Cile - Piñera alle corde

Oltre tre milioni di persone in piazza: Piñera fa un passo indietro sul tarifazo, i manifestanti no.

28 / 10 / 2019

Ci sono voluti otto giorni di mobilitazioni, un milione e mezzo di cittadini in Plaza Italia a Santiago e altrettanti in tutto nel paese nel giorno dello sciopero nazionale, 25 persone uccise e migliaia di feriti e arrestati, ma alla fine il presidente cileno Sebastian Piñera è costretto alla resa e a sciogliere il governo.

Lo spartiacque della rivolta contro il governo di Piñera è avvenuto nella giornata di venerdì 25 ottobre quando oltre un milione e mezzo di persone a Santiago e altrettante almeno in tutto il paese hanno partecipato a quella che è diventata una giornata storica: “la marcha más grande de Chile”, auto convocata con un tam tam sui social, è stata la più grande marcia di protesta dal ritorno alla democrazia. Il messaggio arrivato dalla piazza è inequivocabile, ed è la delegittimazione dal basso del governo di Piñera e di trenta anni di politiche capitaliste di sfruttamento e di spoliazione.

 Difficile non prendere in considerazione la determinazione di oltre tre milioni di persone, su un totale di 18 milioni di tutto il paese, che hanno resistito per una settimana alla violentissima repressione, al coprifuoco e allo stato d’emergenza, agli abusi, alle torture, ai proiettili sparati ad altezza d’uomo e al goffo tentativo dei media mainstream di occultare quanto stava accadendo nelle strade del paese.

E infatti, il giorno successivo alla storica mobilitazione, il presidente Piñera ha avuto parole positive per la grandissima manifestazione che ha delegittimato lui e il sistema sociale, economico e repressivo che rappresenta, ha ammesso di aver ricevuto il messaggio e di essere disposto a cambiare: in un disperato tentativo di salvare il salvabile, la sua poltrona in primis, ha fatto togliere il coprifuoco nelle principali città, annunciato che da domenica sarà annullato anche lo stato d’emergenza e ha inoltre chiesto a tutti i sui ministri di dimettersi per permettere di costruire una squadra di governo capace di dare risposte concrete alle richieste dei cittadini cileni, in particolare di più giustizia sociale e meno disuguaglianza.

La mossa di Piñera tuttavia sembra più il tentativo di guadagnare tempo che di reale convincimento della necessità di un cambiamento radicale. Proporre un nuovo corso del suo governo, negli intenti del presidente, potrebbe voler dire cercare di sopravvivere sperando che col tempo la rivolta perda la sua potenza esplosiva e permettergli dunque di restare al potere garantendo alle élite che rappresenta di perpetuare un sistema dove questa minoranza è padrona di più dell’80 per cento del paese e la maggioranza è costretta a sopravvivere e a lavorare duramente. Inoltre, lunedì è previsto l’arrivo della delegazione dell’ONU che indagherà sulle violazioni dei diritti umani e un clima sociale più disteso è ciò di cui ha bisogno il governo per offuscare il terrorismo di stato di cui è responsabile. Che faccia tutto parte di una strategia lo si evince anche dal fatto che, anche nella giornata di sabato, sono continuate le operazioni di repressione delle proteste. Sono stati segnalati casi gravi a Concepción, a Ñuñoa e in altre città, dove pacifici “cacerolazos” sono stati aggrediti senza motivo dalle forze armate. E anche a Santiago la situazione non è certo migliorata. Dopo le dichiarazioni del presidente è ripartito il tam tam social e sotto lo slogan “esto no ha parado” (non è finita), sono ripartite le manifestazioni: Plaza Italia si è riempita nuovamente di persone e ancora una volta sono intervenuti i blindati con gli idranti per disperdere i manifestanti.

Stessa situazione successa anche domenica a Valparaiso, dove una grandissima manifestazione pacifica composta anche da famiglie è stata brutalmente repressa con gas lacrimogeni dalle forze armate e ha provocato numerosi feriti, mentre a Iquique e Antofagasta sono state denunciate retate illegali ai danni di studenti

Quello che Piñera fa finta di non capire è che il cuore del problema è proprio lui ed è proprio la sua testa, metaforicamente parlando, che richiede la piazza, quale simbolo di questi ultimi trent’anni di neoliberismo sfrenato e di continuità con la dittatura pinochetista. Le richieste del movimento sono chiare: innanzitutto la creazione di un’Assemblea Costituente che metta in cantiere una nuova Costituzione, al posto di quella vigente, eredità dell’era Pinochet. E poi, come detto, la testa di Piñera, che nel suo discorso ha totalmente omesso e occultato le proprie responsabilità nella repressione e nell’instaurazione dello stato di polizia: 25 morti, 3000 persone arrestate e almeno 2000 feriti secondo l’ultimo bollettino dell’Instituto Nacional de Derechos Humanos, senza contare le migliaia di denunce di abusi, violenze e torture, sono un costo che la popolazione non è disposta ad accettare e ora ne chiede conto al presidente.

Questo movimento popolare e sociale senza una forte rappresentanza organizzata dunque non si arrende. Non bastano le parole conciliatrici e manipolatrici del presidente a sedare un malcontento che, come ricorda lo slogan “no son 30 pesos, son 30 años, ha radici profonde. Lunedì è stato autoconvocato dal basso un altro “cacerolazo” e martedì il secondo sciopero generale. La piazza rilancia, «qui l’unica paura è che tutto torni alla normalità», ci racconta un’attivista italiana di Radio Placeres che ha condiviso con noi ciò che sta succedendo in questi giorni. La rivolta continua perché la popolazione cilena vuole riprendersi “el derecho a vivir en paz”, come cantava Victor Jara, la cui canzone oggi accompagna questa lotta di resistenza e di speranza per tutti.