l 20 maggio, Chen Guangcheng, l’attivista cieco cinese, è arrivato con moglie e figlie a New York, dove è stato accolto dall’amministrazione americana e dall’Università di New York, che gli ha offerto un posto come ricercatore. Il volo di tredici ore che separa l’aeroporto di Pechino da quello di Newark, nel New Jersey, sembrano aver messo fine alla sua saga personale e politica.
Chen
Guangcheng è il noto avvocato e attivista cieco che per anni ha
denunciato gli abusi subiti da molte donne cinesi, costrette ad abortire
a causa della politica del figlio unico. Per aver sfidato le autorità
era stato costretto agli arresti domiciliari nel piccolo villaggio di
Dongshigu, nella regione dello Shandong, dove sembra avesse subito
violenze e torture per mano di funzionari di Partito.
Questa
situazione è andata avanti per 18 mesi, un anno e mezzo, finché l’uomo
non è riuscito a fuggire da casa e ha trovato rifugio presso
l’ambasciata americana a Pechino. Il caso si è così trasformato in un
grattacapo diplomatico sia per la Cina sia per gli Stati Uniti.
Secondo quanto racconta il South China Morning Post,
nella conferenza stampa che è seguita al suo arrivo negli States, Chen
ha ringraziato Washington dicendosi “grato alle autorità americane per
l’assistenza ricevuta dall’ambasciata”. Il quotidiano di Hong Kong
riporta che Chen ha avuto parole accomodanti anche per il governo
centrale cinese. “Sono molto felice che il governo cinese sia rimasto
moderato e calmo nel trattare il mio caso” ha detto, aggiungendo di
essere grato “per aver ricevuto dal governo centrale la promessa di
proteggere i miei diritti di cittadino sul lungo periodo”.
Sempre secondo il Scmp
Chen sarebbe disposto a tornare in Cina. Ai giornalisti avrebbe solo
letto una frase preparata per l’occasione: “Uguaglianza e giustizia non
conoscono confini”.
Secondo il Guardian, dietro a tanta gratitudine si nasconderebbe la preoccupazione per i suoi famigliari ancora in patria e quindi esposti a possibili ritorsioni. Il quotidiano britannico scrive che Chen “è stato anche attento a ringraziare il governo cinese, sapendo che il benessere dei suoi parenti potrebbe essere influenzato dai cambiamenti della leadership nel Partito comunista. Ha invece criticato le autorità regionali dello Shandong per anni di persecuzione, inclusi diciotto mesi di arresti domiciliari, pestaggi e molestie ai suoi famigliari”. In passato, infatti, gli attacchi alle persone vicine all’attivista non sono mancati. Sempre secondo quanto riportato dal Guardian, il fratello di Chen “venne incatenato ad una sedia e picchiato per tre giorni. Il suo avvocato e amico Jiang Tianyong fu colpito così forte dai funzionari della sicurezza dello Stato da perdere l’udito”.
Il Global Times – la voce in inglese dell’ala più nazionalista del Partito – ha invece ridotto la questione a un comune conflitto locale esagerato dai media occidentali. Il quotidiano scrive in un articolo che “il dramma su Chen è come una bolla colorata. Una volta esplosa, non ne rimane nulla. Se viene menzionato per provare che il sistema giudiziario della Cina è imperfetto, si tratta di uno sforzo superfluo. Se viene usato per provare che il sistema giudiziario sta peggiorando, è un tentativo inutile. La Cina ha un sistema legale incompleto ma in fase di miglioramento. Questo è un fatto che nessuno può negare.”
Dossier Chen Guangcheng
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