Cile - “Chi non salta è uno sbirro”. Al Festival di Viña del Mar irrompe la protesta

27 / 2 / 2020

L’estallido social cileno che dura ormai da oltre quattro mesi, conquista la prima serata nazionale e le passerelle del mondo dello spettacolo al grido di “el que no salta es paco”, letteralmente “chi non salta è uno sbirro”.

In questi giorni Viña del Mar, graziosa località chiamata “città giardino” a due passi dal mare e da Valparaíso è la capitale della musica continentale grazie al suo famosissimo Festival Internacional de la Canción (tra l’altro gemellato col Festival di Sanremo) a cui, negli anni, hanno partecipato i più grandi artisti del continente e non solo, da Santana a Manà, da Calle 13 a Ricky Martin, solo per citarne alcuni.

Già dal giorno dell’inaugurazione, manifestanti contro il governo di Piñera si sono riversati nei pressi della sede del festival “approfittando” della visibilità dell’evento per porre all’attenzione pubblica del paese il malcontento diffuso scoppiato nell’ottobre scorso e che sembra non avere fine. Come ha testimoniato la delegazione dell’Associazione Ya basta! Êdî bese! presente nel paese, la guerra dello stato cileno contro il suo popolo non avviene solo nelle strade ma anche attraverso un’abile azione di propaganda e di censura volta a ridimensionare, a criminalizzare e a nascondere la protesta. Televisioni e testate giornalistiche sono sotto il controllo del governo che decide cosa si può raccontare e cosa no, i media indipendenti sono criminalizzati, attaccati e chiusi in perfetto stile turco, i social network schermati e nascosti alla popolazione per evitare che diventino strumenti di organizzazione delle proteste e denuncia delle violazioni dei diritti umani.

È in questo clima di censura e violenza che il festival di Viña è diventato un obiettivo dei manifestanti anti-Piñera, sia fuori nelle strade, sia sopra il palco dove alcuni degli artisti più famosi hanno lanciato importanti messaggi alla nazione in diretta televisiva, in vista del referendum del 26 aprile che porterà la cittadinanza cilena a decidere se avviare un’assemblea costituente per redigere una nuova Costituzione che sostituisca quella attuale emanata dal regime di Pinochet.

Il festival è iniziato con lo show di Ricky Martin, star mondiale che non ha bisogno di presentazioni, che alla fine del suo spettacolo ha avuto parole di solidarietà e di appoggio alla lotta sociale del popolo cileno: «Esigete l’essenziale, i diritti umani. Sto con voi, popolo cileno, mai in silenzio, sempre con amore e pace esigete ciò che meritate», sono state le parole rivolte al pubblico presente in sala ma non solo. Nella successiva conferenza stampa, il cantante portoricano si è poi augurato che la lotta del popolo cileno «serva da effetto domino per tutte le aree del mondo dove il popolo ha bisogno di essere ascoltato». Ricky Martin non è nuovo a prese di posizione del genere: già l’anno scorso era apparso alla testa delle mobilitazioni di protesta dei suoi concittadini portoricani contro il governo corrotto di Rosselló.

L’attrice Javiera Contador invece è andata dritta al punto, invitando il pubblico a votare “yo apruebo” al referendum tra gli applausi: «io non voglio convincere nessuno ma io approvo la nuova Costituzione». A seguire è stato il turno di due delle star più attese, Francisca Valenzuela e soprattutto Mon Laferte, quest’ultima balzata all’onore delle cronache mondiali lo scorso 15 novembre quando, alla premiazione dei Grammy Latinos a Las Vegas, si era scoperta il seno mettendo in evidenza la scritta sul petto “in Cile torturano, uccidono e vìolano”.

Mon Laferte ha portato sul palco la rivolta, non solo unendosi al coro e ai salti del pubblico che intonava “el que no salta es paco”, ma soprattutto spiegando le decisioni della sua presenza sul palco in un denso monologo: «in molti mi dicevano di cancellare la mia presenza qui. Non si può fare una festa nel mezzo di tutte le ingiustizie sociali, delle violazioni dei diritti umani. Non si può fare un festival nel mezzo della rivolta. Altre persone invece mi dicevano che dovevo andarci. Non sapevo che fare quando un giorno ho letto un comunicato dei carabineros che mi citava e che chiedeva alla procura di indagarmi per aver commesso un delitto. All’inizio pensavo fosse uno scherzo, poi ho avuto paura: può essere un delitto esprimere la propria opinione? Alla fine mi hanno convinta a partecipare, hanno detto che avrei dovuto tenere un discorso, ma io so solo cantare. So che adesso ho molti privilegi, ma vengo da una famiglia povera che ha fatto molti sacrifici e che non aveva la possibilità di farmi studiare. L’unica cosa che ho imparato nella vita è stata cantare. Non voglio fare pietà, voglio solo dire che è così difficile tacere quando hai vissuto sulla tua pelle la miseria».

In un crescendo di entusiasmo ha chiuso la serata la cantante Francisca Valenzuela, con al polso il fazzoletto verde del movimento femminista “ni una menos” che subito si è unita al coro del pubblico che al suo ingresso ha intonato il testo del collettivo Las Tesis, “un violador en tu camino”. Durante il suo spettacolo inoltre, ha più volte fatto riferimento alle violenze dei carabineros tappandosi con la mano un occhio, simbolo, appunto, della violenza dei carabineros che con lacrimogeni e proiettili in questi quattro mesi hanno provocato oltre 400 ferite agli occhi dei manifestanti.

francisca

Tutto questo mentre all’esterno della Quinta Vergara che ospita il festival, le proteste e i disordini sono durati due giorni. I manifestanti sono stati repressi, come ormai da prassi consolidata, con la violenza dai carabineros provocando oltre una trentina di arresti e numerosi feriti.

Il clamore suscitato nel paese da queste prime due giornate di festival, ha convinto il deputato del Frente Amplio Renato Garin (centro sinistra moderato) a fare una profonda autocritica in merito all’operato dell’opposizione di cui fa parte: «Tra Mon, Javiera, Francisca, Ricky e Stefan, hanno fatto 500 volte di più di tutta l’opposizione politica in questi tre anni. E mi includo in questo fallimento collettivo, che ha responsabilità molto chiare: capi delle opposizioni e presidenti di partito».

È cominciato così il festival di Viña, con i movimenti che son riusciti a figurare tra i protagonisti. 

Da una parte infatti, le proteste scoppiate nelle piazze hanno costretto gli organizzatori a rimandare l’evento di domenica, dall’altra il festival si è trasformato in quella vetrina politica della campagna “yo apruebo” che il governo ha cercato in tutti i modi di evitare. Le prese di posizione degli artisti, come anche le proteste di queste ultime settimane che hanno coinvolto le tifoserie, dimostrano in maniera inequivocabile quello che lo stato cileno cerca di occultare, ovvero che l’estallido social non è una rivolta di pochi violenti e facinorosi che vuole distruggere la democrazia, ma un movimento eterogeneo che coinvolge vari settori della popolazione cilena, che semmai rivendica più democrazia, più diritti, la fine delle politiche economiche neoliberiste che stritolano la vita di milioni di persone e della violenza dei carabineros. Ma soprattutto, la rinuncia di quello che è considerato alla stregua di un dittatore e il responsabile di tutto questo: il presidente Sebastian Piñera.