Cina - Le stanze segrete del potere

Che succede ai vertici della Repubblica Popolare? l’«incidente di Chongqing», l’evento politico più importante dopo il 1989, ridotto a scandalo e pettegolezzo.

1 / 5 / 2012

La data del 15 marzo sarà d’ora in poi ricordata come il giorno che ha segnato la fine del «modello Chongqing». Non è frequente che gli esperimenti condotti da un governo locale influenzino l’intera nazione e suscitino discussioni su scala mondiale. Né accade così spesso che la rimozione di un dirigente locale scateni una tale bufera nella sfera politica. Alcuni osservatori ritengono che l’«incidente di Chongqing» sia l’evento politico più importante dopo il 1989 e molti concordano.

Dalla vicenda di Wang Lijun in poi, le dicerie non si sono più arrestate, anzi sono proliferate a causa dell’intervento del Premier alla conferenza stampa di chiusura della Doppia Assemblea (1): le storie si sono moltiplicate a valanga man mano che circolavano. Ne sono emerse due interpretazioni interscambiabili: la prima enfatizza il carattere politico della vicenda e riconduce quanto è successo a Wang Lijun a un conflitto di linea; il suo acme coincide con l’analogia di Wen Jiabao fra l’esperimento di Chongqing e la Rivoluzione Culturale. La seconda interpretazione ricostruisce l’ «affaire Chongqing» a partire da una fuga di notizie più o meno volontaria: l’affaire non sarebbe di natura politica né riguarda un conflitto di linea bensì si riduce a un semplice caso di violazione della legge da parte di una specifica leadership locale. (…) Il 10 aprile sul twitter cinese, Weibo, si è diffusa una «diceria» che poi si è rivelata corretta ossia che quella sera le autorità avrebbero fatto un annuncio importante. Dal notiziario notturno delle 11 si è poi appreso che Bo Xilai era stato rimosso dal Comitato Centrale e dal Politburo del Pcc e che la moglie di Bo, Gu Kailai, era agli arresti perché si sospetta un suo coinvolgimento nell’omicidio dell’uomo d’affari inglese Neil Heywood. Riguardo a quest’ultimo, l’opinione ufficiale lo descrive come un semplice businessman, mentre dall’Inghilterra è giunta voce che lavorasse per i servizi segreti.

L’ «incidente di Chongqing» è collegato alla corruzione di funzionari locali? Che informazioni sensazionali saranno divulgate per effetto della «lotta alla criminalità»? L’omicidio è legato a qualche altro mistero? A noi non è dato sapere. Dal momento che Cina e Stati uniti hanno mantenuto il segreto sui fatti, l’interazione fra i media stranieri e la rete cinese ha portato all’estremo le voci, che nessuno è in grado di valutare. Tuttavia una caratteristica di questa vicenda è che buona parte dei «pettegolezzi» sono poi risultati veri. Persino i sostenitori dell’esperimento di Chongqing diffìcilmente potrebbero giurare che non è accaduto alcunché di illegale o che la corruzione non c’entra. Quanto all’omicidio, di cui le autorità non hanno ancora rivelato i dettagli e il cui annuncio pubblico ha assunto l’aspetto di un’importante decisione politica nessuno può metterne in dubbio la veridicità.

Nella Cina di oggi, del resto, illegalità e corruzione sono pervasive: colpire il proprio avversario politico accusandolo di essere un corrotto non è certo un’originale strategia segreta. Se pure Bo Xilai, noto per la sua lotta al crimine, è coinvolto in un crimine così grave, la situazione della società cinese, specialmente la corruzione dei funzionari, sarebbe davvero preoccupante. Ma il punto che vale la pena indagare non sta qui, sta nelle ripercussioni che la vicenda ha avuto sulla società, sta nella bufera politica e nell’interazione tra le forze interne e esterne del paese, e nelle complicazioni che da queste possono scaturire. Se paragoniamo tutto ciò alla caduta dell’ex segretario del Pcc di Pechino Chen Xitong (1995), e a quella del segretario del Pcc Chen Liangyu, a Shanghai (2006), noteremo che il caso attuale ha un’innegabile qualità politica mentre i primi due furono soprattutto il risultato di un mero scontro di potere. Inoltre nessuno dei due casi implicò il coinvolgimento dell’Occidente. Forse, sia la strenua negazione, sia l’affermazione unilaterale della natura politica di questo incidente rappresentano due atti necessari di questo dramma della politica e l’uno non è affatto in contraddizione con l’altro. Il caso è troppo teatrale – e troppo misterioso.

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La logica della politica delle stanze segrete

L’esperimento di Chongqing si inserisce nel quadro delle istituzioni politiche e del modello di sviluppo (volto ad attrarre gli investimenti stranieri e export-oriented) già esistenti in Cina. È stato condotto senza un piano predeterminato ma ha coinvolto organismi di governo e di partito locali, una larga partecipazione di massa e discussioni pubbliche fra intellettuali. Le riforme economiche, politiche e sociali nella pratica hanno subito ripetuti aggiustamenti e sono tuttora in via di definizione. Il fatto stesso che sussistano diverse e contrastanti opinioni sulle riforme e sulla loro applicazione dimostra che il processo che le ha prodotte rappresenta una sorta di politica pubblica un esperimento democratico aperto alla partecipazione delle masse. Da quando è iniziato il periodo di riforma e apertura nel 1978 non si era forse mai vista una riforma sperimentale di tale portata condotta in modo tanto aperto. Questo è un dato di fatto che i problemi di un particolare leader – quali che siano -non possono modificare.

Al contrario, l’«incidente di Chongqing assomiglia a un dramma teatrale delle segrete stanze del potere. L’Assemblea nazionale del popolo sarebbe stata il luogo più appropriato per discutere pubblicamente di tutta la questione: se le dimissioni di Bo Xilai dipendono o no da un grave reato, commesso da lui o dalla sua famiglia se esistono diversi punti di vista sul modello Chongqing e se oltre all’esperimento sociale condotto alla luce del sole non sussistesse anche un livello segreto. È accaduto l’opposto. Stando ai resoconti dei media durante l’Assemblea, la mattina del 3 marzo, il membro del Comitato Permanente del Politburo e segretario della commissione centrale per l’ispezione disciplinare He Guoqiang si è recato in visita alla delegazione di Chongqing ed è stato accolto calorosamente daBo Xilai e dal sindaco di Chongqing, Huang Qifan. Il giorno 8, il membro del Comitato Permanente del Politburo e segretario della commissione politica e legislativa Zhou Yongkang ha partecipato alle deliberazioni dei delegati di Chongqing durante la quinta sessione dell’XI Assemblea Nazionale. Il 9, durante l’incontro aperto alla stampa Bo Xilai e Huang Qifan hanno risposto per circa due ore alle domande dei giornalisti. Ma nel pomeriggio del 14 marzo, in occasione della conferenza stampa di chiusura dell’Assemblea, l’ultima domanda fatta dall’inviato della Reuters ha provocato una risposta preconfezionata sulla situazione di Chongqing. Questo induce a pensare che in quel momento le discussioni sulla questione durante l’Assemblea facevano parte di un gioco politico premeditato volto a costruire una facciata che consentisse ai lavori dell’Assemblea di procedere «in armonia».

Alle 9 del mattino del 15 marzo il «Portale del Popolo» gestito dal Quotidiano del Popolo annuncia via microblog un’imminente «notizia importante» (una tattica già adottata per Wang Lijun); alle 10.03 appare su Weibo il comunicato dell’agenzia Xinhua riguardante le dimissioni di Bo Xilai. In seguito, i server di alcuni siti della sinistra vengono bloccati per 5 giorni di fila mentre ai personaggi di sinistra più attivi su Weibo viene impedito di esprimersi. Un giornalista dell’edizione cinese del Financial Times commenta: «Quel che è successo nei due giorni successivi al 14 marzo, a partire dalle 13.45, si riassume nell’espressione colpo di stato». Il giorno 15, prima dell’alba il capo del Dipartimento per l’Organizzazione del Pcc Li Yuanchao, insieme al vicepremier Zhang Dejiang (designato a sostituire Bo Xilai come capo del Partito, ndr), atterra a Chongqing, dove dà l’annuncio dell’ «incidente» alla popolazione della città col fare di chi sta gestendo un’emergenza. Quanto è seguito a Chongqing ha richiamato alla mente l’atmosfera dopo la misteriosa morte di Lin Biao nel 1971 (2). Ma se anche si scoprisse che, alle spalle dell’esperimento sociale condotto alla luce del sole, i funzionari di Chongqing praticavano una «politica delle stanze segrete», il problema andrebbe comunque affrontato in modo aperto. Se le «stanze segrete» soffocassero la politica pubblica entrerebbe in crisi la legittimità del sistema politico.

La manipolazione della «realtà» caratterizza la politica delle segretezza. Quando questa destituisce la politica aperta, le questioni di ordine politico diventano mere questioni di potere. Si isola completamente il diretto interessato, si rilasciano o si fabbricano notizie in base alle necessità politiche correnti e poi si diffondono attraverso canali appositamente scelti. È così che il potere alla base di tutto mantiene lo spazio per la manipolazione e il controllo. Dopo che era emerso il caso di Wang Lijun, non sarebbe stato difficile gettare un po’ di luce su quello che, secondo la dicitura ufficiale, era un «caso isolato» e chiarire gli eventi pubblicamente. Stranamente però le fonti statunitensi hanno scritto della vicenda in toni blandi mentre i media cinesi hanno mantenuto un assoluto riserbo. Le voci hanno iniziato a diffondersi dentro e fuori i confini del paese con segni di cospirazione ovunque. Quando domina la politica delle stanze segrete, la realtà non esiste più, eccezion fatta per la realtà creata dalla politica suddetta. La diceria offre uno spazio d’azione a questo tipo di politica: ne è il portato e al contempo la precede, pubblicizzandola.

Le dicerie che sono giunte ai nostri orecchi comprendono: gli episodi di corruzione nella famiglia di Bo Xilai, lo scontro di potere fra Bo e Wang Lijun, il colpo di stato ordito da Bo e Zhou Yongkang (il membro del comitato permanente responsabile della sicurezza nazionale, ndr) e il possibile nesso fra la misteriosa scomparsa del businessman inglese a Chongqing e Bo Xilai e Wang Lijun. Questo clima si è protratto sino al 10 aprile, quando, sotto la spinta di un’opinione pubblica incredula, il governo centrale ha diramato la notizia dell’espulsione di Bo da tutte le cariche e della grave accusa che pende sul capo della moglie. Parallelamente, i media ufficiali hanno lanciato una campagna contro i «pettegolezzi». Tuttavia, possiamo aspettarci ancora molte altre dicerie d’importazione che saranno vendute sul mercato locale, perché l’annuncio ufficiale del governo comprova quelle che prima erano soltanto «voci».

In tutta questa vicenda le dicerie sono servite a buttare ulteriore benzina sul fuoco e il loro prendere forma assume diversi aspetti:

a. Il governo cinese isola la persona in questione (Wang Lijun) dalla società e rifiuta di dare un resoconto sulla sequenza degli eventi; la parte americana (Dipartimento di stato e ambasciata) dà solo un resoconto superficiale (Wang aveva già fissato l’appuntamento in consolato e ne è uscito di sua spontanea volontà), salvo poi trasformare l’episodio in un incidente «gravissimo», dalle «pessime conseguenze». Il divario fra l’embargo sull’informazione e le decisioni politiche effettive rappresenta il miglior terreno di coltura per il pettegolezzo politico.

b. I principali organi d’informazione di partito (il Quotidiano del Popolo, la Cctv) e quelli secondari (come il Gruppo dei media del sud che si autodefinisce liberal) si sono coordinati perfettamente per costruire una facciata di «politica dei fatti» innalzando slogan come democrazia, libertà e apertura. Il leitmotiv non si discosta affatto dalla retorica della conferenza stampa di Wen Jiabao : «il risveglio del popolo», «riforma e apertura» e «democrazia politica». Questi trucchi retorici riflettono la manipolazione della «realtà» da parte della politica della segretezza – una «realtà» pesante, che non può essere resa subito di pubblico dominio.

c. Mentre i siti della sinistra venivano chiusi o oscurati, i media stranieri e persino quei «siti nemici» che di solito sono bloccati (come ad esempio il sito del Falungong) all’improvviso sono divenuti visibili fungendo da cassa di risonanza per le «voci» da far fluire in Cina, presentate come segreti rivelati e quindi ammantate di un alone di verosimiglianza o di parziale verità. L’attuale politica delle stanze segrete ha i tratti caratteristici dell’era dell’informazione globale: la fabbricazione dei pettegolezzi politici avviene grazie alla interazione concertata fra politici cinesi e statunitensi e i media nazionali e intemazionali (che includono tanto i media mainstream quanto la rete). Non si tratta qui degli usuali fabbricatori di voci. Difficilmente troveremo delle discrepanze nelle versioni fornite dal New York Times, dal Financial Times, dal Wall Street Journal o dall’Epoch Times. È anche difficile distinguerle dalle fonti cinesi, coi loro titoli allusivi. Ma il fulcro della questione è la manipolazione delle voci: come le si crea e le si distrugge, come le si usa, come si pesca in acque torbide. È questa l’opera di un unico potere in grado di manovrare tutto, o viceversa sono più poteri che agiscono di concerto per un unico fine?

d. Tramite una serie di manovre -la conferenza stampa del premier, i comunicati del governo centrale, il forte rimpasto del personale e le dichiarazioni sulla gravità della vicenda – ciò che prima era stato definito un «incidente isolato» è divenuto un evento politico di primaria importanza. Stando al discorso di Wen Jiabao, nella riforma di Chongqing si presagiva un possibile ritorno alla tragedia della rivoluzione culturale, e questa altro non è che una sentenza politica pronunciata in anticipo. E una sentenza «anticipata», perché la profezia di un remake della rivoluzione culturale è ben lungi dall’avverarsi e il verdetto si basa su un’accusa ideologica priva di contenuti; d’altro canto è una sentenza «politica» perché ha fatto sì che il «caso isolato» di Wang Lijun assurgesse al rango di lotta politica fra due linee. La sentenza significa insomma che in Cina non può esistere una vera politica, una politica aperta e pubblica, ma può darsi solo una politica confinata nelle stanze segrete – una politica manovrata dal potere – la quale abolisce il confronto aperto fra linee politiche e pratiche sociali. La rivoluzione culturale ha qui una portata simbolica studiata.

e. Il discorso del premier durante la conferenza stampa ha avuto un enorme impatto sull’opinione pubblica. Dopo una prima fase in cui si è sottolineata la valenza politica degli avvenimenti, il governo ha cambiato strategia, attenuando i toni politici e rimarcando la violazione della legge da parte di Bo e della sua consorte. Attualmente quella di Chongqing non è più una vicenda politica, ma un caso giudiziario con dei risvolti complessi. Tutti noi conosciamo già gli sviluppi recenti: i media britannici hanno pubblicato la notizia dell’assassinio dell’amico di famiglia di Bo Xilai, Neil Heywood, poi le autorità cinesi hanno dichiarato che la moglie di Bo è sospettata e Bo è stato rimosso dalle sue cariche in quanto potenzialmente coinvolto. Due giorni prima di quest’annuncio, il sito di Utopia e altri siti della sinistra cinese sono stati chiusi perché «violano la costituzione, attaccano i dirigenti e fanno commenti sconsiderati sull’ organizzazione del XVIII Congresso». La chiusura dei siti di sinistra era ovviamente il preludio all’annuncio e mirava a prevenire le possibili discussioni in rete. Dal momento che nessun verdetto è noto al pubblico e quel poco che si sa si limita alle stringate dichiarazioni ufficiali, una nuova ondata di dubbi ha travolto Weibo.

L’effetto di questa politica è rilasciare un’informazione selettiva. Un articolo del Financial Times si rallegra dopo il 15 marzo affermando: «Nel 2012, la spessa e alta cortina che avvolgeva i governanti della Cina non è più così impenetrabile». Ma questa cortina non è mai stata del tutto impenetrabile: in risposta ai gravi problemi sociali e politici che emergono di continuo, nella società cinese è sempre esistito un dibattito pubblico, ampio, benché sottoposto a un costante controllo. Inoltre in certi momenti lo stato lasciava trapelare le notizie. Proclamare che ora la cortina «non sia più così impenetrabile» legittima la politica della segretezza e ne conia un’immagine di «apertura», che di fatto ribadisce un’idea sbagliata sulla Cina. Questa affermazione non solo fraintende quel che sta accadendo ma fa passare per «illuminata» una nuova decisione arbitraria. Oggi, il vero problema non è dire sì o no alla riforma, né è dire sì o no alla democrazia, ma è se vogliamo una politica pubblica o una politica delle stanze segrete, se vogliamo soddisfare il bisogno della società di conoscere i fatti per quello che sono o se preferiamo la «realtà» confezionata nelle stanze segrete della politica. Questo principio «è chiaro a tutto il popolo», mentre coloro che spargono in giro voci sulla caduta del «più pericoloso» avventurista non ne sanno alcunché.

La creazione di un precedente politico per un nuovo round di riforme neoliberiste

Si adopera la politica delle stanze segrete per reprimere la politica pubblica e al contempo ci si para dietro alla scusa di una nuova, ulteriore riforma per legittimare la repressione. È solo un’altra scena di un dramma iniziato nel 1989. A prescindere dall’eventuale fondatezza delle accuse rivolte a Bo e a sua moglie, il risultato voluto del’attuale manipolazione della politica è un’atmosfera politica repressiva che ha lo scopo di far passare le riforme neoliberiste che la popolazione aborre. Proprio per questa ragione, in un primo momento si è sottolineata la portata politica dell’incidente, per modificarla non appena l’opinione pubblicasi è infiammata.

L’attuale congiuntura cinese è paragonabile a quella del 1989: allora, erano falliti i due tentativi dell’anno prima di promuovere la «riforma dei prezzi» (3), viceversa il sistema dei contratti di responsabilità imposto dall’alto si diffondeva senza incontrare ostacoli. Il «sistema a doppio binario» aveva favorito la corruzione da rent seeking nei circoli del potere. Le divisioni sociali si acuirono in brevissimo tempo.

La morte dell’ex segretario del Partito Hu Yaobang, deposto alcuni anni prima per la sua indulgenza nei confronti delle manifestazioni studentesche, funse da punto di svolta per la nascita di un movimento di protesta. Inoltre le divisioni intere al Politburo provocarono la perdita del controllo sui media, così si crearono le condizioni per un’ampia mobilitazione sociale. Tuttavia, dopo la repressione violenta del 1989, la «riforma dei prezzi» entrò in vigore senza incontrare più ostacoli e proteste. È un peccato che proprio ora che celebriamo il ventesimo anniversario del «viaggio al Sud» di Deng Xiaoping, nessuno ricordi un dato storico fondamentale: il 1989 fu la necessaria premessa storica al tour di Deng del 1992 e alla successiva accelerazione delle riforme.

Il «viaggio al Sud» lanciò un modello per la promozione del libero mercato, pur sotto il controllo del potere politico, col risultato che le riforme di stampo neoliberista presero piede diffondendosi su vasta scala: la privatizzazione delle imprese statali provocò la crescita massiccia della disoccupazione e una corruzione istituzionalizzata, nel frattempo la riforma agraria subiva una battuta d’arresto, causando così una «triplice crisi agraria» (sannong weijv, triplice in quanto estesa all’agricoltura, ai contadini e alle campagne, ndt). Il sistema del welfare (comprensivo del sistema di copertura sanitaria) subì un processo di privatizzazione, finendo per minare tutte le garanzie sociali. La forbice fra ricchi e poveri, la divisione fra città e campagne e fra regioni, nonché la crisi ambientale rappresentano l’esito delle manovre ispirate al neo liberismo più classico. Per la prima volta nel 2008 il Consiglio di Stato pubblicò le statistiche annuali sugli «incidenti di massa» (tutte le forme di protesta massiccia, dagli scioperi alle rivolte, ndt). Allora ammontavano a 80.000. Oggi sembra che gli incidenti siano arrivati a 180.000, ma le autorità non divulgano più i dati.

Proprio grazie all’esistenza di queste diverse crisi, il vasto dibattito intorno al problema agrario (il cui evento simbolico fu il rapporto di Li Changping nel 2000, «Una lettera al premier») portò alla riduzione delle tasse per i contadini e alla nascita del movimento di ricostruzione delle aree rurali; nel 2003, la Sars fece sì che i nodi della riforma sanitaria venissero al pettine e fossero discussi pubblicamente: alla fine passò una riforma di segno diametralmente opposto rispetto a quella precedente, ispirata al neoliberismo.

Nel 2005, grazie alla contesa pubblica fra l’economista Lang Xianping e l’imprenditore Gu Chujiun si sviluppò in modo inedito un vasto dibattito sulla riforma delle imprese statali e sulle sue conseguenze, che incise sulla regolamentazione della manovra e sul progressivo miglioramento delle condizioni delle aziende di stato (4). Quando le discussioni pubbliche si focalizzarono sulle «tre montagne» (casa, istruzione, sanità ndt), la società cinese richiese a gran voce che ci si interessasse di più al «benessere del popolo» (minsheng). Il Comitato centrale rispose riaggiustando il proprio programma di governo e lo slogan «diamo più attenzione alla giustizia sociale» prese il posto di «prima l’efficienza, poi l’equità» degli anni ‘90. Negli ultimi anni, l’«attenzione per il benessere del popolo» è diventata un richiamo sempre più insistito nei discorsi del partito. In realtà la capacità di reagire prontamente ai dibattiti della società, l’ascolto delle richieste provenienti dalla base e la conseguente disponibilità a modificare le proprie policies hanno costituito le fondamenta su cui «le nuove politiche di Hu e Wen» hanno costruito la propria legittimità. Una volta chiusa la fase di consolidamento però, la riforma si è arenata; con gli avvicendamenti dei vertici, molte iniziative sono cadute nel vuoto. Nel breve arco di questi ultimi anni, il processo di burocratizzazione delle istituzioni dello stato cinese ha conosciuto una repentina accelerazione.

In netto contrasto con questo trend del governo centrale, le riforme promosse dalle varie amministrazioni locali e la competizione fra i diversi modelli possibili rappresentano invece la vitalità della riforma cinese. Esse hanno acceso una serie di dibattiti pubblici, favorendo la partecipazione popolare e la molteplicità degli esperimenti, e rilanciando lo sviluppo della Cina in un momento di crisi economica globale. Negli ultimi anni, l’attenzione degli osservatori internazionali si è focalizzata su Chongqing, il Guangdong Chengdu, il sud del Jiangsu coi rispettivi esperimenti locali. L’esperimento di Chongqing ha attirato l’interesse in modo particolare. I modelli locali conducono sperimentazioni che sono dei work in progress la cui premessa è l’apertura. Talvolta competono fra loro e talaltra agiscono in sinergia, anche se nella maggior parte dei casi si richiamano e si uniformano l’uno all’altro. E poiché la società ha in sé una forte carica di scontento, per il divario fra ricchi e poveri, fra città e campagna, o fra una regione e l’altra, sempre più persone si sono lasciate coinvolgere nel dibattito sui modelli locali.

Rispetto agli altri, il modello Chongqing ha dato maggior rilievo all’integrazione fra le aree urbane e quelle rurali, alla ridistribuzione della ricchezza ed alla giustizia sociale; inoltre, grazie al tessuto industriale preesistente, lo sviluppo di questo modello ha potuto fare affidamento soprattutto sul ruolo prevalente delle imprese statali. Le case popolari, lo slogan «stato e settore privato avanzano insieme (guojin minjin), l’esperimento del mercato dei land certificates, la strategia per incoraggiare le imprese a produrre per i mercati esteri, sono tutte misure che hanno saputo rispondere in modo più vitale e operativo alle richieste di maggior equità emerse dai dibattiti sulla riforma nella Cina del nuovo secolo. Proprio per questo l’esperimento di Chongqing è diventato materia di discussione fra destra e sinistra, ma viene dibattuto alquanto accesamente anche all’interno della stessa sinistra così come all’interno della destra. Benché non risponda a un modello prestabilito, l’amministrazione di Chongqing ha esposto pubblicamente le proprie posizioni e i propri valori, dichiarando di voler mantenere una coerenza fra questi e la pratica di governo, cosa per cui ha raccolto un duraturo consenso e scatenato molte intense controversie.

Gli esperimenti di riforma di Chongqing coincidono con la crisi del capitalismo globale. Da un lato, Europa e Usa sono precipitate nella crisi finanziaria, sociale e politica e l’esigenza di ripensare il neoliberismo è tale che il tema è stato trattato anche al forum di Davos, avamposto delle politiche neoliberal; dall’altro, le guerre in Iraq, Afghanistan e Libia, la crisi in Medio Oriente e in Nord Africa, nonché i conflitti ai confini della Cina fomentati dagli Stati Uniti, hanno prodotto una sorta di crisi simbolica agli occhi dei cinesi che guardano agli Usa, culla del pensiero neoliberista. L’ideologia neoliberista è sull’orlo del collasso e la nuova generazione si sta scrollando di dosso le illusioni a suo riguardo.

Gli accesi dibattiti sul modello cinese o quello di Chongqing rispecchiano questa svolta. In tale contesto sarebbe impossibile, senza un serio cambiamento della temperie politica, riprendere le riforme neoliberiste che dal 2000, e ancor più dal 2005 in poi, sono state in qualche modo interrotte. Questo genere di atmosfera politica non può essere creata dall’alto. In particolare non può essere creata attraverso il Gruppo dei Media del sud, un tempo in ascesa, ma che oggi sta perdendo la fiducia della gente.

Allo stato dei fatti, risulta difficile stabilire se l’incidente di Chongqing sia riducibile alla dinamica scatenata dalla violazione delle leggi da parte di Bo Xilai o della sua consorte, o se invece abbia un più profondo significato politico. Dacché gli eventi e il loro contesto sono stati occultati in una stanza segreta e restano avvolti nel mistero, ciò che resta è un margine ancor più ampio per le manipolazioni. Quel che è certo, è che la vicenda di Wang Lijun offre su un piatto d’argento l’opportunità di riavviare le manovre neoliberiste. Se la vicenda fosse stata gestita fin dall’inizio alla luce del sole non si sarebbe potuto profilare lo scenario attuale. Ma poiché l’incidente e il suo sfondo sono stati celati e mistificati, si è creato ampio spazio per le manipolazioni politiche (le «voci» sono la conseguenza e al tempo stesso il requisito indispensabile per le manipolazioni).

Il discorso di Wen Jiabao non si è limitato a presentare l’entrata di Wang Lijun nel consolato Usa come un «incidente isolato» che getta un’ombra sull’esperimento Chongqing, ma ha alzato il tono fino a ventilare un ritorno delle tragedie della rivoluzione culturale, richiamandosi alla linea stabilita dal terzo plenum del XI Comitato Centrale del 1978 e alle risoluzioni del Pcc sul problema della storia dando così l’impressione che il modello Chongqing sia stato un enorme errore politico, in quanto ha abbandonato la retta via delle riforme.

Due giorni dopo la notizia dell’incidente, il Centro per lo Sviluppo del Consiglio di stato ha tenuto aPechino un forum ad alto livello nel quale i massimi rappresentanti del neoliberismo cinese, fra cui Wu Jinglian e Zhang Weiying, hanno presentato i loro piani di riforma bloccati da dieci anni: la privatizzazione delle aziende, quella delle terre e la liberalizzazione finanziaria. Piani che sono in assoluta continuità con il rapporto stilato dalla Banca Mondiale in collaborazione con il Centro di sviluppo del Consiglio di stato cinese che Robert Zoellick, presidente dell’organismo intemazionale, è venuto a presentare a febbraio in Cina (5).

La possibile crisi che i piani di salvataggio dei mercati promossi dagli attuali leader mettono in luce viene descritta come una crisi dello stesso sistema statale cinese ed è quest’ultimo il vero obiettivo delle riforme politiche chieste da Wen Jiabao. Una serie di errori politici commessi sotto la sua leadership sono stati interpretati come «problemi di sistema». Così la responsabilità si è trasformata in una scusante. Al contempo, il 18 marzo, la Commissione per lo Sviluppo e la Riforma del Consiglio di Stato ha pubblicato le Opinioni sull’essenziale lavoro di approfondimento della riforma del sistema economico nel 2012, in cui non solo si citano la mobilità dei capitali statali e la loro conversione in titoli azionari, ma si fissano pure le clausole per la privatizzazione, totale o parziale, delle ferrovie, dell’istruzione, della sanità delle telecomunicazioni e delle risorse. Il 12 aprile, sul Quotidiano del Popolo è apparso un articolo a tutta pagina intitolato «Abbiamo cura delle riforme conquistate con il sudore della fronte e, con passo fermo, avanziamo» in cui da un lato si promette la separazione delle aziende di stato dal controllo del partito e dall’altro si elencano i risultati riportati da queste aziende e ci si oppone alla privatizzazione. Ciò preannuncia una ripresa del dibattito sulla riforma del settore statale. Ma dato che quasi tutti i siti della sinistra sono stati oscurati, difficilmente potrà esprimersi una mobilitazione contro il neoliberismo come quella degli anni passati. Questo è il risultato, tutto politico, della campagna antipolitica contro i «pettegolezzi». Per dirla altrimenti, grazie alla vicenda di Chongqing, l’ondata neoliberista mai del tutto scemata potrà ora rimontare con rinnovato impeto: possiamo solo attendere e vedere cosa ne sarà delle vite dei comuni lavoratori e dove ci condurrà la trasformazione dello stato.

La retorica della «rivoluzione culturale» e del «risveglio», e il nichilismo politico

Le pesanti ripercussioni delì’«incidente di Chongqing» sono strettamente legate alla retorica politica usata da Wen Jiabao durante la sua conferenza stampa. Il premier dapprima «ha rilevato» l’atteggiamento prudente della Corte Suprema nella gestione del caso della milionaria Wu Ying (6), per poi suggerire che le riforme di Chongqing potrebbero condurre a un remake della rivoluzione culturale. Le osservazioni riguardanti il caso Wu Ying sono state espresse in linguaggio legalitario per chiedere la revisione di una legge rispetto a un caso individuale. Quelle rivolte al caso Wang Lijun innalzano il «caso isolato» dell’ingresso nel consolato Usa a una replica della tragedia rivoluzionaria. Ricorrendo a una retorica politica speciale per stabilire la natura politica dell’esperimento di riforma di un governo locale.

Analizziamo ancora la straordinaria retorica di Wen Jiabao. Dopo aver riconosciuto i risultati del governo di Chongqing «nelle precedenti sessioni», il tono cambia: «l’amministrazione municipale vigente e il comitato di partito della città devono avviare una riflessione e trarre una lezione dall’incidente di Wang Lijun»; dopo di che, dichiara di «dover dire qualcosa»: «dalla fondazione della Repubblica Popolare in poi, sotto la guida del Partito e del governo, l’opera di modernizzazione del paese ha raggiunto grandiosi risultati. Tuttavia quella che abbiamo percorso è una via tortuosa che contiene delle lezioni. Con il terzo plenum dell’ XI Comitato Centrale (nel quale fu annunciata la politica di riforme e apertura) e in particolare con l’adozione della Risoluzione su alcune questioni nella Storia del Nostro Partito dalla Fondazione della Repubblica popolare di Cina (nella quale la Rivoluzione Culturale fu ufficialmente definita un disastro per il paese ed il popolo) abbiamo stabilito le linee guida fondamentali del partito che consistono nella ‘liberazione del pensiero’ e nella ricerca della ‘verità nei fatti’. Si è inoltre presa la decisione di imboccare la strada della ‘riforma e apertura’, cruciale per il futuro e il destino della Cina. Ciò che è accaduto dimostra che ogni pratica da noi attuata deve essere basata sull’esperienza e sulle lezioni apprese dalla storia e deve servire gli interessi del popolo. Siamo convinti che questo principio è chiaro a tutto il popolo e pertanto siamo fiduciosi rispetto al futuro».

La rivoluzione culturale si è conclusa quasi quarant’anni fa, l’odiema fase di riforma è alquanto complicata e da molto tempo non è più paragonabile al contesto degli anni ’70. Data la complessità del presente, perché si ricorre a vuote accuse per definire l’esperimento di Chongqing? Esso può benissimo contenere molteplici errori e carenze ma i dibattiti che ha acceso negli ultimi anni vertevano appunto su istanze concrete. Il confronto aperto e le verifiche empiriche potevano apportare dei miglioramenti. Allo stesso modo potremmo chiederci: quali sono le cause dei molti problemi sorti in Guangdong? Nuove crisi hanno cominciato a emergere a Wenzhou, ma che cosa le ha provocate? Questi non sono problemi di natura diversa da quelli di Chongqing e l’analisi critica nell’uno e negli altri casi dovrebbe svolgersi nel contesto di una politica pubblica. Gli «intellettuali pubblici» della rete hanno affibbiato l’etichetta di «feccia della rivoluzione culturale» a tutti quelli che hanno opinioni diverse dalla loro, oltre ad aver bollato l’intera riforma di Chongqing come un ritorno alla «rivoluzione culturale». Ora il gruppo dirigente ha scagliato lo stesso anatema politico invocato dagli «intellettuali pubblici» dei media. Questo fatto meriterebbe una più attenta riflessione.

Come tutti sanno, la «rivoluzione culturale è un tabù in Cina: da un lato è stata «negata integralmente», dall’altro ne è vietato lo studio. All’interno della sfera pubblica tale evento non richiede particolari analisi e spiegazioni, viceversa può essere usato per attaccare «il nemico». Funziona come un maleficio: serve come capo d’accusa ma non come strumento di discussione; serve alla persecuzione politica mai alla ricerca storica. Stando alla suddetta retorica l’esperimento di Chongqing viene accuratamente distinto dagli altri esperimenti locali: è trattato come un oggetto isolato, proprio come la rivoluzione culturale, e quindi può essere politicamente condannato e punito. Parimenti, i politici e gli intellettuali coinvolti sono a loro volta fatti oggetto di scherno e di accuse – sono «dei velleitari, dei cospiratori, degli agenti della propaganda ideologica intenzionati a invertire il corso della storia»…

Invero, non è Wen Jiabao l’inventore di questa retorica, perché dalla fine degli anni ‘70 ad oggi ad essa hanno attinto a piene mani le élite del potere e il Gruppo dei Media del sud. Il ricorso all’anatema rivoluzionario per soffocare lo scambio di idee, per colpire il proprio nemico politico o persino per perseguitarlo è una tattica familiare.

Per quanto la sua conferenza stampa sia stata di grande effetto, il Premier Wen, come la sua retorica politica delinea nella migliore delle ipotesi, un’immagine illusoria di se stesso. Un’immagine mille miglia lontana dalla sua pratica reale. La sua retorica politica acquisterà sostanza solo quando interessi materiali e relazioni di potere si metteranno insieme per dargli il vero contenuto.

L’uso retorico della «rivoluzione culturale» da parte di Wen Jiabao ha tuttavia anche una funzione positiva dal momento che sottolinea la portata politica dell’incidente e suggerisce che esistono differenti modi di intendere le riforme in Cina. Infatti, non si tratta qui della lotta fra chi vuole e chi si oppone alla riforma bensì della lotta fra diverse linee e interpretazioni della riforma stessa. Nella complicata evoluzione della Cina contemporanea l’esistenza di un dibattito aperto sulle diverse linee politiche e sui rispettivi valori, il confronto e la competizione fra i vari esperimenti locali rappresentano forse la giusta premessa al successo della via riformatrice. D’altra parte però, l’analogia con la «rivoluzione culturale» a cui ricorre Wen Jiabao annulla il significato politico dell’esperimento di Chongqing.

Del resto, viviamo in un’era di depoliticizzazione e la politica ora in auge è una politica depoliticizzata. Le principali caratteristiche di questo tipo di politica sono due: 1) Il ragionamento politico è spazzato via dalle logiche commerciali, la partecipazione politica viene cancellata dal discorso dello sviluppismo, il confronto aperto sui diversi valori politici viene impedito dal nuovo assetto degli interessi del capitale. 2) La politica delle stanze segrete sopprime la politica pubblica le lotte di potere prendono il posto del conflitto politico e il potere viene accaparrato eliminando i propri avversari. La politica delle stanze segrete non solo soffoca la politica nuova, ma riaffermando la supremazia del potere, proclama che la gente non ha il diritto di partecipare alla vita pubblica invocando principi che «sono chiari a tutto il popolo». La politica per i manipolatori del potere politico, è solo un gioco di potere all’interno del sistema statale.

Se paragoniamo la conferenza stampa del premier del 14 marzo con il documento del Pcc in cui si dichiara l’espulsione di Bo Xilai dell’11 aprile, noteremo un cambiamento nel registro retorico: la prima enfatizza la natura politica dell’incidente, mentre il secondo prende di mira soltanto la condotta non conforme alle leggi di Bo e di sua moglie. La prima è politica il secondo è giustizialista.

Come va interpretato l’abisso che intercorre fra la prima spiegazione politica con quel che ne è seguito e la successiva, più depoliticizzata interpretazione giudiziaria? La politica delle stanze segrete si attua in nome della democrazia della libertà e della morale, ma quel che ne consegue non è certo un rilancio della politica semmai una ricollocazione della politica nella cornice dell’a-politica. Proprio mentre parlava della riforma politica in Cina Wen Jiabao ha menzionato il «risveglio del popolo». Il premier si rivolgeva alla telecamera come un profeta che stia arringando un gregge di milioni di persone non ancora risvegliate. Ma al dunque a chi erano rivolte queste parole sulla riforma politico e «il risveglio del popolo»? Secondo questa retorica, i dibattiti e la partecipazione attiva che coinvolgono non solo Chongqing, ma anche un gran numero di cinesi, nascerebbero dall’ignoranza e dal sonno della ragione. Tuttavia, a prescindere da cosa sia successo a Chongqing, l’obiettivo del benessere comune a cui tendeva quell’esperimento ha suscitato le aspettative di moltissimi giovani. E dunque, nella Cina di oggi, le politiche che mirano all’eguaglianza e al benessere diffuso sono politiche dettate dall’ignoranza, o non rappresentano invece il risveglio invocato da questo abilissimo retore? Se sono il frutto dell’insipienza, allora con quale politica si identifica il risveglio? La politica dell’ 1% contro il 99% potrebbe mai essere la politica ideale? Il risveglio del popolo potrebbe mai coincidere con le richieste di chi rappresenta l’1% (ossia con la privatizzazione delle aziende, la privatizzazione della terra, i piani neoliberisti di liberalizzazione finanziaria e un sistema statale che vigila su tutto ciò)?

La rete, pur sottoposta a censura, è piena di storielle e commenti satirici, che col sarcasmo cercano di mascherare la disillusione. Si prenda ad esempio questa battuta: «i crimini peggiori della feccia (rivoluzionaria, ndt) sono: occupare i lotti di terreno dei real estates e permettere al popolino di merda di comprare e affittare casa…». I giovani che non hanno fatto esperienza diretta del 1989 o del periodo precedente non si fanno irretire dall’arte dei retori, ma forse proprio per questo perdono qualunque fiducia nella politica. Il dilagare delle voci non solo aiuta i depositari del potere a sconfiggere i propri avversari, ma scuote pure le fondamenta della sfera politica. L’entusiasmo per la partecipazione diretta, che nelle ultime generazioni si trova ancora allo stadio embrionale rischia di raffreddarsi sino a sfociare in una sorta di nichilismo. E il nichilismo politico è appunto l’altra faccia della politica delle stanze segrete, oltre ad essere il più florido terreno di coltura per la depoliticizzazione – così il potere può portare avanti indisturbato i suoi programmi neoliberisti e antipopolari, agendo in nome del «popolo». In questo scenario, l’effetto politico della vicenda di Chongqing è il diffondersi del nichilismo politico: la gente non può più credere alla politica, né può più credere alla legge. E l’autolesionismo del sistema politico cinese.

La Cina ha bisogno di una riforma politica che vada nella direzione di una politica pubblica

La Cina ha bisogno di una trasformazione politica. La quale non è la promessa di una vuota riforma politica, né può coincidere con un sistema pluripartitico fondato sulle privatizzazioni e sulla egemonia del capitale, ma consiste nella politica pubblica che possiamo praticare sin da oggi.

La politica delle stanze segrete è la riprova che i poteri odierni mancano di rappresentatività e di basi politiche. In un’epoca interamente sommersa nelle retoriche politiche, urge distinguere chiaramente le due possibili vie di riforma: la prima via s’identifica con i piani del neoliberismo, decisi nelle stanze segrete e attuati in nome della democrazia e della libertà; come nel caso dell’ex Unione Sovietica. Questa via porta ad una politica partitica oligarchica e impone le sue riforme calandole dall’alto. Si verificherebbe così una transizione da una politica priva di rappresentanza ad un’altra.

Per poter promuovere le manovre di riforma economica e sociale che già sono state lanciate, prima di tutto bisognerebbe creare una politica pubblica, e opporsi alla politica delle stanze segrete. Per battere la politica della segretezza, innanzitutto dovrebbero essere garantite la libertà di parola e la libertà di associazione. Questo è un primo punto. Con libertà di parola però non si intende qui la libertà dei mezzi d’informazione, visto che al momento attuale i media costituiscono una forma di monopolio con una rigida organizzazione in corporations e un’alta concentrazione di capitali, per cui non possono certo fungere da garanti della libertà d’espressione dei cittadini, ma al contrario possono darsi alla manipolazione e alla persecuzione politica. Oggi non sono solamente complici della politica delle stanze segrete, ma in senso lato e nei tempi lunghi si può dire che abbiano istigato l’azione del potere nei confronti di Chongqing.

Pertanto, si dovrebbe modificare l’assetto monopolistico dei mezzi d’informazione attraverso leggi e regolamenti, così come andrebbe limitato il controllo del potere politico ed economico sull’opinione pubblica. Soltanto su queste basi i cittadini potrebbero costituire associazioni e fondare i propri media, nella tutela del diritto fondamentale alla libertà di parola.

In seconda istanza, andrebbe espansa il più possibile la partecipazione dei cittadini al processo decisionale di policy making, potenziando inoltre i meccanismi di supervisione. Al fine di vigilare efficacemente sui possibili traffici del potere, i funzionari governativi dovrebbero dichiarare in sede pubblica i propri redditi, e non solo: i passaggi di proprietà dovrebbero avvenire sotto la sorveglianza giuridica di un ente apposito. Infine, come terzo punto, «la riforma degli apparati dirigenti» non può svolgersi indipendentemente da quanto detto sopra, se deve gettare le basi della politica pubblica e se davvero si vuole scongiurare il rischio che questa ultima ricada nel dedalo delle stanze segrete.

La politica pubblica, congiunta alla linea di massa, è il fondamentale enunciato della riforma politica della Cina. Soltanto in presenza di una politica pubblica la democrazia non rischia di trasformarsi in una nuova forma di legittimazione delle diseguaglianze; e soltanto una democrazia aperta alla partecipazione di tutti, senza differenze, ci garantisce che essa non verrà presa in ostaggio da una minoranza di potenti o da interessi monopolistici.

In una congiuntura così complicata e ambigua, non si può fare a meno di chiedersi, sia all’estero che in patria, quali prospettive abbia ora la riforma cinese. In questa fase di ritorno dell’ondata neoliberista a livello mondiale, come valutare l’attuale trend della Cina? In modo del tutto imprevedibile un «incidente isolato» ha condotto a un cambiamento radicale a Chongqing. Parimenti, oggi qualsiasi proclamazione di «inevitabilità» non ha più valore dell’inafferrabile responso degli indovini dell’ultima ora. Nella marea montante dei pettegolezzi e delle voci di corridoio, non sorprende che le teorie sul crollo della Cina stiano tornando in auge. Sta di fatto però che, ironicamente, dal 1989 in poi ad essere crollate sono le teorie, basate sulle congiunture temporanee, e non la Cina. Le previsioni sono fallite perché coloro che le hanno elaborate enfatizzano troppo la volontà di un singolo personaggio politico, senza considerare le volontà del popolo. Oppure danno eccessiva importanza ad un dato mutamento, ignorando l’enorme trasformazione e le energie accumulate dalla società e dallo stato cinesi nell’arco del ventesimo secolo, e quindi non comprendono né le tradizioni, né la capacità di rinnovarsi di questo paese. Limitando il discorso all’ultimo decennio, l’impegno e gli sforzi profusi dalla società per conquistare l’uguaglianza, la giustizia e la democrazia non devono essere buttati al vento, anche perché già hanno avuto una realizzazione concreta in numerosi piani di riforma. Mettere in dubbio queste conquiste o voler cancellare la storia delle lotte attraverso cui si è giunti a queste conquiste equivale a invertire il corso della storia.

Ai potenti questo punto «è chiaro» e dunque non possono far altro che aspettare il risveglio del popolo da loro auspicato. Questa aspettativa tradisce il fatto che sono loro a stare sul versante opposto rispetto al popolo, isolati e avvolti di ignoranza. Se solo osservassero l’odierno stato dell’ordine mondiale e la crisi che lo pervade, capirebbero che la propria eloquenza può servire solo a illudere se stessi. Non solo: di fatto negano le misure positive adottate dallo stato negli ultimi dieci anni, sotto la spinta di un’enorme pressione, per rispondere alle richieste di giustizia che venivano dalla società.

Se i politici pensano che tale operato servisse unicamente a consolidare il proprio potere e deviare dai bisogni della maggioranza, si ritroveranno alla fine a recitare il ruolo di attori politici schizofrenici sul palcoscenico della storia in nome dei propri giochi di potere. Oggi il futuro della Cina dipende dagli sforzi per superare il nichilismo prodotto dal teatrino dei politici, dal monopolio dei mass media e dal controllo del capitale, in modo che sempre più persone si appassionino alla politica e si dedichino seriamente e concretamente alla trasformazione sociale.

La storia appartiene agli uomini che stando coi piedi ben ancorati a terra riflettono e lottano per la vita dei cinesi e per un mondo più giusto.

12 aprile 2012

di Wang Hui

[ n.d.Z.: Wang Hui, storico, direttore della rivista Dushu, è stato visiting professor all'Università di Washington. Wang Hui ha partecipato al movimento di Tiananmen, poi è andato in esilio negli Stati Uniti. Oggi viene considerato un esponente della New left cinese.]

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Note

(1) Citata dall’autore con il suo nome proprio di lianghui, doppio meeting in cui si svolgono in contemporanea l’Assemblea Nazionale del Popolo (Npc) e la Conferenza Politica Consultiva (Cppcc). Quanto a Wang Lijun, braccio destro di Bo Xilai ricontiamo brevemente la rimozione dal suo incarico da capo della polizia di Chongqing e la sua successiva fuga al consolato americano di Chengdu.

(2) Lin Biao, ministro della difesa designato da Mao a succedergli [muore il 13 settembre 1971 in un misterioso incidente aereo. Il rapporto ufficiale pubblicato nel giugno del 1972 stabilì che  Lin era su un Trident precipitato mentre era in fuga verso l’Unione sovietica dopo il fallimento di un tentativo di golpe contro Mao.]

{3} Qui l’autore allude al primo tentativo di liberalizzazione dei prezzi, pensato per ovviare ai problemi causati dal “sistema del doppio binario”, che permetteva la coesistenza di un doppio prezzo, statale e non, per le merci. Con quel sistema si era creata una duplice (e instabile) economia, da un lato legata allo stato e dall’altra regolata dal mercato. Il governo pensò di liberare da lacci e lacciuoli i prezzi fissi delle merci statali e ti risultato fu un’impennata dell’inflazione

(4) La disputa fra il professore di economia Larig Xianping e l’imprenditore Gu Chujun finì in tribunale quando ti primo, durante una conferenza alla Fudan University di Shantfìai, accusò il secondo, CEO del gruppo Greencool, di aver sottratto dei fondi durante la ristrutturazione dell’azienda e di esserci riuscito grazie alle carenze e alle ambiguità della legge cinese in materia

(5) Il rapporto «China 2030. Building a Modern, Harmonious and Creative High Income Society» si può leggere sui sito della Banca mondiale www.worldbank.org

(6) L’imprendrtrice trentenne, accusata di aver raccolto illecitamente circa 123 milioni di dollari, era stata condannata a morte nel 2009. Il 20 aprile la Corte Suprema ha stabilito che non sarà giustiziata ma dovrà comparire davanti a un Tribunde della Zhejiang per la revisione del caso. Le banche si erano rifiutate di concedere un prestito alla sua azienda e lei si era rivolta a ereditari privati, frodandoli.  II web cinese per settimane aveva chiesto demenza, giudicando eccessivo il verdetto.

Tratto da http://foglianuova.wordpress.com/

Pubblicato in Alias Il manifesto 28 aprile 2012