Cina - La strage di Kunming e la "sicurezza" incerta

Quel che è successo in Yunnan aumenta il senso di incertezza interna

3 / 3 / 2014

E’ di almeno 29 morti e 130 feriti l’ultimo bilancio dell’attacco all’arma bianca avvenuto il primo marzo alla stazione ferroviaria di Kunming, capitale provinciale dello Yunnan, nel sud est della Cina. Secondo le notizie diffuse dall’agenzia ufficiale Xinhua, il commando era composto da otto persone, sei uomini e due donne. Quattro sarebbero state uccise e quattro arrestate. A guidarle un uomo identificato come Abdurehim Kurban. Secondo le autorità, tutte le prove indicano il coinvolgimento dei separatisti uiguri del Xinjiang.

Parliamo dell’accaduto con Angela Pascucci.

Come si può leggere questo fatto drammatico avvenuto in una delle regioni al confine della Cina?

Il fatto che sia accaduto lì mi colpisce e rende complicata la lettura. Lo Yunnan (che si trova al confine con diversi paesi del sud est asiatico come il Vietnam, il Laos e la Cambogia) è una delle regioni a più forte concentrazione di minoranze etniche cinesi. Ce ne sono 25 sulle 56 che complessivamente conta la Cina. E' un luogo riconosciuto di convivenza pacifica. Se davvero l'attentato fosse stato compiuto dagli indipendentisti uiguri del Xinjiang, come afferma il governo cinese, sarebbe o un controsenso o una barbarie aggiuntiva. Perché probabilmente la maggioranza delle vittime potrebbe appartenere ai gruppi di minoranza e non ai detestati han, la maggioranza etnica che domina demograficamente la Cina.

A mio avviso questo è un elemento che, insieme all’efferatezza dell’assalto, rende complessa la vicenda. In ogni caso una rivendicazione non c'è stata (anche se i comunicati ufficiali parlano di ritrovamenti di vessilli e bandiere con la scritta Turkestan orientali). Tutti gli ultimi attentati hanno una caratteristica assai singolare: vengono accusati gli uiguri, come quello che alla fine di ottobre ha visto un suv carico di combustibile andare a fuoco ed esplodere in Piazza Tiennamen, ma non ci sono mai rivendicazioni. Il governo punta subito il dito dopo di che non da più informazioni, o dettagli su cosa sia davvero successo e a cosa abbiano portato le indagini.

Ora che il governo abbia un problema con gli uiguri, e più in generale con le minoranze etniche del Xinjiang è innegabile: da qualche mese è una striscia di sangue continua che esce da quell'area. Da ottobre in poi, ogni mese ci sono stati assalti ai commissariati, attentati, scontri con la polizia che stava compiendo arresti. Non meno di una decina di morti ogni volta. Il Xinjiang (che significa Nuova Frontiera) è una regione di confine, a ridosso dell'Asia centrale e di zone caldissime che stanno vivendo fibrillazioni per le scosse che arrivano anche dal Medioriente. I cinesi sono sul chi vive anche perché la regione, con la questione islamica aperta e l’eventuale tracimazione di forze qaediste, serve da cuscinetto strategico. Ma è anche un’area cruciale dal punto di vista delle risorse, del gas, del petrolio.

Si può dire che la tensione ha portato le autorità cinesi a una stretta violenta nei confronti degli uiguri che certo non è giustificabile e che può tuttavia spiegare un’eventuale reazione altrettanto violenta da parte dei gruppi indipendentisti. Anche se, ripeto, da un punto di vista puramente giudiziario e garantista nessuno ha mai assistito a un processo contro imputati di terrorismo. Questo per quanto attiene alla questione della stabilità di tutti i confini cinesi in agitazione.

Dopo di che possiamo anche rilevare che da quanto è accaduto emerge una cruciale questione interna: se io fossi un cinese mi chiederei perché per 12 minuti un commando di otto persone mascherate di nero ha potuto compiere una strage di quella portata senza che fossero bloccate prima dalle forze di polizia di un paese che ormai spende in sicurezza interna non meno di 120 miliardi di dollari l'anno (un po’ più di quanto viene ufficialmente stanziato per le spese militari).

Se fossi un cinese mi chiederei a questo punto cosa mi viene garantito mentre sono da una parte schiacciato da un regime che ha messo in piedi un’impalcatura di sorveglianza capillare dal punto di vista del controllo personale e che però al tempo stesso mi lascia in balia di un insicurezza così profonda, tanto che i terroristi riescono a cogliere sempre un punto di debolezza del sistema, prendono sempre di sorpresa le forze di sicurezza. Peraltro in momenti topici, quando l’allerta è massima. Infatti la Cina è alla vigilia della riunione plenaria annuale dell’Assemblea del popolo. Un parlamento non certo di stampo occidentale, ma i cui lavori rappresentano un momento forte della ritualità istituzionale cinese.

Se poi allarghiamo lo sguardo, ci rendiamo conto che il cinese medio vive una fase accelerata di cambiamenti fortissimi, quindi anche di grande incertezza dal punto di vista personale, sottoposto a un sistema di sorveglianza pervasivo che lo colpisce nel momento in cui esce dal percorso tracciato, e al tempo stesso però consegnato a tutta una serie di insicurezze quotidiane fortissime che attengono sia alle violenze terroristiche, come quella avvenuta a Kunming, sia a una serie di insicurezze, e carenze, materiali.

Così, se osserviamo le cronache cinesi, vediamo che uno degli argomenti di cui molto si discute, e accesamente, sono le aggressioni al personale ospedaliero. Assalti all'arma bianca riguardano anche i medici e gli infermieri che vengono aggrediti talvolta a coltellate dai pazienti, o dai loro parenti, imbufaliti per l’insoddisfacente livello delle cure, per i loro costi, per le carenze delle strutture sanitarie.

Non voglio mettere in parallelo la strage all’arma bianca alla stazione di Kunming e le aggressioni negli ospedali, dico che però la maggioranza dei cinesi si trova stretta in morse assolutamente insopportabili.


03.03.14 Intervista a Angela Pascussi su Kunming

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