilanoX in Messico

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