Da due giorni è partita la Cop17 a Durban in Sudafrica. I luoghi delle ultime edizioni della Conferenza dell’Onu ci raccontano quanto siamo passati dalle “speranze” di Copenaghen, città di sperimentazioni green (oltre che di sperimentazioni repressive), passando per Cancun, simbolo della devastazione ambientale in nome dei mega-progetti turistici e non solo, fino a trovarci ora a Durban, il più grande centro petrolifero dell’Africa con una popolazione stimata di oltre tre milioni.
Siamo passati dalla versione "green" delle Conferenze dell'Onu frantumate nella crisi fino all’attuale edizione in un paese il Sudafrica, che si affaccia nella geopolitica globale a confermare il suo ruolo insieme ai paesi del Bric (Brasile, Russia, India e Cina) mentre vive all’interno, nell’epoca post-apartheid, una disuguaglianza sociale fortissima (un sudafricano su 6 vive negli slum senza prospettiva di futuro), una disoccupazione crescente e uno sfruttamento delle risorse accentrato nelle mani di pochi.
A Durban città portuale negli slum si vive ammassati nei quartieri periferici senza nessun servizio e solo chi riesce ad appopriarsene si costruisce una improbabile dimora usando i container inutilizzati del porto.
Proprio in questi giorni al centro dell’attenzione nel paese il tema della libertà di informazione dopo la decisione del Governo di Jacob Zuma di promulgare il Protection State Information Bill che restringe, in nome dell’interesse nazionale, il lavoro dei giornalisti.
Siamo in un continente che ha vissuto e vive nella maniera più drammatica gli effetti del cambio climatico. L’aumento previsto del surriscaldamento, di cui si discute nei documenti di preparazione della Conferenza, qui prende le sembianze reali di milioni di migranti climatici dovuti a siccità, catastrofi naturali e distruzione sociale e ambientale.
E’ questa l’ipocrisia della discussione formale sul cambio climatico. Tutti concordano sugli effetti devastanti, tutti concordano sul quadro globale ma ora i diktat del comando finanziario impongono altre emergenze in cui affogare anche le ventilate soluzioni. Al centro di Cop17 due temi centrali, sfrondando la comunicazione generale, da un lato l’impossibile ricerca di un vincolo comune nell’impegno per limitare le emissioni attraverso il fallimento del Protocollo di Kyoto e dall’altro l’improponibilità del cosiddetto "Fondo verde per i paesi in via di sviluppo" (peraltro amministrato dalla Banca mondiale) , pensato a Copenaghen, confermato a Cancun, ma che si scontra con la crisi finanziaria e con l’indisponibilità dei donatori.
Sullo sfondo di Durban l’impossibile ricerca di una governace globale, rappresentata dall’Onu sul cambiamento climatico, che dovrebbe significare interrogarsi e scegliere i modelli di sviluppo futuro, che si scontra con l’innarrestabile finanziarizzazione e trasformazione in crediti e debiti da quotare in borsa del diritto di inquinare.
Questo lo scenario in cui iniziano le mobilitazioni fuori e dentro la Cop per affermare che tanto più oggi la necessità è quella di cambiare il sistema mettendo al centro l’umanità e l’ambiente e non il mercato.
Nel campus universitario di Kwa Zulu Natal’s, sede del People space, sono iniziate ad arrivare le delegazioni soprattutto africane. Ieri l’apertura dell’Assemblea delle donne africane contadine provenienti da vari paesi che fra canti e interventi hanno affrontato i temi della sovranità alimentare, del diritto alla difesa della terra, della rabbia mista a determinazione per affermare la necessità del cambiamento.
All'università
Come sempre accade in maniera caotica si sta formando un programma di incontri ed iniziative che avranno un momento di visibilità nella manifestazione di sabato 3 dicembre all’interno del Global day of action, mentre davanti all’ingresso della conferenza alcune decine di attivisti hanno occupato l’aiuola antistante all’entrata della Conferenza creando uno spazio “occupycop17” da cui far partire iniziative di denuncia come quella proposta per oggi per far uscire la Banca Mondiale dalla gestione del clima.
Domenica 4 dicembre la Rete Italiana per la Giustizia Sociale ed ambientale proporrà un seminario dal titolo La visione dei popoli sulla Giustizia climatica con la partecipazione di PATRICK BOND, CCS, South Africa - GIUSEPPE DE MARZO, A Sud, RIGAS, Italy - IVONNE YANEZ, Oilwatch, Accion Ecologica, Ecuador - VILMA MAZZA, Ya basta, RIGAS, Italy - NIMMO BASSEY, ERA, Nigeria - PABLO SOLON, Bolivia - TREVOR NGWARE, Energy sovereignty movement, South Africa - LEAH TEMPER, Universidad Autonoma de Barcelona, Spain - RAFFAEL QUISPE, CONAMAQ, Bolivia
Vilma Mazza Associazione Ya Basta - RIGAS
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