Non c'è niente da fare. Il presidente cileno Sebastián Piñera,
il primo della vecchia-nuova destra ad essersi insediato nel marzo 2010
al palazzo della Moneda per via democratica dopo 20 anni di (deludenti)
governi di centro-sinistra, sarà pure un ex o post pinochettista come
cerca di presentarsi. Ma subito dietro il sorriso a 24 denti da
«moderno» democratico liberal-liberista nasconde il ghigno della destra
dura e pura che in Cile ha assunto storicamente i connotati cavernicoli
che trovarono il loro interprete più perfetto nel generale Augusto
Pinochet.
Pinochet è uscito 20 anni fa dalla Moneda e 5 anni fa da questo mondo (è morto sfortunatamente nel suo letto, senza mai essere stato condannato per i misfatti), ma il Cile «democratico» è ancora impregnato del «pinochettismo». Non solo in economia, dove le fondamenta sono sempre quelle gettate dai vecchi Chicago boys friedmaniani (intatte anche se ritoccate con qualche spruzzo di «economia sociale di mercato») e dove esibisce tassi di crescita del 7% l'anno (dati 2010). Ma anche in poltica, dove la protesta e le manifestazioni di studenti di 15 o 20 anni che chiedono un sistema scolastico meno infame viene equiparata al «disordine sociale», alla rottura «dell'ordine pubblico e delle norme che valgono per tutti i cileni», come ha detto il ministro alla presidenza Andrés Chadwick (altro pinochettista di lungo corso) o addirittura al terrorismo, come accade per gli indigeni mapuche del sud cileno che rivendicano i loro diritti sulle terre, contro i quali viene usata a piene mani la «legge anti-terrorista» voluta da Pinochet e mai più ritoccata in 20 anni di democrazia.
Giovedì a Santiago e in altre
città cilene è stato un massacro: caccia all'uomo (spesso al bambino:
molti dei manifestanti avevano sui 15 anni) dei carabineros, cariche,
manganellate, lagrimogeni, getti d'acqua irritante, arresti. A fine
giornata e in nottata gli arresti erano 874, secondo il sottosegretario
Rodrigo Ubilla. E per martedì i vari organismi studenteschi hanno
confermato un altro «sciopero nazionale».
Gli studenti delle
secondarie e delle università, i professori sono da tre mesi in
mobilitazione permanente. Lo erano anche prima, quando alla Moneda c'era
la popolare e dialogante socialista Michelle Bachelet, ma neanche lei
seppe o volle fare molto per soddisfare le sacrosante domande degli
studenti. Però, almeno, la risposta delle «autorità» non era così cieca,
violenta e brutale come adesso che la destra è tornata al potere. E
neanche così stupida e provocatoria da impedire a manganellate il
diritto elementare di sfilare nelle vie della città per manifestare.
Giovedì
il centro di Santiago sembrava tornato quello di quando c'era Pinochet,
«una città in stato d'assedio». Erano in programma due manifestazioni
che dovevano partire dalla Plaza Italia, luogo storico d'incontro dei
cileni per celebrare eventi politici e sportivi, e di lì dovevano
scendere per la Alameda, la grande avenida che fende il centro della
città e arriva a un certo momento alla piazza dove sorge la Moneda.
Piñera e il suo ministro degli interni, Rodrigo Hitzpeter, hanno pensato
bene di proibirle in quanto avrebbero «alterato l'ordine pubblico» e a
mo' di dissuasione - che poi è risultata una provocazione - hanno
dispiegato in strada più di mille carabineros. Che hanno cominciato a
picchiare non appena sulla piazza hanno cominciato a confluire i primi
gruppi di studenti e professori, e anche - una novità di cui bisogna
ringraziare l'ottusità del governo - semplici «cittadini» che battevano
sulle pentole (i «cacerolazos»). E' stata una battaglia durata fino a
notte fonda e, come ha rilevato ieri Camila Vallejo, la leader della
Federazione degli studenti universitari divenuta mondialmente famosa per
il fatto di essere «tosta, bella e anche comunista», il ministro degli
interni «è riuscito a ottenere esattamente l'opposto di quello che
voleva e cioè garantire l'ordine pubblico e la sicurezza». Camila e gli
altri ieri hanno chiesto le dimissioni di Hitzpeter che «deve rispondere
di una repressione che ha violato i nostri diritti costituzionali, come
il diritto di tutti noi cileni di riunirci e manifestare».
Gli
studenti chiedono da mesi una riforma profonda del sistema pinochettista
d'educazione, un sistema iniquo e classista (secondarie non statali ma
municipali e quindi di scarsissima qualità, salari da fame a maestri e
professori, università private a salatissimo pagamento e con nello
statuto perfino l'obiettivo di «fare profitti»). Piñera non vuole
toccare nulla di sostanziale e pensava di spegnere la protesta con un
finanziamento di 4 miliardi di dollari e un pacchetto di proposte in 21
punti che studenti e professori hanno già respinto sfidando il governo a
presentare proposte più serie entro i prossimi 6 giorni.
Piñera, la
cui popolarità sta cadendo a precipizio (26% si approvazione, 53% di
rifiuto), è sotto il tiro dei settori ultrà della destra e, con la mano
dura, ha voluto far vedere da avere la situazione sotto controllo. Si è
sbagliato.
di Maurizio Matteuzzi