Chiloé, l’arcipelago che resiste al governo e alla pandemia

Utente: davide drago
27 / 3 / 2020

Nel Cile infuocato degli ultimi mesi, lo scoppio dell’emergenza coronavirus ha costretto i movimenti a rivedere i propri piani di protesta, anche alla luce del rinvio ad ottobre del plebiscito sulla nuova costituzione. Le misure adottate dal governo per contenere la diffusione del virus sono state fino a questo momento dettate più dal desiderio di far scemare l’estallido social che dal reale interesse per la tutela della salute del popolo cileno.

Così, se in un primo momento il presidente Piñera ha minimizzato il pericolo, come molti altri governi, con il passare dei giorni ha attuato una serie di misure volte a reprimere il dissenso: oltre a decretare la chiusura delle frontiere, il presidente ne ha subito approfittato per lasciare in mano alle forze armate la gestione dell’ordine pubblico proclamando il coprifuoco notturno in tutto il paese, con arresti e pene pesantissime per i trasgressori.

Succede così che, come abbiamo visto in Italia e in altri paesi in queste settimane di emergenza, mentre sono vietati gli assembramenti di persone, e di conseguenza qualsiasi tipo di manifestazione contro il governo, non sono invece vietati gli assembramenti nei posti di lavoro, dove ogni giorno migliaia di persone sono costrette a mettere a rischio la propria salute per sostenere l’economia, vale a dire il profitto smisurato delle imprese.

È il caso delle industrie “salmoneras” dell’arcipelago di Chiloé, situato poco a sud di Puerto Montt che, oltre a essere un incantevole luogo naturale, è famoso anche per essere la sede di molte di queste industrie, da sempre osteggiate dalla popolazione locale per l’elevato inquinamento che producono nell’oceano e per la distruzione della fauna marina. Solo quattro anni fa, gli stessi abitanti, proprio a causa dell’inquinamento avevano attuato il blocco all’entrata dell’arcipelago tenendo in scacco per 22 giorni le forze armate mandate a risolvere il problema dall’allora presidente Bachelet, che poi era stata costretta a negoziare per la determinazione della protesta.

In questi giorni, in cui la pandemia di coronavirus ha cominciato a diffondersi pericolosamente nel paese, le industrie “salmoneras” non hanno smesso di produrre e ogni giorno sono decine i lavoratori e i mezzi di trasporto che fanno avanti e indietro dal continente per continuare la produzione. Nei giorni scorsi il sindaco di Ancud aveva provato, senza successo, a fare un ricorso alla Corte di Appello di Puerto Montt contro il ministro della Salute e il capo della Difesa Nazionale della regione de Los Lagos per attentare contro la salute della popolazione e per non aver disposto la chiusura dell’isola di Chiloé, stabilendo una dogana sanitaria e di controllo degli ingressi.

A fronte del silenzio del governo in merito alle richieste di misure straordinarie per proteggere la popolazione dell’arcipelago, nella giornata di martedì la stessa popolazione si è organizzata e ha cominciato a costruire blocchi stradali e barricate per impedire l’entrata e l’uscita dall’arcipelago dei camion che trasportano i prodotti delle “salmoneras”. Le richieste sono chiare e semplici: chiusura immediata delle industrie e proclamazione della quarantena totale nell’isola, con l’impossibilità di entrata e uscita fino a quando l’emergenza sarà terminata. Come denunciano gli abitanti delle isole, il proseguimento dell’attività produttiva mette in serio pericolo tutta la popolazione per “difendere” il profitto dei pochi industriali, infatti, se il virus dovesse diffondersi nell’arcipelago (attualmente sono 9 i casi all’interno) ci sarebbe un gravissimo pericolo per la popolazione in quanto le strutture sanitarie locali sono scarsamente attrezzate con solo sei respiratori su una popolazione totale di circa 180 mila persone.

I blocchi sono durati per tutta la giornata. Il governo, invece di inviare medici, infermieri, attrezzature sanitarie, ha inviato nell’isola tre “guanacos” (i temibili blindati con gli idranti divenuti tristemente famosi nella repressione di piazza di questi mesi) e diverse decine di carabineros che hanno provveduto a sgomberare i blocchi arrestando uno dei leader della protesta, il presidente della Junta de Vecinos de Chacao Andrés Ojeda e un altro residente di Ancud. I due arrestati ora rischiano una pena di 541 giorni di carcere in base alla recente legge numero 21.208 promulgata in gennaio, che inasprisce le pene per i blocchi stradali soprattutto se realizzati in “stato di eccezione costituzionale” come in questo momento.

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Nonostante la repressione, i blocchi sono ripresi in serata e sono durati tutta la notte in vari settori dell’isola, ad Ancud, Quemchi, Castro e Quellon, come testimoniano i numerosi post dei residenti pubblicati sui social per denunciare la situazione di pericolo ed emergenza che stanno vivendo.

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Il giorno seguente, a seguito dell’annuncio dei residenti di una nuova giornata di blocchi, il ministero della Salute ha annunciato l’istituzione di un “cordone sanitario” nell’arcipelago e ha inviato ulteriori carabineros per tenere sotto controllo l’ordine pubblico. Gli isolani sono comunque scesi nelle strade per realizzare la vera barriera sanitaria, popolare e dal basso, per impedire ai trasportatori dell’industria salmonera di entrare e uscire dall’isola e per ribadire al governo le proprie richieste, consapevoli che, di questo governo, nessun cileno si può ormai fidare, come hanno dimostrato le cronache degli ultimi mesi.

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Tweet 3: https://twitter.com/illapu/status/1242627607075536896?s=20